Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 23 marzo 2016

La cittadinanza a Zeffirelli? Scusate il ritardo...

Di tutto un blog...

MEGLIO TARDI CHE MAI... FORSE
La nostra città ha un nuovo cittadino onorario. Alla veneranda età di 93 anni, il maestro per eccellenza del cinema e del teatro italiano, Franco Zeffirelli, tiene in mano la pergamena che lo elegge cittadino onorario di Gubbio. Lui, fiorentino nel dna, nel carattere irascibile, nella sensibilità acuta per ciò che è bello e affascinante, ha almeno avuto miglior sorte di chi, fiorentino d'origine, da Gubbio era stato diversamente omaggiato (grazie a Cante Gabrielli) finendo ramingo in quel di Ravenna. E mentre a distanza di quasi 800 anni arrivano le scuse al Sommo Poeta, in extremis arriva un ideale grazie a Franco Zeffirelli, che per primo, tra il 1968 e il 1971 – decisamente in tempi non sospetti e con una Gubbio ben diversa da quella che i restauri e la ristrutturazione tra anni 70 e 80 hanno riconsegnato – fece della Città di Pietra il palcoscenico di se stessa, sorprendendo forestieri quanto gli eugubini stessi, scegliendola quale scenografia naturale di due capolavori della storia del cinema, l'uno celebrato con i premi (Romeo e Giulietta) l'altro con l'immaginario collettivo (se si parla di un film di San Francesco, ovunque nel mondo si pensa all'opera di Zeffirelli).
L'emozione di questa giornata è nell'opportunità felice di poter passeggiare con lo sguardo nei salotti del maestro fiorentino, nella sua splendida residenza romana: un carosello di volti, protagonisti, star internazionali che fanno riflettere un attimo su chi sia davvero quest'uomo. E anche su quanto tempo una città irascibile e a suo modo “ghibellina” come Gubbio abbia perso prima di coniugare il suo nome con questo grande artista: che 20 o 30 anni fa avrebbe, lui sì, potuto generare opportunità inimmaginabili di promozione e immagine per Gubbio. Come poi nei fatti ha indirettamente dimostrato uno dei suoi “discepoli” artistici, Paolo De Andreis. Spero che gli Eugubini sappiano la fortuna che hanno” le profetiche parole di Zeffirelli.

EDUCAZIONE... DIFFERENZIATA
Entro il 2016 la nostra città, come le altre in Umbria, dovrà raggiungere quota 60% nella raccolta differenziata. E' lodevole lo sforzo con cui l'amministrazione comunale (e l'assessore Tasso in primis) si prodiga per incentivare questo che dovrebbe essere semplice “Senso Civico". A distanza però di quasi 15 anni dall'introduzione del nuovo sistema ancora troppi eugubini non sanno che pesci pigliare. O meglio, non sanno neanche che i pesci vanno nell'organico. 
La foto a fianco è emblematica, di pochi giorni fa: in un solo gesto, due errori madornali. Il primo è deporre in strada due diversi “raccolti” differenziati (considerando che solo uno, almeno quel giorno, sarebbe stato ritirato). L'altro errore, è mettere l'organico in una qualsiasi busta nera di plastica – rendendolo di fatto inutilizzabile. Ecco, scene di questo tipo ancora sono fin troppo diffuse nei vari punti della città che ospitano il poco gradevole spettacolo della raccolta differenziata. Ci saranno pure state carenze informative, ma i primi a fare mea culpa, stavolta, devono essere quei cittadini che non la fanno differenziata o che la fanno “tanto per tenere pulita la coscienza”. Quella almeno, siamo sicuri, non deve finire nell'organico...

E MALEDUCAZIONE INDIFFERENZIATA
Altra questione, è quanto è capitato, loro malgrado, ai cassonetti di S.Vittorino: per gli autori geniali di questo gesto – ribaltarli e gettarli in un dirupo - non servono incontri, informazione mirata e incentivi. Come per chi imbratta ogni fine settimana vicoli e piazze del centro storico. Per loro la bellezza, decantata da Zeffirelli, fa rima con “monnezza”.


Da editoriale "Gubbio oggi" - marzo 2016

giovedì 17 marzo 2016

Quelle sconfitte che ti fanno sentire più forte di prima...

Credo la grandezza di una persona la si veda soprattutto nelle sue sconfitte. E nel modo in cui reagisce.
Lo sport, e il calcio in primis, è una metafora plastica di questo assunto. Che dovrebbe farci compagnia ogni giorno, soprattutto in quei momenti in cui tutto sembra girarti contro. O in cui magari, ad un passo dalla meta, dal traguardo, dal raggiungimento di un obiettivo, qualcosa o qualcuno si mettono di mezzo. E vanificano tutto.
Ecco, quello è il momento di non abbattersi, di rispondere alle avversità. Di sentirsi ancor di più orgoglioso di chi sei, di quello che fai e soprattutto di quello che ancora puoi realizzare. A dispetto delle avversità.

Per qualcuno sembrerà una comoda consolazione. Ma è pur sempre meglio che piangersi addosso, cadere nella facile teoria dei complotti o del vittimismo (quel che va male, è sempre colpa di qualcun'altro) o peggio ancora, considerare irraggiungibile quella meta che è sfuggita di un niente.

Penso a tutto questo con la mente a ieri sera, alla partita della Juve a Monaco. Un 4-2 che ricorderemo per un pezzo. E caso mai ce lo scordassimo, ci penseranno i tifosi delle altre squadre italiane a rinfrescare la memoria: se non altro per lenire la propria carenza ormai cronica di successi negli stadi di casa.

In Germania, come allo Stadium, la Juventus ha dimostrato di essere ancora più grande dello scorso anno. Lo ha fatto contro un avversario che, a questo punto, potrebbe vincere la Champions. Giocando alla pari almeno il 70% dei 210 minuti delle due gare, pareggiando 2-2 i due confronti al 90' e dimostrando di essere competitiva in Europa per il secondo anno di fila, nonostante una squadra largamente rinnovata, in estate, e largamente rimaneggiata nelle ultime 48 ore. Lascio stare poi i due gol viziati all'andata e il gol annullato al ritorno da due terne dimostratesi forse non all'altezza degli altri 22 in campo. Altrimenti ricadrei nel vittimismo tipico di quei tifosi festeggiano solo per le disgrazie bianconere.

La sensazione di questa forza, infine, me l'ha data un dettaglio finale: la capacità di costruire altre due palle gol dal 115' in poi, proprio dopo lo tsunami che aveva travolto i bianconeri tra l'ultimo minuto di gara e i primi 10 del secondo tempo supplementare. Chiunque sarebbe crollato, giocando d'inerzia con il solo obiettivo di finirla prima possibile. Invece, da terra, dopo il doppio ko propiziato dall'ex di turno che non ti aspetti (Coman), la Juve si è rialzata ed è andata vicina a riaprire la contesa.

Quella forza che ha prodotto l'ennesima occasione da gol sfumata ha detto due cose: che la Juventus non arriverà in fondo per un pizzico di fortuna in meno (quella che forse tra sorteggi ed episodi c'era stata lo scorso anno), ma che è pronta a ripresentarsi da settembre ancor più temibile di prima.
Del resto - e questa è la seconda - sul tap in di Mandzukic e la ciabattata di Sturaro c'era scritto tutto: la dea Eupalla - per dirla alla Brera - aveva già deciso.
E non avrebbe lasciato riaprire, neppure per 5', un'ipotetica speranza.

venerdì 11 marzo 2016

Perchè intervistare Sollecito? Io la penso così...

"Vorrei esternare la mia indignazione per lo scempio andato in onda giovedì sera... dove siamo arrivati...Adesso facciamo parlare anche Sollecito?
La trasmissione di questa sera è lo specchio di una nazione che si merita tutto ciò che ha.
Spero che questa mail di protesta non sia l'unica...
"

Di solito chi fa il mio mestiere - e chi va in video a fare informazione, più di ogni altro (compresi i colleghi che non fanno tv) ci mette la faccia - tende a crogiolarsi nei complimenti, nelle congratulazioni, nei "like" e nelle faccine col sorriso che arrivano, per strada, al telefono come dalla rete o sui social.
Fa piacere, è gratificante, inutile nasconderlo. Non ne sono affatto indifferente.

Per una volta, però, comincio questa mia riflessione con una e-mail di protesta che mi è arrivata, insieme ad altri commenti che invece, ancor prima che andasse in onda la trasmissione di "Link" con ospite in studio Raffaele Sollecito, esternavano la propria indignazione.

Rispetto pienamente queste opinioni. Ma visto che ho un blog, vorrei dire la mia su questa scelta che certamente non è stata superficiale o senza riflessioni a priori, perchè nessuno di noi vive su Marte. E sapevo bene che un'intervista di 90' con Raffaele Sollecito - per altro la prima in uno studio televisivo nella regione in cui è avvenuto quanto avvenuto il 1 novembre 2007 - non sarebbe passata inosservata.

Innanzitutto partiamo da un assunto: se da Montesqieu in poi esiste un sistema giudiziario - separato da legislativo ed esecutivo - in cui dobbiamo riconoscerci (criticabile o meno, è un altro discorso), secondo questo sistema l'ospite della trasmissione invitato come autore di un libro autobiografico, è innocente.
Ognuno di noi può avere la sua verità, le sue convinzioni e la trasmissione non aveva la pretesa (l'ho pure detto in presenza dell'ospite) di orientare nessuno. Ne' tra i colpevolisti nè tra gli innocentisti. Sarebbero rimasti tali anche dopo la trasmissione, ci mancherebbe.
Nè è compito di chi fa informazione, giornalismo e televisione, trasformare il mezzo di cui dispone in un'aula giudiziaria di quarto grado (visto che i gradi di giudizio sono tre) anche se esistono format che prendono proprio questo nome e chissà, magari hanno pure questa ambizione: ci sono Tribunali, Corti d'Appello e Cassazioni chiamate a decidere (magari un po' più in fretta di quanto attualmente gli riesce). E' loro compito.
Mi è bastato laurearmi in Giurisprudenza per capire che non era quella la mia strada...
Il giudizio morale invece resta qualcosa di personale: che chi fa informazione dovrebbe cercare di separare da quello che è il proprio ruolo. Come è doveroso separare la notizia dall'opinione.

Ho intervistato migliaia di persone in questi 28 anni di mestiere (la scrivo con orgoglio, la parola mestiere, anche se oggi il termine assurge sempre più ad un'accezione negativa... peccato).
Migliaia di persone sui più svariati argomenti.
E non è che sempre fossi d'accordo con tutti loro su quanto facevano o dicevano, o anche su quel che rappresentavano; nè avevo la medesima valutazione morale su ognuno di essi.
Il mio mestiere però non è giudicare: ma nell'informare, è anche fornire gli strumenti più completi - per quanto possibile - a chi ci segue, per potersi fare un'opinione su una vicenda o un personaggio.

E allora - quando tramite la casa editrice Longanesi, che ha pubblicato il libro, contattata attraverso l'amica Anna Maria Romano (che ringrazio) si è creata la possibilità di realizzare questa trasmissione, mi sono detto: se ho l'opportunità di informare, approfondire e conoscere più da vicino una storia o un personaggio al centro di un clamoroso fatto di cronaca nella nostra regione - certamente il più grave e anche il più mediatico di questi 16 anni di nuovo secolo - dovrei esimermi dal farlo, magari per obbedire ad una mia ipotetica riserva morale?
Forse è proprio non facendo la trasmissione, per una mia personale convinzione, che tradirei quel ruolo che deve essere invece proprio di chi opera "al servizio di tutti": di quelli che la pensano in un modo e di quelli che la pensano al contrario.

Sempre con un principio di base: su vicende come questa, il presupposto è il rispetto per le vittime. E i fatti accertati (con sentenze).
Tradotto: rifuggire dal gossip giudiziario che ha invece condito per 8 anni tutta la vicenda, con plastici, fiction animate, ricostruzioni spesso folcloristiche, contorni improbabili, retroscena "sparati" ed esclusive fini a se stesse.
Che piaccia o no, la storia oggi è cristallizzata da una sentenza passata in giudicato.
E solo dopo il verdetto conclusivo (e inappellabile), ci siamo occupati di questa storia.

Come sono solito fare anche su altri versanti - per fortuna meno cruenti - senza lasciarmi incantare magari da frenetici botta e risposta di comunicati, prese di posizione, campagne di propaganda, "crociate morali" o presunte tali: tutte materie buone per ingolfare la rete, ma che prima o poi, ad un bivio si ritrovano.
Quello dei fatti.
Ecco, è a quel bivio (e non un metro prima) che chi fa informazione, deve farsi trovare pronto. Possibilmente con le domande giuste.