Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 7 luglio 2017

Il 7 luglio di dieci anni fa... e quello scenario, ad Ischia, indimenticabile

7 / 7 / 07. Ci credete all'alchimia dei numeri?
Io no, però il 7 l'ho sempre considerato il numero più bello. Un fascino speciale.
Sarà il tratto netto e continuo, ma non presuntuoso (da numero 1, insomma).
Sarà la leggera inclinazione, elegante e ironica; e anche la capacità di rifarsi il look (per chi lo scrive col trattino in mezzo).

Insomma il 7 è il 7. Gli altri sono solo numeri...
E anche se non ci credo, il 7.7.07 è un giorno che mi resterà nella memoria, senza il rischio di bruciare il back up. Per parecchio.

Ero ad Ischia. Che "scialo"... Sono passati dieci anni e, come si dice in questi casi, mi sembra ieri. Ho ridato un'occhiata anche in questi giorni al sito del Premio Internazionale Ischia di giornalismo, tanto per rinfrescare la memoria.
Sempre bei nomi sul parterre.

La borsa di studio "Marco Suraci" legata al Premio Ischia - quella che vinsi, molto a sorpresa, anzi il più sorpreso ero proprio io, avendo messo in fila circa 700 colleghi che sostennero con me l'esame per l'accesso all'Albo Professionisti - da qualche anno, non l'assegnano più.

Da qualche anno viene ricordato Biagio Agnes, presidente del Premio Ischia e storica guida della Rai negli anni d'oro del pentapartito: quando però la qualità (dei programmi) non era ancora schiava della parola auditel...

L'avevo conosciuto in quella edizione, 10 anni fa: personaggio di spessore, certamente rappresentava l'establishment, l'aristocrazia di un Regno delle Due Sicilie che in certi ambienti, non solo Rai, continua a contare. Aveva classe: non dimenticherò il baciamano a Milly Carlucci sul palco, in quella serata. Un gesto semplice, elegante. Di distinzione.
Nella chiacchierata piacevole che fu occasione di conoscenza reciproca, mi permisi di suggerirgli di arricchire il Premio Ischia con una sezione dedicata all'informazione locale: una galassia sconfinata di realtà - di carta stampata, radio, tv e negli ultimi anni anche internet - dove spesso si mescolano talenti e ciarlatani.
Senza distinzione, e senza gerarchia (anzi, i secondi - come in tanti altri "mestieri" - spesso si ritrovano a dirigere i primi). Ma quei talenti, altrettanto spesso, rischiano di restare confinati nella cronaca della porta accanto - che è pur sempre giornalismo, e proprio per questo meriterebbe di essere valorizzato.
Biagio Agnes annuì, sorridendo. Mi disse che era una buona idea. Anche se non so se lo fece per "farmi contento" o se lo credeva davvero. Il "Marco Suraci" non c'è più. Ma non c'è neanche il premio al giornalista di stampa locale. Quindi la chiacchierata è finita lì.

Ricordo quelle due-tre giornate estive di assoluto relax e di emozioni totali, come un viaggio nell'elite del giornalismo italico, quasi una passeggiata inedita alla Pollon in un Olimpo apparentemente distante e invece incredibilmente vicino: qualche nome?
Per la sezione carta stampata, fu premiato Mario Orfeo (allora direttore del "Mattino", oggi alla guida di Mamma Rai), per la radio Aldo Forbice (per tutti "Zapping", Radio Uno), per la Tv Barbara Parodi Delfino (Tg5), il Premio Ischia alla carriera andò al "mitico" Emilio Rossi, e tra i giovani (più o meno miei coetanei) Ilaria Cavo (Mediaset), Annalena Belini (Il Foglio), Valeria Braghieri (Libero).
Conobbi Antonio Ghirelli (storica firma del Corriere dello Sport), fui colpito dall'affabilità di Luciana Frattesi (vice direttore di "Oggi") che ricordo mi riconobbe perché si era studiata, già all'arrivo in albergo, i nomi e i volti dei premiati (scoprì in quel momento che la mia "bella" faccina stava in un libro stampato in non so quante migliaia di copie e distribuito in tutta Ischia in quei giorni... ). E fui colto di sorpresa dall'altezza di Paolo Bonaiuti - che l'anno dopo sarebbe tornato ad essere Sottosegretario della Presidenza del Consiglio.
Il parterre del Premio Ischia, sullo sfondo il Castello Aragonese
Sul traghetto che ci condusse dalla piazzetta centrale di Ischia Ponte - arricchita da uno sfondo incantevole con il Castello Aragonese - al ristorante dove era allestito il galà conclusivo della serata, mi ritrovai di posto a fianco di due personaggi che guardai sicuramente in modo strano (lo capii da come loro riguardarono me): a destra Ciriaco De Mita, a sinistra Sergio Cragnotti. Cosa stessero a fare lì, non l'ho chiesto, non me lo sono chiesto, anzi ho rifiutato di pormelo come domanda. Punto.

Ricordo piuttosto molto piacevolmente l'amicizia nata con Mattia Feltri - marito di una delle giovani premiate - e figlio d'arte "atipico", oggi titolare della rubrica "Buongiorno" de "La Stampa" di cui è apprezzato editorialista politico: vedendolo e soprattutto conoscendolo da vicino non avrei detto fosse il figlio di Vittorio Feltri (anzi, lo seppi dopo averlo conosciuto, perché ci eravamo ritrovati allo stesso tavolo in una cena di quelle in piedi - a buffet - e si era iniziato a "cazzeggiare" insieme).
Mi è sembrato molto diverso - lui ironico, scanzonato e in alcuni momenti, gigioneggiante - dal clichè che contraddistingue suo padre - rigoroso e asburgico. L'ho incontrato negli anni a seguire a Gubbio, alla Scuola di Formazione del PDL, come inviato de "La Stampa". Ho cominciato a leggerlo e seguirlo: e ho capito, invece, che era proprio il figlio di un grande Direttore.

Ricordo il profumo di Ischia, di un'isola accogliente e pulita - che avevo già toccato con mano un paio di volte all'inizio degli anni Novanta per dei corsi da addetto stampa Libertas che l'amico Fernando Sebastiani mi aveva "procurato" generosamente.
Ma quella sera aveva un sapore speciale. Non dico da Notte degli Oscar, ma da passerella esclusiva, un po' sì. Anche se vissuta in maniera spensierata: avevamo fatto gruppo, quelli "giovani", e avevamo cenato con una pizza in piedi e una Coca - tutti vestiti a puntino con le colleghe imbellettate, diremmo a Gubbio, da veglione ceraiolo.
"Mi fate fare un figurone" avevo detto loro. E ricordo l'emozione quasi tremante di una Valeria Braghieri - una abituata a raccontare il jet set, fresca di firma di un istant book su Fabrizio Corona, con cui aveva allacciato un'amicizia speciale - che mi confidava il suo terrore a salire sul palcoscenico. E mi chiedeva: "Ma tu come fai a stare così tranquillo?". Nascondevo bene...
Li avrei ritrovati tutti qualche mese dopo al Quirinale, per la giornata nazionale dell'Informazione, con l'allora Presidente Napolitano che premiava uno ad uno i giornalisti insigniti di un riconoscimento in quel 2007. Di quella giornata - off limits per flash dentro al Palazzo del Presidente della Repubblica - ho solo una foto: con mia moglie e la mia piccola Vittoria (che aveva 5 mesi) fuori dal Quirinale. Me la feci fare dal primo collega che usciva dalla premiazione, passandomi accanto. Toni Capuozzo, un mito.

Alla fine, a dirla tutta, il palcoscenico in sè non fu un'apoteosi: un paio di minuti, un paio di domande pre-confezionate di Milly Carlucci, l'emozione sì di una proclamazione (che fa sempre piacere), ma anche un pizzico di delusione (proprio così...) per essere premiati con una busta di carta (devo essere sincero? perfino quella, vuota), senza un straccio, che so io, di una targa, un "gingillo", una coppa riciclata da qualche torneo di calcetto parrocchiale.
Forse sono un po' pretestuoso ma ho capito che la parola fiction non va usata solo per "Don Matteo".
Semmai il bello di quella passerella furono - come sempre, in tutte le vicende emozionanti che si rispettino - gli istanti prima. L'attesa, la chiamerebbe qualcuno. Il dietro le quinte. La leggera ma intensa fibrillazione di quegli istanti, in cui aspetti che ti chiamino, prima che le luci diventino abbaglianti.
E in quei momenti ho ripensato - ebbene sì - a mio nonno. Pompeo Pierucci, professione macellaio. Sembra strano, ma fu lui - lontano anni luce dall'ambiente che sarei andato poi a fare mio - a farmi iniziare questo "mestiere", nel lontano 1986, accompagnandomi fino in cima alle scale di Radio Gubbio nella affumicata sede storica di via Ansidei. Un tutor sui generis, è proprio il caso di dirlo. E quello che oggi chiameremmo stage (imparare il mestiere, accanto a colleghi come il prof. Chiocci e Massimo Boccucci) fu il mio approccio a ciò che sarebbe diventata la mia professione.

In quell'attesa, sul palco di Ischia, dietro le quinte, con un paio di tizi con la cuffia addosso che mi appoggiavano la mano sul busto per indicarmi che ancora era presto per entrare, per un momento, mi è tornato davanti il film di tanti anni di "gavetta". E di mio nonno che mi aveva guidato ad iniziare quel percorso.
Mi immaginavo che potessi vedermi, da non so dove, e sorridere compiaciuto, battendo il bastone che lo aveva accompagnato negli ultimi anni tra la sua abitazione di piazza Bosone e la macelleria di via Cavour. C'aveva visto lungo, quando mi aveva convinto a seguirlo a Radio Gubbio per la prima volta...
E io non potevo che dedicargli nel mio intimo, quel riconoscimento. Quel momento lì...