Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 28 gennaio 2014

Marco Briganti... un vero capitano in "Rosso e Blu"


A fine gara, stremato ma sempre leader insieme ad Alex
(foto M.Signoretti)
Ha salutato tutti in punta di piedi. Con un po' di commozione, qualche turbamento, un buon contratto in una nuova piazza ma soprattutto la nostalgia per una lunga stagione di quasi 6 anni che difficilmente dimenticherà. Come i suoi tifosi difficilmente potranno dimenticarlo.
"Siamo tutti Briganti", recitava uno striscione che la curva ha esibito per mesi quasi ad avvertire avversari, pubblico e perfino il mondo del calcio. Nessuno avrebbe potuto rubare ai tifosi rossoblù quel sogno che stavano vivendo.

Le cento presenze di Briganti (foto Settonce)
E Marco Briganti, ironia del nome, ne era un simbolo per come sapeva darsi e spendersi in campo come nello spogliatoio.
Ora il capitano inizia una nuova avventura. In pochi mesi il Gubbio saluta i suoi due capitani, per motivi e dinamiche diverse. E anche con stati d'animo alquanto differenti.
Marco Briganti, 32 anni da Città di Castello, era ormai eugubino a tutti gli effetti. Non solo per una questione temporale ma soprattutto emotiva.

 
Il giorno dell'esordio, contro la Cisco Roma di Ciofani
Era arrivato per altro in una delle piu anonime stagioni del filotto di C2 di inizio secolo. A chiamarlo era stato Loris Beoni, che lo aveva avuto alla Sansovino, insieme a Borgogni, Zacchei e altri giocatori che a differenza di Briganti sono arrivati e ripartiti, senza lasciare impronta alcuna.
Lui, in silenzio, era arrivato un po' dopo, a settembre inoltrato ma si era subito integrato in un gruppo che aveva i suoi leader indiscussi, come Sandreani, Bruni, Fiumana, Farina o come Corallo.
 
L'esordio subito di fuoco, contro la Cisco Roma di Daniel Ciofani e un 2-0 per i rossoblù di quelli da ricordare, condito dal primo giallo e da un duello con il suo futuro compagni di squadra non senza scintille. Perchè Marco, ragazzo buono, educato, per bene, in campo sapeva farsi rispettare: essere leali non significa essere dei pirla e dalle sue parti si passava difficilmente. A fine stagione anche il primo gol, contro la Sangiustese in un 3-1 di pieno maggio con la testa ormai già alla stagione successiva.
 
Rossoblù in festa, nell'anno più bello (foto M.Signoretti)
Già la prima del grande filotto targato Simoni-Torrente: nel quale Briganti è stato tassello irrinunciabile al centro della difesa e in quella dorsale di landiana memoria che ha trascinato felicemente la storia rossoblù fino alla serie cadetta. Senza dubbio le sue stagioni migliori, con la chicca di una doppietta niente meno alla Salernitana in un 3-1 memorabile di dicembre 2010, che segnò la consapevolezza della forza incontenibile di quel gruppo, del feeling straordinario con la piazza e della possibilità di fare davvero l'impresa.
 
L'esordio in B da capitano, a Grosseto (foto Settonce)
Poi la serie B, con alti e bassi, ma con Marco Briganti sempre ad uscire dal campo a testa alta. Nella consapevolezza di non aver mai tirato indietro la gamba o di aver risparmiato sudore, anche se gli avversari si chiamavano Rolando Bianchi, Maccarone o Ciro Immobile.
Con la Salernitana la doppietta e con la Salernitana anche l'ultima partita. Un po' inaspettata, come il suo saluto. Che ci dice tanto, che ci dice quasi tutto.
 
Insieme a Sandreani, due capitani veri...
(foto M.Signoretti)
Un ciclo si sta chiudendo. E' nella natura delle cose e del tempo. L'arrivederci è stato repentino, senza dare modo di ripercorrere questi 6 anni. Ma forse era quello che voleva proprio lui.
Evitare gli addii e guardare avanti. Sapendo di avere sempre il rossoblù nel cuore.
Il tempo per un saluto non c'è stato. Quello, per dire grazie, a un bravo ragazzo e ad una persona per bene come Marco Briganti, si trova sempre.


Da "Il Rosso e il Blu" di Fuorigioco - 27.1.14
Musica sottofondo: "Ciao" - Vasco Rossi - 1987







 

domenica 26 gennaio 2014

Il "prodigio" di Raffaello... quello di Foligno

La Madonna di Raffaello torna a Foligno:
un momento dell'inaugurazione di sabato scorso
Alzi la mano chi non ha pensato negli ultimi 10 giorni, almeno una volta, al “prodigio” della Madonna di Foligno.
Intendiamo, ovviamente, senza voler apparire blasfemi, lo straordinario successo dell'esposizione temporanea del capolavoro di Raffaello al monastero di S.Anna.
Un'operazione venuta a galla appena un mese e mezzo fa, grazie ad Eni e alla sinergia istituzionale folignate, ma in realtà messa in piedi da un paio d'anni in virtù di una semplice raccolta di firme.
 
Il Gonfalone del Corpus Domini
attribuito nel 2004 a Raffaello
Ironia della sorte, a 10 anni esatti da un altro Raffaello, quello “giovanile” scoperto, attribuito e poi contestato, a Gubbio, con il Gonfalone del Corpus Domini.

A Foligno l'ambizioso e illusorio sogno di qualche mese fa, non solo si e' trasformato in una mostra evento reale, ma ha prodotto numeri che neppure i piu' entusiasti e ottimisti fautori avrebbero osato sperare.
 
"Lo sposalizio della Vergine":
da Città di Castello proveranno
a farlo tornare
Catalizzare la presenza di quasi 50 mila persone in appena 10 giorni, per un'opera per altro non lontana e irraggiungibile (che come in passato, si potrebbe andare a rimirare senza patemi ai Musei Vaticani) e' impresa non da poco. E a suo modo, anche un precedente di cui dovrebbero far tesoro le istituzioni di casa nostra (Città di Castello già si sta mobilitando per lo “Sposalizio della Vergine”). Sia quelle regionali, quelle specializzate e anche coloro che aspirano a diventare le istituzioni cittadine.
L'evento, la perla artistica, come anche architettonica, la mostra rara o di forte richiamo, continua a fare la differenza. E se lo fa in frazioni di tempo limitate, come a Foligno, figuriamoci cosa accadrebbe se la proposta dovesse abbracciare un arco temporale piu' ampio.

Gubbio ricorda ancora l'esperienza praticamente irripetibile della Mostra dei Dinosauri, nel 2011.
Una felice parentesi che non ha avuto seguito con altre "imprese" similari, sia per l'impossibilità di fruire di spazi adeguati, sia per le difficoltà a reperire risorse (ad eccezione di quanto costantemente messo a disposizione dalla sola Fondazione Carisp Perugia).

Eppure non mancherebbero i filoni tematici sui quali costruire eventi o idee in grado di incidere sensibilmente anche sulla proposta culturale cittadina: gli Umbri - pensando alla collocazione quasi "punitiva" di un documento raro come le Tavole Eugubine - o la parabola Francescana del Poverello e il lupo - di enorme potenzialità soprattutto dopo l'avvento del Pontefice che ha scelto il nome di Francesco - non possono essere dettagli o questioni secondarie per chi si candida a rappresentare l'istituzione comunale nei prossimi 5 anni. Fermo restando che anche dall'interlocuzione costruttiva con le altre istituzioni, dipende la bontà di una proposta e la fattibilità concreta della stessa.

In attesa di sapere come finirà il rebus di alcune candidature, intorno al quale purtroppo gravitano le attese maggiori, attendiamo fiduciosi di capire chi intende fare cosa.
Sperando che non si apra un'altra stagione di eterne divisioni, di laceranti ideologismi, di strumentali crociate.
Gubbio, se non si è capito, non può più permetterselo.


Da editoriale "Gubbio oggi" - febbraio 2014

martedì 21 gennaio 2014

Corsi e ricorsi calcistici: tra molti esoneri e pochi "eroi"...


 
"Un allenatore in Italia che finisce la stagione non solo è un bravo tecnico: è un eroe".
La frase è di Jose Mourinho, uno che in Italia si è trovato piuttosto bene. Ora da Londra, sponda Chelsea, non seguirà di certo le vicende pallonare della sperduta Umbria. Saprebbe altrimenti che la sua massima da queste parti avrebbe scarsa applicazione.
Con quella di Cristian Bucchi, infatti, sono finite per saltare, una dopo l'altra, tutte le panchine delle squadre professionistiche della nostra regione.
 
La prima è stata a Perugia, quando il campionato non era neppure iniziato: fuori Lucarelli, che come prima esperienza ha subito masticato il tabacco più amaro. Per poi ritrovarsi in Versiglia da avversario dei grifoni e di Santopadre. Forse neanche Camplone a inizio agosto avrebbe pensato di tornarci su quella panca, dopo aver sfiorato la B, ed essere stato punito da Favasuli, nella semifinale col Pisa.
 
Di seguito è toccato al neofita Cucinelli confezionare l'esonero su misura ad un altro ex grifone, Di Loreto, addirittura dopo una vittoria. Qui il cambio, come al Curi, ha sortito effetti taumaturgici, perchè Luca Fusi, ex Toro e Juve da giocatore, ex Foligno da tecnico, ha redento una squadra che sembrava ancora non essere atterrata nel pianeta professionistico: ora il Castel Rigone non fa parlare di sé solo per l'assenza di barriere allo stadio, per il calcio etico ed anche un po' estetico predicato dal suo celebre patron. La squadra si segnala anche tra le protagoniste del girone B di II Divisione e scommettere su una sua promozione (ovvero la salvezza, che significa però salire in terza serie il prossimo anno) non è affatto azzardato. In attesa del probabile derby col Gubbio e del possibile, salvo scongiuri, storico confronto col Perugia, le altre panchine saltate sono a Terni, dove perfino il cannibale Toscano, autore del miglior calcio visto alla Conca negli ultimi anni, ha pagato dazio e appunto a Gubbio.
 
Il capitolo rossoblù meriterebbe un libro a parte.
Bucchi era la scommessa, come tante ne sono state giocate in questi anni. I 5 gol patiti nel derby hanno fatto traboccare un vaso che è parso già colmo dopo le dichiarazioni del mister nel post gara col Pontedera.
Cambiare tecnico, nella stagione in cui non ci sono retrocessioni e in cui gli obiettivi non sono categorici come per Perugia, Lecce o Frosinone, sembra paradossale. Ma in fondo a ben guardare, in casa rossoblù, si è tornati alla normalità. Nelle ultime 8 stagioni, quelle a guida Fioriti, sono 14 gli allenatori che si sono avvicendati su una panchina che, a questo punto definire scottante è un eufemismo.







Nell'ordine: Cuttone, De Petrillo – Marino, Alessandrini – Beoni, Tumiatti (affiancato da Simoni) – il biennio Torrente, a fare da linea di confine prima del tripudio in B con Pecchia, Simoni, Alessandrini e Apolloni. Infine Sottil, altro "eroe" di un intero campionato, quello passato, ed ora il tandem Bucchi-Roselli.


La storia calcistica rossoblù ci dice che spesso, troppo spesso, il cambio al timone non ha sortito gli effetti sperati. Tra le rare eccezioni, proprio 10 anni fa, quella di Beppe Galderisi.
Arrivò a sostituire Cannito, a marzo inoltrato: sembrava un'altra annata di quelle da buttare e invece la svolta regalò vittorie memorabili, come il derby di Gualdo, e i playoff persi solo contro la Sangiovannese di Ciccio Baiano.
Per qualcuno, un'eccezione a confermare la regola.

sabato 18 gennaio 2014

Vedere l'alba prima della rassegna stampa... e un sogno chiamato Antartide

C'è una cosa che pesa come poche altre, ma che in realtà regala sensazioni speciali. E che, seppur vissute in solitudine, ti regalano tanto.
Uscire presto, prestissimo di casa. 

Da un po' di settimane a questa parte lo faccio per una corsetta pre-mattutina (praticamente in notturna) con i fratelli Barilari. Veder sorgere il sole mentre corri sulla pista ciclabile di Gubbio non è esattamente una  cosa da routine. Diciamo che la fatica ti passa accanto e lo spettacolo visivo di cui sei spettatore isolato non ti lascia indifferente.

Il più delle volte, però, da un po' di anni, mi capita per la rassegna stampa. Un "turno" che detto così dovrebbe pesare ad ogni giornalista. Invece si rivela il momento più bello della giornata.
Intanto perchè è un po' come sfogliare le stagioni che si passano il testimone: esci di casa alle 6.45 ma ci sono mesi che è buio pesto (come questi), altri che vedi albeggiare, altri ancora che è pieno giorno. L'aria che ti accompagna è ogni volta diversa e l'atmosfera che ti segue, mentre cammini lungo il Corso e scendi in piazza 40 Martiri, riserva sempre qualche incontro inaspettato. O magari la solitudine totale. Che è anch'essa particolare.
Percorrere quel chilometro e mezzo di strada in auto, anzichè a piedi, è un po' come macchiare col ragù la camicia buona della domenica, prima ancora di sedersi a tavola.
A piedi è tutto diverso. Percettibile, tangibile, complice. Come non potrebbe mai essere con l'atmosfera ovattata dei finestrini chiusi, o peggio ancora dello stereo acceso.
Ti ritrovi ad attraversare una città che sei solito vedere un po' più movimentata (non troppo, per carità): ma il paesaggio lunare che ti circonda ha qualcosa di piacevolmente inconsueto. E ormai, anche un po' di tuo. Perfino la cartaccia lasciata da una parte o la buccia di mandarino, retaggio di qualche bisboccia della sera precedente, sono elementi che ti fanno compagnia. Anzichè stonare.

Per non parlare poi dell'aria della redazione.
Sono le 6.45, non c'è un'anima in giro. Sei solo con i tuoi 4-5 giornali da leggere (per poi rileggerli e illustrarli in trasmissione, dalle 7.30).
E' rilassante. Primo perché ti senti un po' un privilegiato: sei quasi il primo a leggere le notizie (per chi ha il virus dell'informazione come noi, sapere prima degli altri le cose ha lo stesso effetto dello zucchero filato al luna park per un bambino).
Non hai rotture, interruzioni, telefonate, beghe da risolvere: tutta roba che arriverà puntuale dopo le 9. Ma intanto ti puoi concedere quel bel paio d'ore di beata solitudo (sola beatitudo, c'era scritto in un piatto con S.Francesco che aveva la mia nonna all'ingresso di casa).  

Sfogli il quotidiano ancora compatto, fresco di stampa, con qualche pagina che neppure è tagliata precisa, la devi accompagnare con un polpastrello, separare fisicamente da quella prima o da quella dopo. Applichi i post it nelle pagine che ti serve ripescare in diretta senza perdere tempo, le sigli con iniziali di riferimento (R per regionali, PG per Perugia, CULT per cultura).
L’inchiostro sembra quasi luccicarti addosso. In pochi minuti cogli tutto quello che potresti sapere dei fatti di casa tua (intesi come questioni regionali più importanti). E capisci al volo anche come è andato il tuo lavoro il giorno prima: se hai “bucato” qualcosa o se magari hai piazzato qualche “buco” ai colleghi della carta stampata (come per le "stecche" in campo calcistico, talvolta si danno, talvolta si prendono), se hai dato il taglio opportuno ad una storia scottante, se gli altri l’hanno inteso in modo diverso. 
E’ strano ma praticamente con i colleghi dei giornali si vive quasi un diverso fuso orario. Noi in tv chiudiamo alle 18.30-19, perché lo step del tg è definitivo. Quello che accade dopo lo potremo raccontare solo il giorno seguente. Loro praticamente a quell’ora entrano nell’imbuto del rush finale, ma chiuderanno le pagine solo a mezzanotte o in caso di necessità all’una (se accade qualcosa di cronaca nera, in genere si smonta tutto e si rifà la prima pagina, mandando a monte il lavoro di un giorno, se capita di notte lo si leggerà solo dopo 24 ore). 
In fondo la notizia è così: fedele compagna se non succede niente all’ultimo istante, perfida nemica se ti arriva a pochi minuti dalla chiusura e non puoi fare finta di ignorarla. 
Comanda sempre e comunque lei. La notizia. 


Alessio Campriani, a bordo della sua imbarcazione,
ha raggiunto l'Antartide
Penso a questa, che per me ormai è routine, dopo aver gustato un'avventura speciale, una solitudine direi quasi elitaria, come quella raccontata attraverso l'ospite di "Link": un appassionato di vela, il tifernate Alessio Campriani, che di mestiere fa il bancario. Ma l'amore per la vela, per il mare e la navigazione lo porta a progettare missioni quasi impossibili, o praticamente impossibili per chi non solca le onde per professione.
L'ultima, l'anno scorso, con l'impresa in Antartide, uno di quei luoghi del mondo - il continente bianco - in cui la solitudine (3.500 persone in un'area che è grande 50 volte l'Italia) non è un concetto così filosofico e impercettibile. E nemmeno un optional. E' la condizione naturale. Come la luce h24, nel periodo dell'estate dell'emisfero australe.
Ascoltare la sua avventura, apprezzare alcuni momenti della traversata (800 miglia marine di sola andata), assaporare quell'atmosfera di continue scoperte, le cui emozioni riescono a colmare la fatica, lo stress, le rinunce, lo spirito di abnegazione e adattamento ad un ritmo quotidiano decisamente diverso... beh tutto questo ti fa venir voglia di fare qualcosa di diverso.

Magari, pure di provarci, una volta, ad arrivare laggiù: "La prossima volta puoi venire anche tu" mi ha detto sorridendo durante la trasmissione il tifernate navigante.
Per ora dell'Antartide ho solo un paio di sassolini che Alessio mi ha regalato.
E chissà che un giorno, o meglio un mese (tanto ci vuole per calendarizzare da inizio a fine la traversata) non succeda che li vada a prendere anche di persona...
Per ora le mie uniche ore di solitudo, restano quelle della rassegna stampa.
Sarà poco audace, ma per ora è andata così...
 

mercoledì 15 gennaio 2014

La toppa, il buco, le lezioni da imparare e la signorilità...



La toppa, qualche volta, e' peggio del buco.
Non le toppe che le nostre nonne accuratamente ricamavano sui golf usurati, all'altezza dei gomiti. Anzi, quelle sono tornate prepotentemente di moda, su giacche e pullover. Oggi le troviamo già stampate, come quid esclusivo di alcuni capi firmati. Come fossero un prodotto di serie...
La toppa a cui mi riferisco e' la falla che precipitosamente il governo regionale ha tentato di coprire sulla storia di "Don Matteo" e dei 679 mila euro che da Palazzo Donini sono partiti in direzione Roma: una parte (poco più del 20%) destinati alla Rai per la messa in onda di una serie di "pillole" promozionali. Il resto, la fetta piu' consistente, bonificati a Lux Vide, la casa di produzione di "Don Matteo" ben lieta di incassare questa somma (poco meno di 500 mila euro) formalmente per confezionare le 13 pillole pubblicitarie dedicate ad altrettanti siti umbri. Che a detta dei nostri amministratori regionali dovrebbero garantire al turismo in Umbria gli stessi effetti delle pillole blu...
 
E' bastata una conferenza stampa, indetta congiuntamente dagli assessori di Turismo e Agricoltura, per quietare momentaneamente le acque. "Con la scelta di Lux Vide di trasferirsi armi e bagagli a Spoleto la Regione non c'entra nulla" (e ci mancherebbe), " abbiamo solo voluto dare un nuovo impulso alla promozione sfruttando un canale sicuro come quello di "Don Matteo"".
Il ragionamento ci sta. E' la toppa della fattispecie.
Ma il buco - diciamocela tutta - ancora si vede.
Intanto perché ci si chiede come mai in 15 anni di "Don Matteo" a Gubbio (il primo fax della Lux Vide è datato 1998 e la fiction, su cui non tutti credevano, doveva chiamarsi "Il diavolo e l'acqua santa"), a nessuno nei palazzi perugini - compresi i consiglieri regionali eugubini - sia mai venuta in mente un'idea importante e coinvolgente come questa messa in campo ora.
 
 
Sicuramente c'e stata una carenza di rapporti istituzionali e anche di propositività da Gubbio: il Comune ha fatto bene il suo lavoro con Lux Vide (lo attesta anche una recente dichiarazione di un ex responsabile di produzione, Alberto Saracchi) ma il dialogo con la Regione - con cui poter costruire progetti a costo zero per la collettività eugubina progetti del genere - e' evidentemente mancato. "Don Matteo" funzionava alla grande, repliche comprese, Gubbio ne era più che soddisfatta. Poteva bastare così.
Le buone iniziative portate avanti anche in sinergia con Terence Hill (campagne di sensibilizzazione, campagne di solidarietà, iniziative sociali, cui l'attore di origini umbre non si è mai sottratto) sono state frutto di proposte endogene, più che apprezzabili, che però non coinvolgevano nessun altro territorio che non fosse quello di Gubbio. Rimanendo, con la loro eco, fatalmente confinate in margini ristretti.
Poi la nuova amministrazione ha pregiudicato anche la bontà dei rapporti costruiti, e l'addio ne è stata diretta conseguenza.
 
Oggi il caso "Don Matteo" si rivela uno schiaffo all'immagine della città ma anche una lezione per la comunità eugubina.
Che non ha saputo - con i suoi ex amministratori, in primis - ne' gestire un dialogo con la Regione quando i rapporti con Lux Vide erano idilliaci, ne' gestire il rapporto con Lux Vide quando e' emersa da parte della troupe romana l'esigenza di tagliare le spese, non capendo, a Gubbio, il rischio che l'operazione potesse perfino salpare per altri lidi.
"Don Matteo e' Gubbio e Gubbio e' Don Matteo".
Questa frase, sentita ripetere a iosa dagli stessi responsabili di produzione e' stato il classico guanciale sul quale chi aveva le chiavi della politica cittadina  e dei rapporti con le stanze romane si e' fatalmente adagiato, sottovalutando le possibili conseguenze.
Resta il fatto che le risorse necessarie a persuadere Lux Vide a non smontare le tende, sulla carta, non c'erano. Non le aveva il comune di Gubbio ne' gli operatori turistici locali (la posta messa sul piatto non è bastata), ma probabilmente neanche il comune di Spoleto - che nel frattempo ha rivelato buchi di bilancio clamorosi. L'idea che all'interno di quei 679 mila euro di matrice regionale ci possa essere anche la "parcella" per il trasferimento di Lux Vide a Spoleto - scusate la diffidenza - non è peregrina. E non è stato dimostrato il contrario dalla conferenza stampa perugina.
La lezione dovrà servire però agli eugubini su due fronti.
 
Il primo e' quello - atavico - di imparare ad avere rapporti costruttivi al di la delle colonne d'Ercole di Belvedere. Non e' possibile continuare a promuovere politiche di autarchia, di autosufficienza, di autonomia carica di orgoglio ma senza prospettiva. Senza dialogo con Perugia, Assisi e la stessa Gualdo il futuro non e' nero. Semplicemente non e'.
E se la proposta di lasciare l'Umbria, avanzata dal "Maggio Eugubino" va presa come provocazione da elettroshock, una bella scarica da defibrillatore non guasterebbe intanto nelle stanze a noi più familiari.
Secondo, e' necessario talvolta capire che il problema e la causa del nostro isolamento non sta solo altrove. E' forse figlio anche di un atteggiamento di chiusura (mentale) che ormai va superato.
 
Una dimostrazione lampante e signorile e' quella del Commissario D'Alessandro, che proprio in questa occasione - anziche' imbracciare l'ascia di guerra (cosa che non sarebbe ne' nel suo ruolo, ne' nelle sue corde caratteriali)  - ha lanciato la proposta di conferire a Terence Hill la cittadinanza onoraria di Gubbio. Preannunciando di invitare per l'occasione tutto lo stato maggiore di Lux Vide e anche il sindaco di Spoleto.
Un coupe de teatre che e' esemplare di come si possa dimostrare di avere dignità, autonomia, autorevolezza, senza per forza "picchiare duro".
 
Proprio come "Don Matteo" nei finali delle sue puntate. O come Terence Hill nella seconda parte della sua carriera artistica (sulla prima, i cazzotti volavano eccome...)
Riconoscendo semplicemente la bontà di un rapporto ormai consolidato - quello con Terence Hill, rimasto intimamente legato a Gubbio ( come il suo straordinario biglietto d'addio dimostro') - e la grandezza di un gesto che e' anche sinonimo di grandezza di colui che lo promuove. E della comunità che rappresenta.
E' proprio questo lo stile che e' mancato per troppi anni nella nostra citta'.







 

 



 

 

 

 

 

 

lunedì 13 gennaio 2014

"Il Rosso e il Blu": pensando alla batosta... per capire da quali esempi ripartire


 
Sarà dura metabolizzare la batosta, rialzarsi dallo tsunami sportivo di un 5-0 casalingo.
Per di più in un derby, in una gara sentita come poche altre dai tifosi rossoblù.
Il calcio insegna che ci vorrà tempo, che serviranno vittorie ma soprattutto prestazioni di intensità e di cuore infinitamente superiori al poco visto in campo contro il Perugia di Camplone. Squadra forte, molto forte, ma i cui valori tecnici sono stati amplificati in stereo dall'inconsistenza agonistica del Gubbio.
 
Insigne avvistato da Almici in Gubbio-Pescara - aprile 2012
Nemmeno in B, nemmeno con avversari nettamente superiori – si pensi al Pescara di Zeman – capaci di dominare 90', la debacle era stata così cocente. Di tonfi ce n'erano stati parecchi quell'anno ma almeno con la schiena dritta.
Nella sconfitta memorabile di questa domenica di gennaio, si può leggere anche la metafora di una città che – proprio sotto gli occhi delle istituzioni regionali, nei giorni in cui anche la polemica sui soldi per “Don Matteo” hanno fatto sentire questa comunità più lontana e bistrattata dai palazzi perugini – si ritrova quasi nuda, e certamente spogliata persino del suo elemento più caratteristico, l'orgoglio.
La grande illusione: l'occasione in apertura per Ferrari
salvata a due passi dalla linea da Comotto
La delusione dei tifosi, che abbandonano il settore gradinata per spostarsi alle spalle della porta e rifiutare idealmente il saluto della squadra, è la rabbia e l'insofferenza ad accettare un verdetto. Che nel calcio è il 5-0 subito dal Perugia, ma nella vita di tutti i giorni rappresenta l'incapacità attuale di questa comunità di rialzare la testa. E di ritrovare una dimensione, un'identità, un'energia che dovrebbe essere parte integrante del proprio dna.
La speranza è che dopo la rabbia e l'insofferenza, in campo come fuori dal campo, non subentri la rassegnazione. Questa sì sarebbe la sconfitta più irrimediabile.
Ma tornando al calcio, per gli amanti della statistica, bisogna fare un salto indietro di 13 anni per ripescare l'ultimo capitombolo casalingo con 5 gol al passivo – un 5-1 di fine stagione il 12 maggio 2001 contro il San Marino, ma con la squadra di Dal Fiume ampiamente rimaneggiata e con la testa già alle vacanze. Fu il commiato peggiore anche per il tecnico, altro ex grifone, nell'annata che aveva regalato la prima vittoria in un altro derby, forse quello vero, quello con il Gualdo.
Ma proprio dopo questo 0-5 – un po' mesta un po' paradossale - ci piace in ricordare un altro precedente, che dovrebbe invece dare spunto e stimolo quanto basta almeno a rialzarsi in piedi: 12 dicembre 1993, poco più di 20 anni fa, un Gubbio-Riccione in serie D che pochi probabilmente rammenteranno.
 
Mirko Cernicchi nell'inedita veste di portiere
Gubbio-Riccione 2-1 - dicembre 1993
In campo la giovane banda di Massimo Roscini, una nidiata tirata su da Francioni con il gruppo allievi finalista nazionale, che aveva come gioiello di centrocampo tale Davide Baiocco ma anche un gruppo di ragazzi aitanti che sull'1-1 a 10' dalla fine si ritrova senza portiere, espulso Flavoni: in porta finisce Mirko Cernicchi, eugubino di origine ma perugino di nascita, cuore rossoblù, in campo il cuore lo mettono gli altri, a cominciare da capitan Alessandro Nicchi, figlio d'arte e trascinatore della squadra, che a tempo scaduto firma addirittura il gol della vittoria. Finisce 2-1, il Gubbio vince in 10. Non è la Coppa Campioni, non sarà un trofeo memorabile, ma da onorare c'era la maglia rossoblù. Quanto basta per dare tutto in campo, per giocare come fosse la partita della vita, a prescindere dal nome dell'avversario, a prescindere dall'età dei protagonisti, giovani anche allora ma certamente attaccati come pochi altri a quei colori.
Per sentirsi e farsi sentire, dai tifosi, uno da Gubbio.
 
 
Da "Il Rosso e il Blu" - lunedì 13.1.14 in "Fuorigioco"
musica di sottofondo: "Pride" - U2


venerdì 10 gennaio 2014

"Ed è gol!". Ma quello Juventus-Perugia... dovrebbe ispirare proprio i rossoblù...


 
"Ed è gol!"
Un'esclamazione che e' entrata nell'archivio dei ricordi indelebili dei tifosi del Perugia un pomeriggio
di fine ottobre del 1978.
Lo stadio e' il Comunale di Torino, la partita e' Juventus-Perugia, quarta giornata di un campionato
che per i grifoni entrerà nella storia, con l'imbattibilita della squadra di Ilario Castagner.
Forse in quel pomeriggio, l'imprevedibile 2-1 finale per il Perugia sarà il primo grande tassello
dell'impresa stagionale, perché quella vittoria, contro la Juventus che appena pochi mesi prima
col suo blocco aveva regalato le emozioni del Mondiale in Argentina, nessuno l'avrebbe pronosticata.
 
Neanche un Mimmi Mazzetti che in telecronaca per Teleumbria, agli albori della tv privata regionale, colori' l'eurogol di Vannini con quell'espressione di giubilo, poi diventata il titolo di una trasmissione  (la più longeva tra le sportive nella storia televisiva regionale) che ancora oggi racconta il calcio senza urlare, senza scadere nella faziosita', ma con la passione autentica, lo stile e l'entusiasmo che quello che  e' in fondo un gioco, dovrebbe ispirare tutti.
E proprio l'impresa del Perugia, di quel Perugia, al Comunale di Torino dovrebbe essere
paradossalmente un elemento ispiratore proprio per il Gubbio domenica prossima al Barbetti.
 
Perché stavolta la Juventus della situazione avrà i colori biancorossi.
Non a caso il Perugia di Camplone arriva da 10 vittorie nelle ultime 11 gare, quasi come i bianconeri
di Conte, e se in classifica di Lega pro non ha fatto il vuoto e' solo perché il Frosinone dell'ex Ciofani
– guarda caso unica squadra non uscita sconftta con i grifoni negli ultimi due mesi - ha tenuto botta.
Al Gubbio, al Gubbio incerottato dell'ex Cristian Bucchi (altro ex grifone da giocatore), zeppo di squalificati e infortunati, servirà  una prestazione di quelle impossibili ma che qualche volta la dea Eupalla si e' divertita a incasellare nel contorto labirinto delle emozioni calcistiche, anche nella storia rossoblu.
 
La coreografia di Gubbio-Torino, ottobre 2011
Servirà un'impresa come quella...
Servira' una gara memorabile per cogliere un risultato a suo modo storico.
Già perché la vittoria del Gubbio sul Perugia, in campionato, manca da qualcosa come 65 anni,
30 maggio 1948 serie B, un'era geologica pensando al calcio.
E pensando anche a quello Juventus-Perugia che sarebbe sbucato fuori 30 anni dopo...



Da "Il Rosso e il Blu" di martedì 7 gennaio 2014
Musica di sottofondo: "Should be dancing" - Bee Gees (1976)



 


 

 

 



 

 

 

mercoledì 8 gennaio 2014

La storia di Calabresi: dalla fiction alla realtà di quegli anni... fino alla proiezione odierna

Ho letto una recensione lapidaria sul capitolo della serie "Gli anni spezzati", in onda su Raiuno, dedicato al commissario Luigi Calabresi. Ho seguito la seconda delle due puntate della fiction, e il giudizio e' sospeso tra le emozioni, un misto tra angoscia e tristezza, che la storia può ispirare e che già conoscevo, e le impressioni che il lavoro televisivo in se' può meritarsi.

Non sono un tecnico, nel senso che non posso precipitarmi in pagelle che tengano conto di fotografia, scenografia, montaggio cinematografico.
Sono pero' un telespettatore, un telespettatore che per altro conosceva piuttosto bene quella storia.

Sia perche' nutro passione autentica per tutto ciò che e' "Anni Settanta" - le luci quanto le ombre - sia perché ho letteralmente divorato la più' appassionante testimonianza narrativa che su questa vicenda potesse esserci: il libro di Mario Calabresi, figlio di Luigi, oggi direttore de "La Stampa". Il suo "Spingendo la notte piu in la'" e' qualcosa piu che un semplice libro. E' un parlarti dentro, un sussurrarti il vissuto di una famiglia che come molte altre ha sofferto i lutti di quell'epoca di piombo e di esasperazione ideologica. E come altre ne ha portato la croce silenziosamente e dignitosamente. Prima, durante e dopo.

Il libro? L'ho letto forse in un tempo inferiore a quello necessario per vedersi le due puntate della fiction. Il primo, e finora unico, fagocitato in meno di un giorno (era un lunedì di Pasqua). E forse sarà anche il primo libro che in vita mia prima o poi andrò a rileggere (operazione che molti fanno, ma che personalmente non ho mai sperimentato, anche se chi l'ha fatto mi dice che ne vale la pena - il problema e' anche che spesso si fatica a leggere una volta i libri, figuriamoci il bis...).

La fiction? Beh quella forse non riproduce in modo così fedele e schiaffeggiante l'atmosfera della Milano ostaggio della contestazione, vittima delle sparatorie, culla di quel fenomeno chiamato "Brigate rosse" che terrorizzerà per oltre un decennio il Paese.
Questo clima in effetti si fatica a percepire.

Una foto originale della deposizione di Calabresi nel 1971
Ma la figura di Calabresi e' di una compostezza e di un'efficacia uniche. Un prefetto Mori venuto a galla 30 anni dopo, senza vezzi, senza vizi, talmente scevro di caratterizzazioni da apparire quasi ibrido persino a chi gli stava accanto. Eppure Luigi Calabresi era il prototipo dei "Servitori dello Stato" (la S non e' maiuscola a caso) che dovettero tapparsi occhi e orecchie, alzare le spalle, far finta di non essere soli. O peggio ancora, di non essere strumento di qualcosa di piu' grande. E innominabile. In quegli anni come nel ventennio successivo (leggasi Falcone, Borsellino e altri magistrati rimasti soli contro il gigante della criminalità organizzata e infiltrata).

Un personaggio asciutto e fermo, Calabresi, come lo sguardo che l'attore Emilio Solfrizzi (conosciuto finora in ruoli decisamente meno "impegnativi") ha saputo riprodurre, i sorrisi strappati col contagocce, l'affetto intimo e discreto con la moglie e con i figli, a far da contraltare alla durezza della quotidianità passata tra rinvenimenti di cadaveri e indagini oscure.

Ma la dote che il personaggio Calabresi piu di tutte esalta - e proprio l'interpretazione essenziale rivela come un Uniposca la tempra del soggetto - e' la dignità, la fermezza, la determinazione pervicace con cui il Commissario va avanti. Non si ferma di fronte alla campagna d'odio che Lotta Continua e i media della "contro-informazione" dell'epoca fanno sorbire ad un'opinione pubblica confusa e impaurita. Non si ferma di fronte alla pressione, alle minacce, alla raccolta firme contro di lui, agli epiteti che per strada o in tribunale gratuitamente gli piovono addosso.
Molti dei firmatari di quegli appelli deliranti sono diventati conduttori tv, rinomati opinioni e perfino premi Nobel. Perfino alcuni dei protagonisti di quell'esperienza tragica ("Lotta continua"), figlia del periodo ma certo non esente dalla responsabilità di aver procurato le macchie peggiori di quel periodo, oggi hanno ancora preso parola e detto la loro, stroncando questa
Forse il senso di colpa

"Ormai vige la legge della menzogna, vale solo quella" commenta silente in auto con il suo assistente, Claudio Boccia.
Non conta cosa e' accaduto davvero con l'anarchico Pinelli in quella stanza del Commissariato. La sentenza e' già stata scritta dai giornali e dalla cecità dell'esaltazione ideologica di sinistra. E' stato Calabresi, il fascista, il reazionario. L'odio scorre come un carburante altamente infiammabile e alla fine, una mattina del maggio 1972, trova la sua miccia nell'attentato, proprio sotto casa.

"Perché commissario non gira armato?" gli aveva chiesto qualche giorno prima il giovane poliziotto che lo seguiva come un'ombra.
"Se mi spareranno, non avranno il coraggio di guardarmi in faccia. A che mi serve un'arma?".

L'agguato alle spalle era un cult di quegli anni. Poco importava che potesse sembrare perfino vigliacco.
Poco importava che potesse sembrare perfino un assassinio...
 
Qual è il senso di rivedere tutto questo? E' il senso di riflettere su una stagione che nessun libro di storia riesce ancora a spiegare. E se prova a farlo, rimane probabilmente chiuso nei meandri dei programmi scolastici che faticano ad arrancare già nel secondo Dopoguerra.
Forse servirà ancora tempo per avere un quadro limpido di quell'epoca. Serviranno anni, servirà una nuova generazione, più slegata dalle incrostazioni ideologiche degli anni Settanta - di cui ancora, fortunatamente in minima parte, si percepisce qualche tiepido sentore.
I problemi oggi sono altri. Percepiti decisamente come più gravi e impellenti delle "lotte di classe" di quel periodo.
Ma una cosa gli "anni Settanta" e la vicenda Calabresi ci dovrebbero insegnare, in proiezione attuale: quale è il modo più sbagliato, deflagrante e illusorio per rivolverli...


venerdì 3 gennaio 2014

Paese che vai, problemi che trovi: e gli interrogativi post conferenza a Foligno

La residenza municipale di Foligno
"Paese che vai, problemi che trovi".
La frase è banale, ma mi è venuta in mente stamattina, durante la conferenza stampa della Giunta comunale di Foligno.
Catapultato nella città della Quintana, mi sono trovato a dover "sbrogliare" la matassa dell'appuntamento di bilancio di fine anno di una Giunta di cui ho seguito poco e saltuariamente le attività, avvertendo per lo più l'eco delle polemiche l'hanno circondata: le eterne pavimentazioni - Trg ha aperto la redazione nel 2006 e già erano oggetto di conflitti - e ora le Ztl nel centro storico.

Conta poco. Il servizio doveva essere fatto ed è stato fatto.

La riflessione però è partita subito dopo.
Non è la prima conferenza che faccio in questo quarto di secolo in cui mi sono dilettato a scrivere, ma questa è stata tra le più estenuanti. In compenso ho scoperto che - stando a quanto riferito - si sono conclusi lavori "epocali" per il centro storico folignate (oltre un centinaio di chilometri di scavi per le linee, e 100 mila mq di superficie pavimentata), il bilancio è in ordine - anche se blindato dagli imperturbabili patti di stabilità - gli eventi 2014 sono già da "sold out" (santificazione di Beata Angela e Giro d'Italia a metà maggio) e in definitiva c'è chi è messo molto peggio del comune di Foligno (ad esempio, la vicina Spoleto che pur crogiuolandosi nei ciak di "Don Matteo" sembra che abbia numeri da capogiro, in negativo, nei conti del proprio Comune o sicuramente le commissariate Gubbio e Gualdo Tadino).

La giunta folignate, seduto al centro il sindaco Mismetti
Il rovesco della medaglia è stata l'ora e 45 minuti di conferenza che non può definirsi "conferenza stampa" dato che la stampa, presente, si è dovuta sorbire l'equivalente di un partita di calcio, compreso l'intervallo, di elencazioni, enumerazioni e realizzazioni.
Ho sempre pensato - non solo in questa occasione a Foligno - che in fondo fosse una tattica per "snervare" gli interlocutori della stampa, in modo da farli arrivare "tramortiti" al momento delle domande, e annichilirli nelle loro energie migliori.
Non è stata una sorpresa che - dopo i 100' di audizione interminabile di sindaco e 8 assessori (tutte tematiche interessanti, per carità, ma la capacità di sintesi è un'altra cosa) - praticamente non c'è stata alcuna domanda da parte dei colleghi presenti - che certo più del sottoscritto avrebbero potuto "scavare" a fondo di alcune questioni. Se si eccettua il buon collega Camirri ("Messaggero") che ha stuzzicato a suo modo la Giunta su alcuni atti di vandalismo perpetrati poche ore prima su un presepe cittadino.
Una forma di protesta? Un silenzio stampa, per una volta indetto dalla stampa?
Non lo so. Forse. Fosse anche così, un po' inefficace.

Secondo me le conferenze stampa, forse, dovrebbero svolgersi esattamente al contrario: prima le domande della stampa (sennò che si chiama a fare "conferenza stampa"?), poi - semmai - le enumerazioni su tutto ciò che queste domande non avranno nel frattempo trattato.
Questione di punti di vista.

P.S. Se il quadro delineato dal governo folignate risponde al vero, tempi duri per le opposizioni. Anche se, come in molte altre parti d'Italia, sembra che anche all'ombra del torrino il Pd - partito del sindaco - si stia impegnando energicamente per complicarsi la vita da solo.
Per la serie: "Paese che vai, problemi che trovi" (o se non ce l'hai, che ti procuri).