L'aspetto più deteriore nei successi di un campionissimo è la convinzione, radicata gradualmente nei suoi tifosi, che la vittoria sia qualcosa di scontato. Il rischio con Jannik Sinner è gigantesco, come lo è la sua prestazione complessiva in questo 2024 semplicemente da incorniciare. Culminato, almeno nelle competizioni ATP; nella splendida vittoria alle Finals di Torino. Dove non è bastato un Taylor Fritz sontuoso e definitivamente sbocciato, per sbarrare la strada al "Fenomeno della Val Pusteria" (definizione che avremmo fino a qualche anno fa, immaginato per un campione di slittino).
Jannik Sinner in tre anni ha scalato le vette più ripide dell'Olimpo tennistico, portando l'azzurro dove mai avremmo nemmeno sognato: numero 1 al mondo, vincitore di 2 Slam, vincitore delle Finals e trascinatore della Nazionale alla riconquista, dopo 47 anni, della Coppa Davis. Lo racconteremo ai nipotini tra qualche anno a Natale dondolandoci davanti al camino...
Il segreto - che pare anche garanzia di continuità nella striscia straordinaria - sta soprattutto nella testa e nella mentalità di questo 23enne, cresciuto tra le vette dell'Alto Adige, in quella terra bilingue che visse la tragedia della Grande Guerra e che oggi è meta ambita degli amanti dell'alta quota e delle piste innevate più affascinanti. "Se perdo il giorno dopo mi alleno. Se vinco, il giorno dopo mi alleno". Il resto lo fa madre natura, che lo ha dotato di un talento sconfinato, ma anche di una capacità di abnegazione impareggiabile: lo dimostra la crescita tecnica su alcuni fondamentali che tre anni fa erano un limite (la battuta), la tenacia inflessibile con cui reagisce anche ai momenti più delicati, la capacità quasi robotica di sovvertire le situazioni più compromesse (già nella storia lo 0/40 sul 4/5 del secondo set contro Djokovic nella David 2023, da cui risalì per vincere il set e poi il match, regalando all'Italia la finale con gli australiani).
Per raccontare degnamente Jannik Sinner e le sue imprese servirebbe ampliare lo Zanichelli con nuovi aggettivi. Ci rinunciamo in attesa di rinfrescare il suo palmares personale e di squadra. Già, perchè ora arriva la Davis. A Malaga l'Italia si presenta da detentrice del titolo, da aspirante vincitrice, da squadra da battere. Insomma c'è tutto per andare incontro ad una colossale trappola e ad una cocente delusione, se la mentalità non sarà quella di Jannik. Sia da parte della squadra che della tifoseria: perchè se c'è un solo aspetto deleterio nelle straordinarie vittorie di un campionissimo - ormai già paragonabile ai fenomeni moderni dello sport azzurro, come Tomba, Valentino o Fede Pellegrini - è l'assuefanzione alla vittoria. Che invece resta la cosa meno scontata di questo mondo (chiedetelo agli americani del basket). A Malaga ci aspetta un'Argentina che non ha nulla da perdere, e se dovessimo andare avanti il team USA con il dente avvelenato e caso in finale probabilmente quella Spagna padrona di casa con il duo Alcaraz-Nadal, e soprattutto con il maiorchino che vorrà chiudere la carriera con l'ennesima coppa da alzare al cielo.Non sarà facile ma c'è un dettaglio che rende ancora inebriante la sequela di trionfi di Jannik: la sensazione che sebbene il bottino sia già ricco come non mai... il bello debba ancora venire.