Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 7 luglio 2017

Il 7 luglio di dieci anni fa... e quello scenario, ad Ischia, indimenticabile

7 / 7 / 07. Ci credete all'alchimia dei numeri?
Io no, però il 7 l'ho sempre considerato il numero più bello. Un fascino speciale.
Sarà il tratto netto e continuo, ma non presuntuoso (da numero 1, insomma).
Sarà la leggera inclinazione, elegante e ironica; e anche la capacità di rifarsi il look (per chi lo scrive col trattino in mezzo).

Insomma il 7 è il 7. Gli altri sono solo numeri...
E anche se non ci credo, il 7.7.07 è un giorno che mi resterà nella memoria, senza il rischio di bruciare il back up. Per parecchio.

Ero ad Ischia. Che "scialo"... Sono passati dieci anni e, come si dice in questi casi, mi sembra ieri. Ho ridato un'occhiata anche in questi giorni al sito del Premio Internazionale Ischia di giornalismo, tanto per rinfrescare la memoria.
Sempre bei nomi sul parterre.

La borsa di studio "Marco Suraci" legata al Premio Ischia - quella che vinsi, molto a sorpresa, anzi il più sorpreso ero proprio io, avendo messo in fila circa 700 colleghi che sostennero con me l'esame per l'accesso all'Albo Professionisti - da qualche anno, non l'assegnano più.

Da qualche anno viene ricordato Biagio Agnes, presidente del Premio Ischia e storica guida della Rai negli anni d'oro del pentapartito: quando però la qualità (dei programmi) non era ancora schiava della parola auditel...

L'avevo conosciuto in quella edizione, 10 anni fa: personaggio di spessore, certamente rappresentava l'establishment, l'aristocrazia di un Regno delle Due Sicilie che in certi ambienti, non solo Rai, continua a contare. Aveva classe: non dimenticherò il baciamano a Milly Carlucci sul palco, in quella serata. Un gesto semplice, elegante. Di distinzione.
Nella chiacchierata piacevole che fu occasione di conoscenza reciproca, mi permisi di suggerirgli di arricchire il Premio Ischia con una sezione dedicata all'informazione locale: una galassia sconfinata di realtà - di carta stampata, radio, tv e negli ultimi anni anche internet - dove spesso si mescolano talenti e ciarlatani.
Senza distinzione, e senza gerarchia (anzi, i secondi - come in tanti altri "mestieri" - spesso si ritrovano a dirigere i primi). Ma quei talenti, altrettanto spesso, rischiano di restare confinati nella cronaca della porta accanto - che è pur sempre giornalismo, e proprio per questo meriterebbe di essere valorizzato.
Biagio Agnes annuì, sorridendo. Mi disse che era una buona idea. Anche se non so se lo fece per "farmi contento" o se lo credeva davvero. Il "Marco Suraci" non c'è più. Ma non c'è neanche il premio al giornalista di stampa locale. Quindi la chiacchierata è finita lì.

Ricordo quelle due-tre giornate estive di assoluto relax e di emozioni totali, come un viaggio nell'elite del giornalismo italico, quasi una passeggiata inedita alla Pollon in un Olimpo apparentemente distante e invece incredibilmente vicino: qualche nome?
Per la sezione carta stampata, fu premiato Mario Orfeo (allora direttore del "Mattino", oggi alla guida di Mamma Rai), per la radio Aldo Forbice (per tutti "Zapping", Radio Uno), per la Tv Barbara Parodi Delfino (Tg5), il Premio Ischia alla carriera andò al "mitico" Emilio Rossi, e tra i giovani (più o meno miei coetanei) Ilaria Cavo (Mediaset), Annalena Belini (Il Foglio), Valeria Braghieri (Libero).
Conobbi Antonio Ghirelli (storica firma del Corriere dello Sport), fui colpito dall'affabilità di Luciana Frattesi (vice direttore di "Oggi") che ricordo mi riconobbe perché si era studiata, già all'arrivo in albergo, i nomi e i volti dei premiati (scoprì in quel momento che la mia "bella" faccina stava in un libro stampato in non so quante migliaia di copie e distribuito in tutta Ischia in quei giorni... ). E fui colto di sorpresa dall'altezza di Paolo Bonaiuti - che l'anno dopo sarebbe tornato ad essere Sottosegretario della Presidenza del Consiglio.
Il parterre del Premio Ischia, sullo sfondo il Castello Aragonese
Sul traghetto che ci condusse dalla piazzetta centrale di Ischia Ponte - arricchita da uno sfondo incantevole con il Castello Aragonese - al ristorante dove era allestito il galà conclusivo della serata, mi ritrovai di posto a fianco di due personaggi che guardai sicuramente in modo strano (lo capii da come loro riguardarono me): a destra Ciriaco De Mita, a sinistra Sergio Cragnotti. Cosa stessero a fare lì, non l'ho chiesto, non me lo sono chiesto, anzi ho rifiutato di pormelo come domanda. Punto.

Ricordo piuttosto molto piacevolmente l'amicizia nata con Mattia Feltri - marito di una delle giovani premiate - e figlio d'arte "atipico", oggi titolare della rubrica "Buongiorno" de "La Stampa" di cui è apprezzato editorialista politico: vedendolo e soprattutto conoscendolo da vicino non avrei detto fosse il figlio di Vittorio Feltri (anzi, lo seppi dopo averlo conosciuto, perché ci eravamo ritrovati allo stesso tavolo in una cena di quelle in piedi - a buffet - e si era iniziato a "cazzeggiare" insieme).
Mi è sembrato molto diverso - lui ironico, scanzonato e in alcuni momenti, gigioneggiante - dal clichè che contraddistingue suo padre - rigoroso e asburgico. L'ho incontrato negli anni a seguire a Gubbio, alla Scuola di Formazione del PDL, come inviato de "La Stampa". Ho cominciato a leggerlo e seguirlo: e ho capito, invece, che era proprio il figlio di un grande Direttore.

Ricordo il profumo di Ischia, di un'isola accogliente e pulita - che avevo già toccato con mano un paio di volte all'inizio degli anni Novanta per dei corsi da addetto stampa Libertas che l'amico Fernando Sebastiani mi aveva "procurato" generosamente.
Ma quella sera aveva un sapore speciale. Non dico da Notte degli Oscar, ma da passerella esclusiva, un po' sì. Anche se vissuta in maniera spensierata: avevamo fatto gruppo, quelli "giovani", e avevamo cenato con una pizza in piedi e una Coca - tutti vestiti a puntino con le colleghe imbellettate, diremmo a Gubbio, da veglione ceraiolo.
"Mi fate fare un figurone" avevo detto loro. E ricordo l'emozione quasi tremante di una Valeria Braghieri - una abituata a raccontare il jet set, fresca di firma di un istant book su Fabrizio Corona, con cui aveva allacciato un'amicizia speciale - che mi confidava il suo terrore a salire sul palcoscenico. E mi chiedeva: "Ma tu come fai a stare così tranquillo?". Nascondevo bene...
Li avrei ritrovati tutti qualche mese dopo al Quirinale, per la giornata nazionale dell'Informazione, con l'allora Presidente Napolitano che premiava uno ad uno i giornalisti insigniti di un riconoscimento in quel 2007. Di quella giornata - off limits per flash dentro al Palazzo del Presidente della Repubblica - ho solo una foto: con mia moglie e la mia piccola Vittoria (che aveva 5 mesi) fuori dal Quirinale. Me la feci fare dal primo collega che usciva dalla premiazione, passandomi accanto. Toni Capuozzo, un mito.

Alla fine, a dirla tutta, il palcoscenico in sè non fu un'apoteosi: un paio di minuti, un paio di domande pre-confezionate di Milly Carlucci, l'emozione sì di una proclamazione (che fa sempre piacere), ma anche un pizzico di delusione (proprio così...) per essere premiati con una busta di carta (devo essere sincero? perfino quella, vuota), senza un straccio, che so io, di una targa, un "gingillo", una coppa riciclata da qualche torneo di calcetto parrocchiale.
Forse sono un po' pretestuoso ma ho capito che la parola fiction non va usata solo per "Don Matteo".
Semmai il bello di quella passerella furono - come sempre, in tutte le vicende emozionanti che si rispettino - gli istanti prima. L'attesa, la chiamerebbe qualcuno. Il dietro le quinte. La leggera ma intensa fibrillazione di quegli istanti, in cui aspetti che ti chiamino, prima che le luci diventino abbaglianti.
E in quei momenti ho ripensato - ebbene sì - a mio nonno. Pompeo Pierucci, professione macellaio. Sembra strano, ma fu lui - lontano anni luce dall'ambiente che sarei andato poi a fare mio - a farmi iniziare questo "mestiere", nel lontano 1986, accompagnandomi fino in cima alle scale di Radio Gubbio nella affumicata sede storica di via Ansidei. Un tutor sui generis, è proprio il caso di dirlo. E quello che oggi chiameremmo stage (imparare il mestiere, accanto a colleghi come il prof. Chiocci e Massimo Boccucci) fu il mio approccio a ciò che sarebbe diventata la mia professione.

In quell'attesa, sul palco di Ischia, dietro le quinte, con un paio di tizi con la cuffia addosso che mi appoggiavano la mano sul busto per indicarmi che ancora era presto per entrare, per un momento, mi è tornato davanti il film di tanti anni di "gavetta". E di mio nonno che mi aveva guidato ad iniziare quel percorso.
Mi immaginavo che potessi vedermi, da non so dove, e sorridere compiaciuto, battendo il bastone che lo aveva accompagnato negli ultimi anni tra la sua abitazione di piazza Bosone e la macelleria di via Cavour. C'aveva visto lungo, quando mi aveva convinto a seguirlo a Radio Gubbio per la prima volta...
E io non potevo che dedicargli nel mio intimo, quel riconoscimento. Quel momento lì...

venerdì 30 giugno 2017

Quanti flash da questo giugno... per essere racchiusi in un racconto fotografico...

E' possibile condensare le emozioni di un mese così intenso, così lungo ma in fondo anche così fugace ed effimero, in un racconto fotografico?
Ci provo con questa carrellata. Molto personale. Molto mia. 
In fondo, ripercorrerla così, alla rinfusa, è ancora più piacevole...


13 giugno, ore 21 - Ambasciata d'Italia alla S.Sede, Roma
La foto di gruppo, siamo tutti o quasi,
dopo aver condiviso una serata davvero memorabile...

2 giugno, ore 12 - Scalea palazzo dei Consoli, Gubbio
E' come un urlo di Munch, quello che proietta all'ingresso
trionfale in Piazza Grande, i tre piccoli grandi capodieci.
E' l'ora dell'alzata...
15 giugno, ore 16.15 - via Fontecese, Gubbio
In collegamento con "La Vita in Diretta" insieme a Franca,
per raccontare in Rai la storia di amicizia di Guglielmina e Peter.
Da un luogo simbolo di questa vicenda... e del mio coinvolgimento


13 giugno, ore 20 - Ambasciata d'Italia alla S.Sede, Roma
Il parterre dei relatori alla presentazione de "Nel segno dei padri":
l'Ambasciatore Daniele Mancini Franca Vantaggi, Peter Staudacher,
e alla mia sinistra, Giuseppe Severini e padre Federico Lombardi.


2 giugno, ore 5.45 - via Fabiani, Gubbio
Per Giovi è il momento più bello dell'intera giornata,
l'attesa della "sveglia". Insieme al fraterno capocetta Ale

8 giugno, ore 18.30 - Santuario Immacolata a Chiaia, Napoli
A sorpresa il magistrato Giandomenico Lepore, a capo del pool
che ha stroncato i Casalesi, interviene alla presentazione
de "Nel segno dei padri", condotto da Vania De Angelis

15 giugno, ore 16.25 - via Fontecese, Gubbio
In diretta da Roma, Marco Liorni introduce la storia di Guglielmina e Peter
con un servizio dedicato anche all'incontro di Roma. E' la seconda volta
che siamo in diretta insieme. Dopo quel 7 dicembre 2011...

13 giugno, ore 18.15 - Ambasciata d'Italia alla S.Sede, Roma
Prendo la parola, di fronte ad un pubblico in buona parte familiare,
ma in un luogo di altissimo lignaggio, e con ospiti di straordinaria importanza.
Forse resterà la presentazione più emozionante di questo pezzo di vita...


2 giugno, ore 11.40 - via Dante, Gubbio
Giovi insieme a Vittoria e alle cugine Virgina e Flavia nel più bel sorriso
di una giornata incommensurabile. Qualche ora dopo, in quello stesso punto
sarà la volta della paura più grande... fortunatamente superata

10 giugno - ore 14.15 - via Fabiani, Gubbio
Non riuscirò a vederlo dal vivo, ma in tanti mi contatteranno
per avvertirmi o anche solo per congratularsi. Del servizio del TG3 regione
su "Nel segno dei padri", grazie a Mino Lorusso in "Colophon"


2 giugno, ore 19.45 - ultimo stradone monte Ingino, Gubbio
Giorgio, Giacomo e Giovanni in attesa dell'arrivo dei ceri.
Per concludere insieme questa giornata indescrivibile.
Tre generazioni di pura passione santantoniara...

1 giugno, ore 13, via del Molino, Gubbio
Il gusto di sfogliare il settimanale più diffuso in Italia,
"Famiglia Cristiana" con 4 pagine dedicate a "Nel segno dei padri"
grazie al servizio, con tanto di piacevole pranzo, di Anna Chiara Valle 


4 giugno, ore 14.30, cortile palazzo Barbi, Gubbio
C'è rimasto un solo stendardo in tutto il cortile. Fino a pochi minuti prima
erano ancora in tanti, tutti dei colori di Sant'Antonio.
Per un giorno, un solo giorno, ho voluto lasciare solo lui: ricordando tutto,
dalla festa consumata tra tanti amici in questo piccolo pertugio di casa,
alla giornata più intensa e appassionante, iniziata con lo squillo rivolto a questa fiamma.

sabato 17 giugno 2017

In un mese di giugno irripetibile, una giornata unica: per il prestigio del luogo e la familiarità dell'atmosfera...

Foto di gruppo finale nel cortile dell'Ambasciata
Non è facile racchiudere in un semplice post del blog quello che queste prime settimane di giugno mi hanno regalato in termini di emozioni.
Diverse tra loro, perchè differenti sono stati gli eventi che hanno scandito giornate felicemente interminabili, nelle attese, quanto immancabilmente brevi, nel loro consumarsi. Il comun denominatore è la piacevole sensazione di ciò che ne è rimasto.
Un dolce sapore di intensità. Che non è nostalgia, ma un sottile senso di appagamento. Nella consapevolezza che nulla era scontato. Né che tutto ciò accadesse, né che lasciasse questa intensa gratificazione interiore.

Un momento della presentazione nell'atrio di Palazzo
Borromeo, sede dell'Ambasciata d'Italia del Vaticano
E se il 2 giugno ha "spaccato" come un tuono quando irrompe sulla scena di un temporale, il successivo 13 - con la presentazione del mio libro all'Ambasciata d'Italia presso la S.Sede - ha irradiato il suo calore incandescente: come un solleone di un sabato pomeriggio, addolcito però da una brezza che sembra quasi rassicurarti. L'orgoglio e la soddisfazione di questa giornata sono qualcosa che sto assaporando gradualmente, attraverso i commenti entusiasti di chi ha partecipato, e le parole accorate di chi ha potuto apprezzare questa serata in tv. Magari rimpiangendo di non esserci stato.

Il parterre di relatori alla presentazione a Roma:
da sin, l'ambasciatore Mancini, Franca Vantaggi, Peter
Staudacher, e accanto a me, Giuseppe Severini e padre
Federico Lombardi


Più che con le mie, voglio ricordare quella giornata con le parole di alcuni relatori (che riporterò nel prossimo post). E con le foto che grazie a Simone Grilli e Giampaolo Pauselli (insieme a Marco Signoretti) mi aiuteranno a mantenere ancora più vivo il ricordo di una giornata ... unica ed esclusiva: per il prestigio del suo contesto, per l'autorevolezza dei suoi relatori, per il calore familiare dell'atmosfera che, a dispetto della sede istituzionale, si è felicemente creata, con tutti, dopo la cerimonia. Quasi fossimo una grande famiglia.
Come testimoniato anche dalle parole che la famiglia Staudacher mi ha inviato appena il giorno dopo, al rientro in Germania:

Accanto a Franca Vantaggi, Ursula e Peter Staudacher,
Simona Fanelli (interprete) e i due delegati delle ambasciate tedesche
Cristian Heldt (ministro ambasciata Germania alla S.Sede) e Stephan
Schneider (cons. culturale Ambasciata Germania al Quirinale)



"Siamo rientrati a Gardelegen ed abbiamo fatto buon viaggio.
La giornata trascorsa a Roma è stata per tutti noi un' esperienza che mai potremo dimenticare. Per questo vogliamo ringraziarvi in modo speciale. Anche perche' il destino dei nostri padri e' stato omaggiato cosi' tanto e cosi' profondamente. Non ci siamo sentiti estranei fra estranei, ma parte di una grande famiglia che si conosce da lungo e festeggia un incontro in un'atmosfera  di intimita'. Per questo ringraziamo l'Ambasciatore per la sua ospitalità e tutti gli eugubini presenti cosi' cordiali ed affettuosi.
Mercoledi mi ha intervistato la giornalista Christine Seuss di Radio Vaticana tedesca che vuole cercare un editore in Germania. Forse si realizzera' una vostra visita in Germania prima di quanto immaginato e ne saremmo molto felici.
Saluti speciali a tutti".


sabato 10 giugno 2017

Delle due brocche, è venuta quella giusta. Quella più bella. Quella di Giovi...

"Se avessi avuto davanti due brocche, una per te e una per tuo figlio, e ti avessero costretto a sceglierne solo una, quale avresti scelto?".

Non ho dubbi. "Ecco, il destino ha scelto per te".

Mi sono ripetuto spesso questa frase negli ultimi due mesi. Me l'aveva regalata il mio grande amico Guerrino Mischianti, telefonandomi una sera, pochi giorni dopo l'elezione (o meglio l'estrazione) di mio figlio a capodieci del cero piccolo di Sant'Antonio. Mi aspettavo che sarebbe stato un giorno speciale. Mai mi sarei immaginato di vivere però una giornata intensa e appagante come il 2 giugno successivo.


Un'intera giornata di emozioni. Intera nel senso vero della parola. Perché a cominciare dalle una del mattino mi sono svegliato e non ho ripreso più sonno. Girandomi e rigirandomi inutilmente su un letto che non era mio, a conteggiare i secondi di una vigilia che in fondo, non doveva essere mia. Ma che mi sentivo addosso, inevitabilmente, come un pigiama umido di ansie, impazienze, gioie, aspettative e punti interrogativi.
Nel passare inesorabile e inamovibile di quelle tre quattro ore prima che la sveglia facesse finta di destarmi, mi è scorsa di fronte quella che con un pizzico di vanagloria si tende a definire "carriera ceraiola". E mi sono ricordato, ad esempio, che da ceraiolo "attivo" non avevo mai perso un'ora di sonno per quella tensione che poi, mi avrebbe puntualmente abbracciato dalle 3 del pomeriggio. Finita la mostra. Contorcendomi lo stomaco, congelando le mani (ricordo che sul corso finivo per appoggiarle sulle mattonelle calde, per trovare un pizzico di tepore, quasi stessero fremendo pure loro per quello che stava per accadere...) e azzerando qualsiasi parvenza di salivazione. Tanto che dopo aver bevuto prima di uscire da casa, non facevo in tempo a scendere in strada che già una nuova sete mi assaliva.


Stavolta no. Ero lì a occhi aperti, sapendo di non aver alcuna chance di riaddormentarmi. Mi sono chiesto se sarebbe stato così anche per il mio Giovanni. Che nei suoi splendidi 12 anni avrebbe potuto vivere sicuramente più spensierato ma forse anche più preoccupato quella giornata speciale. Magari cercando proprio in suo padre un rifugio nel quale ripararsi da paure e timori, al quale chiedere consigli, sul quale appoggiare le proprie attese. Mi immaginavo fremente di seguirlo durante la giornata, restandogli attaccato tutto il tempo, rischiando di dimenticarmi magari la cavia prima dell'alzata, o di non svegliarmi al pomeriggio (incubo classico del ceraiolo). Insomma ero lì a intorpidir l'attesa certo che mi aspettava una giornata di angoscia pura. Mi sbagliavo.


Il 2 giugno è stata una delle giornate più belle della mia vita. E qualunque cosa mi riservi ancora questo 2017 - che pure di soddisfazioni anche inaspettate, mi sta già dando - quel 2 giugno resterà incastonato in una bacheca intangibile. Autentica, pura, cristallina. 

Come la spontaneità dei suoi protagonisti. I tre capodieci. Antonio, Giordano e appunto Giovanni. Sorridenti, leggeri, gioiosi. Mai stanchi, mai indecisi, mai banali nei loro gesti naturali. 

Quasi che il ruolo di capodieci appartenesse loro ormai da tempo. Si potrà dire la stessa cosa dei piccoli capodieci che li hanno preceduti negli anni scorsi. Ma ovviamente non potevo seguirli con lo stesso sguardo, con la stessa magnetica attenzione. 

Hanno imparato tanto, i tre capodieci da questa giornata. Ma ci hanno anche insegnato tanto. Con il loro essere veri, il loro essere ceraioli. 

Il loro cadere e ripartire. Il loro ascoltare in silenzio, e il loro agire. Negli abbracci che si sono scambiati continuamente. Anche quando non era scontato aspettarseli. Ad esempio all'ingresso del chiostro. Ad esempio con la brocca in mano appena usciti dalle sale degli Arconi.

Il momento più bello? È stato un susseguirsi di istanti straordinari. Per Giovanni, ad esempio, e' stata la sveglia. Anche in questo, fuori dagli schemi. Che avrebbero suggerito magari, che si dicesse alzata o calata. Specie questa calata dei Neri. Palpitante e col thrilling di un imprevisto causato dall'imbecillità dei più grandi. Che ci fa sperare, da un lato, che i nostri figli non crescano mai.

No, la sveglia ha avuto un suo decorso singolare. Nell'attesa dell'arrivo dei tamburini, consumata da Giovanni e Alessandro nel giardino, dietro un tasso centenario che avrebbe fatto da quinta per la loro uscita (o meglio entrata) in scena. Non so cosa si siano detti in quella mezz'ora. Erano impeccabili nelle loro divise. Come lo sono sempre stati nel loro atteggiamento. Uniti come due fratelli.

Un capitolo a parte meriterebbe il loro rapporto di amicizia fraterna. Due piccoli grandi santantoniari, nell'affiatamento, nella sintonia, in quella spontanea simbiosi figlia di una comune appartenenza praticamente a tutto quello che la vita quotidiana può offrire ad un ragazzino di 12 anni: a scuola insieme, a basket insieme, con gli scout insieme, a chitarra insieme, e poi catechismo, il calcio a Madonna del Prato e ovviamente il cero. E se per Giovi potrebbe sembrare più scontato l'attaccamento alla camicia Santantoniara, la scelta di Alessandro (di famiglia sangiorgiara verace e appassionata) si erge come un esempio di determinazione e autenticità non comuni, soprattutto perché compiuta in tenerissima età. Guarda caso per l'amicizia, fin da allora fortissima, con Giovanni.

Forse avranno parlato anche di questo, non lo so, in quella mezz'ora di attesa in giardino, prima che i tamburi e il trombettiere squarciassero la quiete del cortile - che tre sere prima aveva ospitato tantissima gente in una serata bella, intensa e divertente. Vederli scendere di corsa dai tre scalini oltre il tasso, leggere nelle loro braccia alzate la gioia di questo giorno, l'incontenibile voglia di viverlo fino in fondo, mi ha dato quella serenità che non immaginavo solo poco prima nel letto insonne. Una sensazione ammaliante, come una carezza, che mi avrebbe accompagnato tutta la giornata.

A parte due picchi. Due picchi di emozione che non ricordavo più potessero toccarsi con il cero vicino. L'alzata e la Calata. Due momenti che per me hanno superato di gran lunga la rigidità delle attese vissute da Barbi o su le girate, quando il cero l'avrei dovuto prendere io.In quegli istanti ho avuto conferma che il rapporto con il cero non finisce. Cambia solo la sua dimensione. E la proporzione. Il cero portato è un mondo intimo, che vivi con te stesso. Una battaglia fatta di contrazioni muscolari e di incertezze emotive dalla quale puoi liberarti solo con il contatto diretto con la stanga. Finché non sarai lì sotto non avrai pace, ma dipenderà tutto da te. Quel peso e' tuo e solo tu potrai sbrogliartelo di dosso. Facendo quello per cui sei lì.

Il cero vissuto da padre ti porta su un altro pianeta. Che decuplica tutto quello che avevi vissuto e che pensavi potesse essere il massimo. Come se uno scalatore immaginasse di aver visto l'Everest. E poi scoprisse che c'è dietro una montagna alta il doppio. Ti sembra quasi di non aver fatto nulla, di essere lì per caso, di non poter intervenire, se non con qualche consiglio (se richiesto). E a fine giornata, ripensandoci, mi sono accorto che ho parlato pochissimo con Giovanni, di cero. Una frase durante l'alzata, e una prima della calata. Bastavano quelle evidentemente. Perché ha fatto tutto bene. E certamente meglio di come avrei fatto io, alla sua età.

Non dimenticherò i 10 minuti accanto alla barella in piazza grande, o i 10 minuti appoggiato alla chiesa dei Neri nel pomeriggio. Con mio padre vicino che brandiva la mazzetta (se la sarebbe portata dietro fino in cima al monte, per scavijare il cero, come gli aveva chiesto suo nipote) ed era tranquillo. O forse lo sembrava. E io che mi chiedevo dove trovasse le energie per esserlo. Non dimenticherò il rumore delle brocche infrangersi in terra, e quei ceretti farsi faticosamente largo tra la stupida folla che si accalcava ostacolandoli. Non dimenticherò il volto concentrato, impaurito ma lucido di mio figlio fermo a metà calata davanti al groviglio di persone in quei pochi istanti in cui venivano rialzati gli altri due ceri. E quelle frasi che gli urlavo da un metro ma lui non sentiva. E poi via, di nuovo i ceretti pronti a ripartire e involarsi sulla curva de la Statua. L'ansia di raggiungerlo faticosamente tra la folla, lungo tutto il Corso, fino alle colonne di Barbi dove sapevo sarebbe uscito. E non dimenticherò la sensazione appagante, di gioia e di soddisfazione nel chiostro. Per una giornata vera che il destino ci ha regalato. 

Non solo a me ma alla mia famiglia, per una festa che non è stata solo di Giovanni, ma di Vittoria e delle sue cugine, belle e orgogliose a fare da miss lungo la sfilata, del nonno, fremente e partecipe come non mai, durante tutto il giorno (l'ho visto sbucare sorridente dietro la barella in piazza Grande e ho capito che il suo cuore era carico di adrenalina), di Stefano, che a 30 anni esatta dalla sua brocca, gli ha dispensato consigli e raccomandazioni anche su cosa mangiare. 

O di mia madre i cui unici consigli erano per un segno del padre in più, di quelli che il giorno dei Ceri, prima di uscire di casa, mi inumidivano la fronte, facevo in fretta e furia quasi controvoglia, ma in fondo, dentro, sapevo di volere e non poterne fare a meno. Il 2 giugno è stato tutto questo. E forse anche molto altro, che ora non mi sovviene. Resta l'immagine di uno stendardo, bellissimo, che non vorrei mai togliere (per un giorno l'ho lasciato da solo, togliendo tutti gli altri), nato dalle mani sapienti di Elvira e dal tocco artistico di Pinzaja, generosi come lo è stata Caterina, per i paramenti della divisa.

Il 2 giugno non tornerà. Ma c'è stato, ed è stato ancor più bello di come l'avrei voluto. Una di quelle giornate che ti tolgono le energie, tutte. Tanto da renderti praticamente impassibile anche se, appena il giorno dopo, ad esempio, la tua squadra del cuore perde malamente una finale di Champions attesa da due anni. Chissenefrega (almeno per adesso) mi sono detto. Se le energie torneranno, se l'anestesia del 2 giugno finirà, forse sentirò un po' di dolore. Per ora c'e solo spazio per un po' di nostalgia e per un enorme grazie. Un po' a tutti. A cominciare da Ilaria, che dietro le quinte sa guidare la scena meglio di un direttore d'orchestra. E per tutto ciò che non ha riguardato la corsa, ha meriti che vanno molto di la di quelli del sottoscritto. 


E il grazie va anche e soprattutto a Giovanni. Che si è regalato e mi ha regalato questo 2 giugno. Senza copione ma con la spontaneità che appartiene a questa piccola parentesi finale. Che fa della Festa dei Ceri piccoli l'unica espressione degna di offrire una speranza per il futuro di questa comunità. La speranza che questa generazione mantenga la bellezza di questo giorno. Non solo per vivere i Ceri. Ma per se stessa.

"Non vedo l'ora che siano i Ceri, babbo". Anch'io non vedo l'ora Giovi. Ed era qualche anno che non me lo dicevo più...


giovedì 4 maggio 2017

I numeri? Per fortuna continuano a contare di più le parole: queste...

E' vero, non posso negarlo. Mi fa piacere. E me la godo un po'. Perchè in fondo, potevo sperarlo ma non me l'aspettavo.
La notizia uscita on line stasera su ibuk.it con la graduatoria regionale dei titoli di Narrativa, dove "Nel segno dei padri" sta lassù, in cima, come aggrappato al Campanone che sentiremo risuonare tra qualche ora, mi inorgoglisce. Sia perchè significa che la storia (con il libro) è piaciuta. Sia perchè sto in buona compagnia.
Ad esempio, sul podio mi ritrovo Marco Malvaldi, l'autore toscano dei ciclo che ha ispirato la serie tv del "Bar Lume". Lo intervistai qualche anno fa. Ora sul mio comodino campeggia uno dei suoi libri, "La carta più alta". Devo assaporarmi il finale, la soluzione del simpatico giallo, con la congrega di nonni detective che mi ricorda i pomeriggi da adolescente passati ad origliare dal letto le gag che scorrevano come in una fiction, nell'adiacente bar Padeletti.
Fosse stato al mio posto, magari, Malvaldi, avrebbe scritto un'altra saga.
I numeri danno soddisfazione, ed essere l'autore del libro più venduto a marzo nella tua regione non può che regalarti un senso di gratificazione sincera.
http://www.ibuk.it/irj/portal/anonymous/notizie_venduto


Ma le emozioni, quelle vere, a regalartele sono ancora le parole. Non le mie. Ma quelle dei lettori. Amici, conoscenti, e perfino persone che non ho mai visto in vita mia (e continuo a non vedere).
Mi piace condividere con i 25 utenti di questo blog, qualche loro pensiero (ovviamente tenuto anonimo). Di semplici lettori, o magari di un blogger specializzato in recensioni letterarie.
Sapendo che più dei numeri, sono le parole a contare di più. Ancora. Almeno per me...

"Carissimo Giacomo, sono a scriverti queste semplici parole per ringraziarti e allo stesso tempo dirti bravo per aver portato alla stampa il tuo primo (spero non ultimo) libro "Nel segno dei Padri". Devo essere sincero da qualche tempo ho rallentato molto la lettura dei libri, preso dalla vita frenetica che ti circonda e dai quei maledetti smartphone che ci hanno condizionato il nostro modo di vivere e avere informazioni. Però ci sono momenti che tutto questo si azzera, ed è quando ti trovi in luoghi come l'ospedale, dove la dimensione umana necessariamente prende il sopravvento su tutto, dove il tempo torna scorrere lento e hai modo di riflettere e pensare. Insomma momenti in cui un bel libro da leggere torna quasi inevitabilmente necessario per aiutarti a distogliere il tuo pensiero e isolarti per quanto possibile dal luogo dove ti trovi. 
Ho portato volutamente il tuo libro perchè convinto che sarebbe stato quello che mi avrebbe aiutato. Scelta migliore non poteva essere : "Nel segno dei Padri" un libro bello da leggere, perchè  diretto, come oggi necessariamente bisogna fare, per avere subito il grado di attenzione su quello che stai leggendo. Scritto con parole appropriate e allo stesso tempo coinvolgenti. Un libro con una storia che ti ammalia da subito quasi da dovertici calare dentro come protagonista, facendoti vivere sensazioni molto forti. Una storia bella, curata negli aspetti più vivi , fatta di sentimenti e di momenti che ne danno la giusta presa verso il lettore. 
Due personaggi Guglielmina e Peter che grazie al loro modo di essere, riescono a dare un senso alla loro vita turbata per entrambi per la scomparsa dei rispettivi padri. Un riconciliarsi prima con se stessi e poi l'un con l'altro che rappresenta una lezione di vita che oggi sarebbe da esempio per tanti a tutti livelli. 
Insomma un libro che ti porta in una dimensione forse oggi dimenticata , il rispetto verso degli altri, anche in condizioni drammatiche come quelle vissute dai due protagonisti. 
Già dalla presentazione del libro avevo intuito che era qualcosa che dovevo leggere subito tanto ero convinto del suo spessore umano che si portava dietro. 
Oggi dopo averlo letto non posso che confermarlo. Chiudo anche perchè rischio di incartarmi con le parole, non sono un critico letterario e lo si capisce, ma ho voluto lo stesso farti arrivare questo mio scritto per manifestare il mio semplice grazie a te per aver scritto un libro così bello. 
Ti allego una foto che ho voluto scattare sul mio letto in ospedale come per dire : "Nel segno dei Padri" è una storia vera fatta di tanta umanità ma sopratutto di tanta speranza per il futuro come spesso ci vuole in ospedale.
ps. Sono tornato a casa e ora mi sto rimettendo".



martedì 7 marzo 2017

Se un blog diventa il tuo diario: ma con le parole di chi ti guarda

Un blog è anche un luogo dove poter incasellare, senza un ordine preciso, pensieri e commenti che vagano in rete. E magari riguardano te.
Come questa recensione. La prima in ordine di tempo, sul mio libro "Nel segno dei padri".
Quello che mi colpisce delle parole di Roberto Russo, blogger specializzato in recensioni letterarie, sono i tempi: perchè il libro è uscito il 9 febbraio. E la sua recensione ha la stessa medesima data.
Che non l'abbia letto?
Assolutamente no. Lo si capisce da cosa scrive, da come lo scrive. E dall'impatto di chi lo legge.


Una storia minore, forse, rispetto alla grande Storia della seconda guerra mondiale e probabilmente proprio per questo più interessante. Giacomo Marinelli Andreoli in Nel segno dei padri racconta una triste vicenda avvenuta a Gubbio (Perugia) durante il secondo conflitto mondiale, ma il cuore del suo libro non è là, ma nell’incontro tra le persone.
L’antefatto è che il giorno 20 giugno 1944 a Gubbio Kurt Staudacher, medico tedesco, venne ucciso mentre si trovava in un bar. Per rappresaglia vennero giustiziati quaranta uomini della città, quelli che oggi sono conosciuti come i Quaranta martiri. Si trattò del fatto di sangue più grave di tutta l’Umbria nel periodo dell’occupazione. Una rappresaglia «caduta come un macigno sulla città umbra negli ultimi giorni di occupazione prima della ritirata a nord della Wehrmacht. Una strage scaturita proprio nelle ore in cui Perugia veniva liberata dagli Alleati». Questi sono i fatti, comuni, purtroppo, a molte altre zone d’Italia.
Gli anni passano, diventano decenni, e Peter figlio del medico tedesco decide di fare un viaggio in Italia. Passa per caso dalle parti di Gubbio e gli viene la curiosità di andare a vedere il luogo in cui suo padre è stato ucciso. Fino ad allora, sapeva solo che il suo genitore era stato ucciso in quella città. Nient’altro. Chiede qualche informazione, incuriosito dal nome della piazza («Quaranta martiri») che reca come data il 22, due giorni dopo la morte di suo padre. Va al cimitero, inizia a capire cosa accadde e poi si reca al Mausoleo. Lì gli è chiaro quanto accaduto. Sua moglie Ursula lo esorta a lasciare un messaggio sul registro dei visitatori. Racconta l’autore:


[Peter] si girò e fece per uscire, quando Ursula lo fermò. Lo trattenne per un braccio, e lo fissò: «Non possiamo andarcene…».
E tenendolo forte, quasi per trasmettergli quell’energia che sentiva addosso, gli disse, a voce bassa, ma inflessibile: «Non sapevamo nulla di tutto questo. Ma tu, qui, ora, non sei più un estraneo».
«Che vuoi dire!?» riuscì a bisbigliare, mantenendo un tono di voce timido, rispetto all’infinità che lo circondava.
«Devi lasciare un segno, qualcosa. Qualcosa di tuo» rispose Ursula. «Non possiamo andarcene così».
Ed è qui che entra in gioco Guglielmina Roncigli che a quel tempo era presidente dell’Associazione Famiglie dei Quaranta Martire (di cui era stata, tra l’altro, fondatrice). Vede la scritta sul registro e cerca di mettersi in contatto con Peter. Tramite una ricerca che smuove anche il Vaticano ottiene l’indirizzo e gli scrive. Guglielmina era figlia di Vittorio, uno dei Quaranta martiri. Come Peter aveva un anno quando suo padre venne ucciso per rappresaglia. Due destini separati, ma anche uniti in una maniera del tutto misteriosa.
Si incontrano, Guglielmina e Peter, dinanzi alla tomba di Kurt, traslata nel cimitero militare germanico di Pomezia. Poche parole, dovute anche alle difficoltà linguistiche, ma l’inizio di un nuovo cammino. Quello di una pacificazione interiore che entrambi cercavano. Non dovevano certo perdonarsi, loro, o chiedere perdono. Del resto, erano innocenti vittime di quanto successe in quel lontano giugno 1944. Eppure l’anelito a fare qualcosa, a porre, in un certo senso, la parola fine a quanto accadde, era forte in loro.
Scriverà in seguito Peter a proposito di questo incontro:


Sopra la tomba di mio padre la foto ci mostra come due bambini persi, diventati vecchi, che si incontrano la prima volta dopo una lunga vita, passata separatamente, per riconciliarsi l’uno con l’altro. Pur non avendo commesso niente che meriti una riconciliazione.
Giacomo Marinelli Andreoli racconta la storia come una cronaca (è giornalista). Ma non una cronaca cruda: mette insieme gli elementi e, con tratto sapiente, li anticipa ma non li racconta. E così facendo cresce la tensione della narrazione e, con i due protagonisti, siamo raggiunti da tante emozioni.
La storia, vera, è venuta alla luce perché Guglielmina ne ha parlato con l’autore e poi, sul letto di morte (avvenuta per tumore il 5 febbraio 2012) gli ha lasciato le lettere che si era scambiata con Peter chiedendo che la storia di quell’incontro e di un sì insolito carteggio non andasse perduta. Una vicenda la cui memoria non è andata smarrita, anche grazie ai figli di Guglielmina, all’autore del libro e alla volontà dei protagonisti.
Una storia marginale, quella raccontata nel libro Nel segno dei padri, ma di fondamentale importanza. Anche ai nostri giorni in cui il muro contro muro è la norma. Guglielmina e Peter, invece, scelgono la strada del dialogo. E Giacomo Marinelli Andreoli racconta i loro passi nel libro Nel segno dei padri. 
Da leggere. In silenzio.

lunedì 6 marzo 2017

Perché è bello anche rileggersi... attraverso una recensione che non t'aspetti


Comincio ad affezionarmi a leggere le recensioni sul mio libro. Un'altra delle novità cui questa esperienza mi predispone, aprendomi parentesi inedite, conoscenze nuove e lo stimolo, perché no, a rileggere anche in forma critica il mio lavoro. Ma al tempo stesso a pensare, sempre perché no, ad una "nuova avventura".

Intanto però mi piace conservare una delle recensioni a margine del mio libro. Che, a quanto pare, viene letto nel giro di 2-3 giorni dalla maggior parte di chi mi chiama o mi confida le proprie sensazioni. Il che è già un ottimo riscontro, considerando che ho sempre misurato con questa speciale bilancia temporale la qualità e la "scorrevolezza" di un manoscritto: se finisce un libro in pochi giorni vuol dire che ti ha rapito, vuole dire che ti ha coinvolto, vuol dire che è un bel libro.

Ed ora la recensione. Che come spesso mi capita, finisce per farmi notare aspetti, particolari e dettagli
che neanch'io, fino in fondo, avevo considerato...

"Ogni scelta che facciamo è figlia di mille spinte, emozionali e razionali. Non sempre vince la più corretta e non sempre la più corretta è la migliore.
Nel libro "Nel segno dei padri" ci sono due scelte. 
La prima è quella che ha dato inizio a tutto e ha spinto la protagonista del libro ad affidare all’autore la sua storia e il suo vissuto. “Non possiamo starcene seduti a fissare le nostre ferite per sempre”, scrive lo scrittore giapponese Haruki Murakami. “Dobbiamo alzarci e passare all’azione successiva”. Sarà stata forse questa la sua personale motivazione.
La seconda è quella dell’autore, che forse spinto dall’ineludibilità del destino assegnatogli dalla ferma decisione della protagonista, si è trovato coinvolto in una storia che sentiva il bisogno di raccontare.
La novità tuttavia sta nella maniera in cui l’autore, conterraneo della protagonista, racconta la storia. 
“Quando guardo un tramonto, non dico: ‘Ci vorrebbe un po’ meno arancione nell’angolo a destra e un po’ più di viola nelle nuvole’”, diceva lo psicologo Carl Rogers a proposito del modo in cui osservava il mondo. “Non cerco di controllare il tramonto”, proseguiva. “Lo guardo con soggezione”. E pensava la stessa cosa delle persone. “Una delle esperienze più gratificanti”, diceva, “è contemplare un individuo come contemplo un tramonto”. 
Ecco, nel suo libro Giacomo ha brillantemente sperimentato il metodo di Rogers: si è astenuto dal cercare di “migliorare” le persone, limitandosi a vederle e apprezzarle per quello che sono, senza giudizi.
Mi sentirei di dire che il viaggio cambia l'uomo e il punto di arrivo sembra così lontano. Ma la meta non è' un posto ma quello che proviamo e non sappiamo dove né quando ci arriviamo".

sabato 25 febbraio 2017

Una domenica speciale: la presentazione del mio libro, tanta gente e un'emozione che resta dentro...

Una domenica speciale. Come non ero neanche riuscito a immaginarmela.
Perchè in fondo presentare libri e scrittori era diventata quasi un'abitudine. Ma quando il libro è tuo, e non sei tu a presentare, le cose cambiano. E quel pubblico che hai davanti e che l'esperienza quasi trentennale ti permette di cancellare quando a dettare i ritmi di una presentazione sei tu, improvvisamente compare, si vede, si sente, si pesa.

La presentazione è andata via secondo le previsioni. Era la prima di una serie che spero prosegua. Ma era quella di Gubbio, la più attesa, la più delicata, la più emozionante.
Una scaletta attenta, con i ritmi giusti, con due filmati inediti che hanno aiutato il pubblico ad "entrare" nella storia di Guglielmina e Peter. E infine quel video assemblato da Giampaolo Pauselli, sulla scaletta fotografica che gli avevo predisposto. E che ha dato il tocco finale ad una serata, per me memorabile.


Grazie a tutti quelli che c'erano. Grazie a chi ha collaborato per la sua migliore riuscita, da Gianluca Sannipoli per la presentazione, a Cesare Ragni e a Maurizia Baccarini per il dietro le quinte logistico, a mia moglie Ilaria (con il team di amiche) che ha curato il buffet finale con la consueta sapienza ed eleganza. Grazie a Simone Grilli, che mi ha regalato un'instantanea indimenticabile e anche questa rassegna fotografica della serata.
Grazie ai tanti che mi hanno ringraziato (ringraziare dei ringraziamenti sembra paradossale, ma è così), o a chi mi ha chiesto anche solo una sigla sul libro per ricordarsi di questo giorno (a me che fino ad oggi di autografi ne avevo solo chiesti, da bambino, a qualche calciatore).
E grazie a quelli che, pur non potendoci essere, mi hanno manifestato la propria stima, vicinanza e amicizia.
Il libro sta entrando nelle case e nei cuori di molti. Era quello che auspicavo. Perchè in fondo la storia è straordinaria, il diamante era lì, incastonato e custodito per anni. Aspettava solo di essere ammirato. A me è toccato appena ritagliarne i contorni. Ed estrarlo.





Un momento della presentazione al Centro servizi S.Spirito

La serata stracolma, circa 350 presenti nei due piani della sala convegni
Insieme al moderatore, Gianluca Sannipoli e a Franca Vantaggi

L'intervento del sindaco di Gubbio, Filippo Stirati
La riflessione del Vescovo di Gubbio, Mario Ceccobelli
L'intervento di Laura Tomarelli, presidente dell'associazione Famiglie dei 40 Martiri
Lo scorcio di una platea che ha seguito con attenzione tutta la serata