Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 29 novembre 2011

Da Monti in treno, ai vitalizi di Palazzo Cesaroni... e una foto che dà speranza...

La sobrietà del nuovo premier, messa a confronto con le promesse - solo in parte mantenute - della classe politica della nostra regione.
E' l'immagine che ci ispira un'istantanea di Mario Monti, impegnato nella difficile impresa di costruire un programma economico in grado di riportare il nostro Paese nei parametri europei (se non con il debito pubblico, almeno con gli altri fondamentali) e rientrare in una "linea di galleggiamento" che ci tenga lontani dal rischio default. Piaccia o non piaccia, dobbiamo fare il tifo per lui.
Nel frattempo non farebbe male dare un'occhiata alla rivoluzione di stile - estetico e non - che il "new deal" del governo tecnico ha introdotto nei costumi e nelle usanze di Palazzo Chigi.

Lui, personaggio sfuggente alle cronache da scoop, uomo in blu e grigio, nel vestire come nel dichiarare, lo vediamo scendere tranquillo e severo da un Frecciarossa. Come dice Fiorello, per trovargli una notizia di gossip bisogna sfogliare "Famiglia Cristiana", (oppure "il nuovo esecutivo è così dimesso che la foto di presentazione è venuta in bianco e nero").
Ma al di là dell'ironia, forzata ma necessaria (visto che senza l'ex inquilino di Palazzo Chigi tutta la satira italica è in crisi nera), alcuni particolari già meritano menzione.
Un premier, ad esempio, che viaggia in treno, diciamoci la verità, è già una notizia. E un esempio da seguire.

La compostezza delle sue dichiarazioni, la serenità (almeno per quel che c'è di tangibile) rispetto alle consuete dispute di bottega (politica) sulle poltrone di sottosegretari, la fermezza negli obiettivi posti per il suo Governo, dovrebbero essere bussole sufficientemente rassicuranti.
Ma le trappole del Palazzo sono infinite e dunque è bene che Monti tenga le antenne dritte...

Piuttosto val la pena notare la distanza (siderale) con altri costumi, con altre dichiarazioni e altre determinazioni politico-amministrative: come quelle di casa nostra, ad esempio.
Prendiamo il Consiglio regionale, dove si discute da qualche settimana di abolizione dei vitalizi ai consiglieri regionali. Qualcuno dirà che è un palliativo, ma l'esempio - come ebbi modo di dire già qualche tempo fa (post del ...) - vale più di tante annunciate manovre di bilancio.
Non si può chiedere ai cittadini di stringere la cinghia, di fare sacrifici, di tenere duro, se prima chi invoca queste misure non compie il primo passo.
A Palazzo Cesaroni però non c'è Mario Monti: si gira ancora in auto blu - anche con più di un portaborse - e quando si parla di tagliare i privilegi, c'è sempre un cavillo.
Quello ad esempio, per il quale la proposta di legge (con il sì congiunto di PD e PDL) prevede che la misura entrerà in vigore solo dal 2015, ovvero dalla prossima legislatura: dunque, gli attuali consiglieri sono esclusi dai sacrifici, come se la crisi, almeno in Umbria, possa essere "congelata" per altri 4 anni.
Non c'è che dire...

In Commissione Bilancio - per onor di cronaca - un'altra proposta (avanzata dal duo Stufara-Goracci) chiedeva di applicare subito i "tagli" ai privilegi. Non se ne è parlato, o meglio l'esponente ternano del Prc si è lamentato che la proposta non è stata fatta illustrare.
Peccato. Peccato che in tanti (almeno 30, gli attuali consiglieri regionali) continueranno a godere dei benefit che l'attuale normativa riconosce loro.
Anche il critico Aldo Grasso ha apostrofato, a modo suo, sul Corsera, questo "andazzo", prendendo di mira Mario Capanna - uomo simbolo del '68 rivoluzionario - che "voleva cambiare il mondo, ma alla fine ha messo a posto il suo futuro previdenziale".
Capanna ha replicato infastidito, ricordando che lui, di pensione, prende "solo" 2.500 euro dalla Regione Lombardia e 3.000 dal Parlamento. Per carità, lanceremo una colletta - da questo blog - ben sapendo che sono in tanti ad avere trattamenti ancora più gratificanti, potendo sommare cariche plurime e mandati a iosa, di Regione, Provincia e Parlamento.

Che distanza da Mario Monti. Che differenza da un premier che potrebbe volare in business class. Ma prende il treno.
Una foto che è anche una timida speranza...

lunedì 28 novembre 2011

Si fa davvero dura... ma bisogna evitare di "rompere" il giocattolo...

Almici "schiacciato" da Michelidze: un'immagine
simbolo di Gubbio-Empoli (foto Settonce)
Se c’è una fase della stagione che può dirsi cruciale, probabilmente è proprio questa.

Non parliamo di risultati, né di classifica.
Perché a 26 partite dalla conclusione avere 2 punti dalla quart’ultima e 4 dalla zona salvezza non può essere una sentenza capitale, tutt’altro.

Ma è in momenti come questi, nei momenti difficili, dove tutto sembra crollarti addosso, che si vede se un gruppo – squadra, staff tecnico e società - ha la spina dorsale. E sa reagire. E’ anche in momenti come questi che tutte le altre componenti che hanno contribuito con i protagonisti a due anni di trionfi, pubblico, ambiente e mettiamoci pure la stampa – non potendo fare nulla in campo – hanno comunque la responsabilità di non contribuire a rompere il giocattolo.

Il Gubbio ha perso la sua quarta gara di fila, la nona su 17 partite. I 14 punti messi insieme finora sono fatti di 3 vittorie e 5 pareggi.
Se andiamo a snocciolare nel dettaglio le cifre di questi primi tre mesi di campionato ci facciamo solo del male.

Se andiamo però a sfogliare l’andamento degli ultimi campionati di B – quelli alluvionali per capirci a 42 giornate – scopriamo che mai le squadre che occupavano le ultime posizioni a fine novembre sono poi tutte retrocesse. Perché i 9 mesi di maratona sono appena ad un terzo del loro corso. E per strada se ne perdono di squadre alla deriva.

I problemi sono altri: in campo e fuori.
In campo la squadra deve trovare la chiave tattica per creare pericoli reali agli avversari – a costo di sacrificare in questo momenti pezzi di mercato o senatori sulla carta intoccabili – ma soprattutto deve spendersi sempre e comunque con una determinazione da “assalto all’arma bianca”. Chi non dà le massime garanzie può essere anche un fuoriclasse, ma non fa al caso del Gubbio.
Poi il mercato di gennaio ci dirà cosa e dove si può arrivare: i precedenti di Gomez e Daud lasciano sperare. Anche se la bacchetta magica non esiste.

Fuori dal campo, invece, il problema è un altro. E’ quello di una piazza che forse deve togliersi lo smoking e capire che c’è da mettere la tuta sudata e sporca di grasso che ti serve per scalare il palo di una cuccagna. Un’impresa, è vero, ma da affrontare con lo spirito giusto. Molti dei 2.500 abbonati non sapevano neanche a che ora si giocavano le partite del Gubbio che pochi anni fa ancora faticava a battere Sansovino o Cuoiopelli. Chi oggi urla di tutto dagli spalti, chissà, forse in quelle domeniche era a spasso.

Si può dire tutto di questa squadra, ma non che manchi l’impegno. E si può dire tutto di Gigi Simoni, ma non che non abbia abbracciato la causa Gubbio nel modo giusto, rimettendosi in gioco quando ormai anagrafe e famiglia consigliavano la scrivania.
I problemi ci sono – e sarebbe inutile nasconderli – e sono anche di natura tecnica: il valore di alcuni giocatori, il gioco che non affiora, la difficoltà a calarsi nella realtà della categoria.

Ciofani, sembra arrendersi alla traversa
(foto Settonce)
Ma un fatto è certo: le vittorie sono state figlie di un idillio che ha visto protagonisti tutti. Ora tutti devono dare il loro contributo per uscire da questo tunnel. Inasprire i rapporti all’interno di questo habitat, di questa enclave sportiva e sociale che è il mondo rossoblù, significa rischiare di rovinare il giocattolo. E quindi avvantaggiare indirettamente tutti gli avversari.

Il tempo per risollevarsi non manca. Quello che non deve venire a mancare è il Gubbio e tutto ciò che lo circonda e ha permesso di portarlo così in alto…

 
Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 28.11.11
musica di sottofondo: "I won't let you go" - James Morrison (2010)

venerdì 25 novembre 2011

Contro l'Empoli per trovare la... frequenza giusta: altrimenti si resta in analogico...

Simoni resta fiducioso (foto Settonce)
Nella settimana dello storico switch off dalla tv analogica alla piattaforma digitale, il Gubbio è alla ricerca della frequenza giusta a cui sintonizzarsi. O meglio, su cui ritrovare la formula ideale per riprendere il cammino-salvezza: il successo, la vittoria, i tre punti.

Perché la sfida con l’Empoli – una notturna che torna dopo l’impresa con il Torino, nell’inedito orario delle 19 – è di quelle partite che possono rimettere sui binari giusti, sulla retta via, un tragitto improvvisamente complicatosi nelle ultime tappe.

Il paradosso è che le tre sconfitte che il Gubbio si è lasciato alle spalle sono scaturite tutte da prestazioni che avrebbero meritato verdetto migliore. Ma almeno in due dei tre casi (le gare in trasferta a Vicenza e Pescara) sono stati i rossoblù a complicarsi la vita da soli, non riuscendo a sfruttare l’inerzia di una partita che sembrava incanalarsi bene, in Veneto, o addirittura la superiorità numerica, in terra abruzzese.
E proprio la sconfitta all’Adriatico ha lasciato una ferita profonda, tanto che società e staff tecnico hanno optato per il ritiro claustrale a Norcia, terra di preparazioni intense e meditazioni, di riflessioni tattiche e ricariche morali.

L'illusoria esultanza sull'1-1 di Pescara (foto Settonce)
Forse i rossoblù hanno bisogno di tutto questo o forse basta solo il risultato che è mancato. Perché a dirla tutta, la squadra ha segnato poco ma le occasioni le ha sapute costruire: e con un po’ di ottimismo verrebbe perfino da dire che c’è una bella differenza tra i tre ultimi inciampi – venuti da prestazioni giocate alla pari – e ad esempio i 4 semafori rossi di inizio campionato, quando la squadra invece appariva largamente inadeguata alla categoria.
O prendendo la sola Pescara, vien da dire che il Gubbio ha avuto più occasioni in quei 90’che nelle tre gare vinte tra Nocerina, Torino e Cittadella, messe insieme.

Ma il calcio, per fortuna o sfortuna, è materia lontana dalla scienza esatta, anche se sui numeri finisce per basarsi: soprattutto quelli che fanno capo ai risultati. E allora conta poco se la squadra di Simoni trova facilmente il tiro in porta. Se poi questo tiro non finisce dentro, chiacchiere e teorie stanno a zero.
Con l’Empoli – in una gara domenicale e notturna collocata a cavallo tra i due rispettivi impegni di Coppa con i toscani già in campo ieri con la Fiorentina e i rossoblù attesi mercoledì prossimo a Cesena – il risultato viene prima di tutto. Anzi, diventa l’unico canale su cui sintonizzarsi.

Guido Carboni, già il terzo tecnico per l'Empoli
Perché il campionato dimostra che basta una vittoria per risollevarsi e ritrovare morale; perché l’undici di Carboni, terzo allenatore in 4 mesi dopo Aglietti e Pillon, è appena 1 punto sopra in graduatoria; perché gli scontri diretti vanno giocati e vinti anche in ottica di classifica di fine anno; perché proprio davanti al pubblico del “Barbetti” il Gubbio deve costruire il tesoretto di punti necessari a salvarsi, dato che fuori, al momento, il bilancio è alquanto deficitario (3 punti su 24 disponibili).
Basterebbero questi, di motivi, per puntare l’antenna sul bottino pieno. Poi si sa, le partite hanno storie personali che solo alla fine ti permettono di soppesare il valore reale del risultato.

Ma quella di domenica prossima somiglia allo spartiacque tra due scenari possibili ma antitetici: come l’analogico o il digitale, il vecchio e il nuovo, la sofferenza e la fiducia, il Gubbio vero e combattivo e quello amletico visto nel mese di novembre…

Al di là dello switch off…



Copertina de "Il Rosso e il Blu" di venerdì 25.11.11
musica di sottofondo: "Centro di gravità permanente" - Franco Battiato (1982)

giovedì 24 novembre 2011

Quando il digitale terrestre oscura... e quando gratifica... L'altra faccia dello switch off

L'altra faccia dello switch off.
Starsene in redazione senza "colpo ferire". Senza poter scrivere, montare un servizio, fare rassegna stampa o condurre tg. L'unica attività riconducibile a qualcosa di giornalistico è qualche news sul nostro sito. Qualche spicciolo, fatto di brevi aggiornamenti sulle poche notizie che arrivano dallo staff tecnico impegnato nel settaggio di tutti i ripetitori per il digitale terrestre.

L'altra faccia dello switch off è questo clima da "ferie forzate" - di cui credo di aver parlato anche in estate, ma in quel caso erano "simulate" - che ti tiene un po' represso e un po' impotente.
Magari chi legge potrebbe pensare: "Ma vatti a fare una corsa, una passeggiata, un po' di shopping. O stattene in famiglia, senza scervellarti troppo...".
Magari. Ma quando "sei in ballo", ti piacerebbe che la musica partisse. E fosse quella giusta. Qui invece siamo pronti, con l'orchestra che ha già accordato gli strumenti, gli spartiti sono fissati, il maestro ha già toccato dolcemente la bacchetta un paio di volte sul leggio, per richiamare l'attenzione. Alza le sopracciglia, come ad indicare che tutto è pronto...
Manca solo... la prima nota. Il via, il là. Per iniziare l'era digitale.

Ecco due giorni così e vai in paranoia. Siamo "switchati" - si dice?, boh... - da ieri mattina, mercoledì 23 novembre. Erano più o meno le 8 quando, nel corso della rassegna stampa in diretta, il tecnico di regia (Gigi Picciolini) mi ha fatto cenno, scuotendo il capo e agitando le braccia, che il segnale analogico era definitivamente passato a miglior vita.
Sembrava una scena di "E.R. medici in prima linea"... L'elettroencefalogramma di quello che era stato l'imput tecnologico di 26 anni di attività di questa piccola (ma a suo modo, emblematica) emittente, era irrimediabilmente piatto.
Restavamo ancora in vita, per un'altra oretta, sulla originaria frequenza digitale, collocata provvisoriamente sul canale 10 nella sola area di Gubbio: magra consolazione, ho pensato. Almeno qui, nella città madre dell'emittente, la rassegna stampa la vedranno fino alla fine.
Non pensavo però che per due giorni il buio sarebbe stato il comun denominatore di tutte le emittenti tv regionali: la sintonizzazione non lascia scampo, dal 9 (saltando il 7 di La7 e l'8 di Mtv) si passa direttamente al 21. Un po' come nel Monopoli, quando beccavi la carta che ti faceva saltare la casella della "prigione".

In "prigione" invece ci siamo rimasti noi. Due giorni a girare i pollici, aspettando nervosamente di sapere quando si poteva "scendere in campo", cercando di seguire le iniziative, conferenze stampa o appuntamenti di queste 48 ore (materiale buono poi da riproporre una volta tornato il segnale digitale nei primi notiziari) ma senza il ritrmo frenetico della giornata tipica del giornalista tv: ovvero la giornata "che ti insegue", con gli orari che si accavallano, le scadenze che incombono, montaggi e titoli che pressano, tecnici che brontolano, trasmissioni da organizzare, palinsesti da programmare, riprese pubblicitarie da calendarizzare e via di seguito... Non pensavo che tutto questo potesse un giorno (anzi 2, questi ultimi) diventare oggetto di nostalgia...

L'altra faccia dello switch off. Le telefonate in redazione, la gente che ti ferma per strada, ti scrive su facebook, ti chiede con impazienza: "Ma TRG quando si rivede?".
Una delle telefonate più memorabili è arrivata da Foligno: "Ma come, stasera non vedo TRG? E come faccio? Io non posso stare senza TRG...".
Ecco, ci voleva lo switch off per una sana e salutare iniezione di autostima... Per una bella botta di fiducia, che ti dà la ricarica (quasi come un Mars) dopo la due-giorni inconcludente.
Le cose più preziose - parlo di abitudini, oggetti, routine (non di persone, perchè lì il discorso è diverso...) -spesso ci circondano, ma quasi non ce ne accorgiamo. E' come se ci chiamassero e noi non le sentiamo. Ne facciamo un uso frequente, quasi ripetitivo. Non diamo loro il giusto peso, il meritato ruolo. Non pensiamo che siano importanti per la nostra giornata. Finchè non vengono a mancarci...
A quel punto, solo a quel punto, ci accorgiamo che non sappiamo farne a meno.

Ecco in pochi momenti, come questo, mi sono davvero reso conto, toccandolo con mano, quanto TRG si sia profondamente radicata nelle comunità che da anni sono servite dal nostro segnale.
Ti capita di verificarlo in occasione dei grandi eventi, delle dirette "maratona", delle vittorie sportive.
Qui invece c'è in ballo la quotidianità: l'essere legati a quell'appuntamento (in genere, il tg delle 20.20, ma non solo...) che è un fedele "compagno di viaggio" giornaliero. Per scoprire cosa è successo nella porta accanto...
Credo che sia un fenomeno che meriterebbe molta più attenzione che non qualche riga di un blog sperduto.
Perchè il futuro dell'informazione - a mio modesto modo di vedere - corre su un binario fatto di una dicotomia apparentemente inconciliabile, ma in realtà insostituibile: la grande informazione (notizie dal mondo e dal nostro Paese) e l'informazione "strettamente" locale.
In mezzo sta il limbo. Che spesso non significa nè informazione da un lato (chi la fa), nè interesse reale dall'altro (chi ne è destinatario).
Ebbene lo switch off, che in fondo è uno spegnimento, da questo punto di vista ha acceso i riflettori su questa realtà: felicemente ridondante, piacevolmente ripetitiva, affollata, caotica. Fatta di chiamate continue, richiesta di spiegazioni, quasi invocazioni di aiuto...
Ma in fondo testimonianza di un principio che questi 30 anni di informazione televisiva locale hanno sedimentato: la gente ha bisogno di sapere cosa succede intorno a loro. E quanto più stretto è il cerchio concentrico di questa notizia, tanto più forte è l'interesse verso la stessa...

Il resto, vien da dire, sono davvero chiacchiere...

lunedì 21 novembre 2011

Per il Gubbio lo switch off calcistico dura da 3 settimane... A Pescara dura lezione e occasione dilapidata...

I tifosi rossoblù all'"Adriatico":
come al solito gli unici vittoriosi (foto da gubbiofans.it)
Ci sono partite che possono segnare la svolta di una stagione. Ci sono anche sconfitte da carboni ardenti...
Difficile capire, oggi, quanto pesi questo Pescara-Gubbio per le rispettive protagoniste. La banda di Zeman probabilmente ha compiuto l’impresa di questo primo scorcio di torneo: vincere dopo essere in 10 per un’ora non è prodezza da poco anche se davanti non hai il Barcellona.
Anche se davanti c’è una squadra che non sa approfittare non solo e non tanto dell’uomo in più, ma soprattutto delle occasioni e degli spazi che i 90’ dell’Adriatico hanno potuto offrire, forse irripetibilmente.


Perché nessuna squadra di B gioca ai ritmi indiavolati della truppa di Zeman, sa verticalizzare, nascondere la palla, far salire la squadra fino a pochi metri dalla porta avversaria; ma forse nessuna altra squadra del campionato cadetto lascia con la stessa disinvoltura 5-6 palle gol nitide al proprio contendente. A prescindere dall’uomo in meno. Il Gubbio ha azzannato solo su una di queste, la più clamorosa, favorita dalla topica di Anania – un portiere con ambizioni da etoile al San Carlo di Napoli.

Per non essere da meno anche il dirimpettaio, Donnarumma, nella ripresa, ha abbandonato la porta con eccessiva nonchalance innescando la perla di Immobile dalla linea di fondo
L’ennesimo eurogol che il Gubbio incassa, per la verità, se si pensa solo alla prodezza balistica di De Vitis a Modena, al tiro a spiovere di De Liguori con la Nocerina o per venire a disavventure più recenti, al bolide da 30 metri di Sansone.

Graffiedi dal dischetto fa 1-1
(foto tratta da gubbiofans)
Lasciando da parte l’estetica, quel che preoccupa dopo la switch off rossoblù di queste ultime 3 settimane, è che una situazione favorevole come quella creatasi a Pescara era quasi inimmaginabile: 1-1 con il secondo sigillo personale di Graffiedi – anche sabato nettamente il migliore nella linea avanzata – e il vantaggio numerico.
Vantaggio, diciamolo subito, di cui nessuno poi si è accorto. Perché Zeman ha saputo sacrificare una punta, riassestando la difesa, e puntando sulla freschezza del duo Immobile-Insigne, che da soli valgono più di un tridente normale. E si è giovato di un rilassamento naturale dei rossoblù forse troppo fiduciosi che la partita da sola si sarebbe messa sui binari giusti. Da sè, invece, la serie B non fa succedere proprio nulla.

Tutto ciò che accade ha un perché e un per come. Dall’imbarazzo iniziale, ormai tradizione, all’inedito trio offensivo con il ripescato Giannetti – a cui il mese di naftalina non ha giovato – e l’involuto Bazzoffia. Fino all’impossibilità dopo il rosso a Capuano di tradurre l’uomo in più in una superiorità a centrocampo, dove l’atteso Buchel è rimasto a sedere, mentre per vedere all’opera il più pimpante Rui, è stato necessario incassare il nuovo svantaggio.
Ragatzu sciupa la palla del possibile 2-2
(foto tratta da gubbiofans)
E nonostante questo, il Gubbio ha avuto le sue 3-4 palle gol limpide. Tutte irrimediabilmente fallite, tra sciagurati controlli di palla, mire maldestre e braccino corto.
Ed ecco che il 2-1 è la naturale conseguenza di una partita dove la squadra più talentuosa ha saputo concretizzare, e quella più avvantaggiata dagli episodi invece non ha assecondato il destino. Anzi si è complicata la vita da sola, e purtroppo non è neanche una novità.



Chapeau dunque al Pescara di Zeman – che assomiglia molto al suo Foggia di 20 anni fa.
Punto interrogativo ed esclamativo, invece, per il Gubbio.
Perché ci sta di perdere all’Adriatico. Ci sta pure di perdere in superiorità numerica: ma gettare al vento occasioni e situazioni tattiche favorevoli come quelle viste in Abruzzo è peccato non veniale.
L’amaro in bocca c’è. Speriamo non sia anche un presentimento…


Copertina di "Fuorigioco" del 21.11.11
musica di sottofondo - "Walking on fire" - Catalin Josan (2011)

domenica 20 novembre 2011

TRG sbarca nel digitale terrestre: orizzonte regionale e canale 11 (oltre ad altre anticipazioni)

TRG, la sede di via del Molino, a Gubbio
Sono trascorsi oltre 25 anni dal primo tg di Tele Gubbio nella sede originaria di via Ubaldini.

Un quarto di secolo che ha visto un’evoluzione straordinaria di tecnologie e costumi, una crescita prepotente dell’informazione locale, sui mezzi tradizionali (quotidiani e radio) e su quelli più innovativi (tv e poi internet). Strumenti che oggi più che mai costituiscono un unico arco comunicativo che, anche in ambito locale, garantisce il raggiungimento di un target sempre più vario e variegato, per fasce d’età, abitudini orarie e costume tecnologico.

Un cammino nel quale la data del 23 novembre 2011 (mercoledì prossimo) segnerà uno step epocale. Lo switch off e il passaggio, anche di TRG, al digitale terrestre.

Cosa sia diventata TRG a oltre un quarto di secolo dalla sua nascita è presto detto:




- 12 appuntamenti informativi ogni giorno, dalle 7.30 fino alle 24.
- la prima rassegna stampa in diretta in Umbria, con le testate regionali viste al microscopio;
- due edizioni del Trg Giorno, il tg sulla cronaca dell’intera area provinciale
- due edizioni del Trg Sport, lo sguardo attento a tutte le discipline agonistiche
- due edizioni del Trg Sera, l’unico tg regionale splittato da tre diverse redazioni, Gubbio, Città di Castello e Foligno.
- la rubrica di approfondimento dopo il tg Trg Plus, con personaggi, inchieste, interviste, sui temi forti della giornata o sui focus di cronaca e attualità.
- nel weekend, Trg Sette, il rotocalco sui fatti principali della settimana
- 5.000 servizi filmati in un anno, oltre 50.000 notizie all’interno dei contenitori informativi quotidiani


maggio 2004 - inaugurazione
nuova sede TRG via del Molino
 L'obiettivo è chiaro: modulare su una dimensione strettamente locale un format informativo che sia sinonimo di immediatezza, presenza, attualità, funzionalità di servizio a beneficio delle aree di riferimento,
Dalla Valtiberina toscana ed umbra, all’Eugubino-Gualdese, dal Folignate, all’Assisiate, fino all’hinterland perugino e nelle vicine Marche.
Un’originale formula informativa e organizzativa - che da anni adotta lo "splittaggio" (trasmissione in contemporanea di diverse programmazioni su diverse aree) - oggi rappresentano un pionierismo che trova proprio nella nuova conformazione del digitale terrestre (6 canali per ogni MUX, sistema di trasmissione di ogni emittente) una sua espressione naturale. Accanto a questo, la bussola deve restare la continua ricerca di qualità e innovazione nei format, la cura nei dettagli nell’informazione come nella comunicazione pubblicitaria.
E in fondo, la convinzione di non sedersi e non accontentarsi mai abbastanza di quanto realizzato.

I passi avanti di questi 10 anni (dal 2001 ad oggi) sono attestati da certificazioni istituzionali – dal 2008 TRG è costantemente al primo posto nella graduatoria Corecom per l’assegnazione dei contributi ministeriali, in base ai parametri incrociati di dipendenti e fatturato – dalle proiezioni degli ascolti – 40.000 contatti medi quotidiani, secondo l’ultimo dato Auditel, con punte di oltre 80.000 nel prime time serale - dal gradimento della gente, che non si misura nei numeri ma nei riscontri che ancora oggi (per fortuna) il telespettatore ti propone per strada, al supermercato, nei bar o allo stadio.

La piattaforma digitale cambia radicalmente la fisionomia dei soggetti titolari di concessioni per le trasmissioni radio-televisive. Il panorama, anche a livello locale, come ad esempio nella nostra regione, sarà caratterizzato dalla presenza di due tipologie di soggetti:
Operatori di rete – società titolari di reti infrastrutturali di alta frequenza cui è assegnata la concessione per trasmettere in digitale su tutto il territorio provinciale o regionale
Fornitori di contenuti – società produttrici di contenuti e programmi televisivi per la cui diffusione sarà necessario utilizzare le piattaforme degli Operatori di rete.

Ebbene, dopo 26 anni, la soddisfazione è grande nel constatare che TRG taglia un altro traguardo straordinario nel suo cammino: sarà infatti a tutti gli effetti titolare di una concessione quale OPERATORE DI RETE sull’intero territorio regionale. Una titolarità esclusiva di un numero limitato di imprese, che determina di per sé la titolarità di un patrimonio di infrastrutture destinato ad accrescere il proprio valore nel tempo.
A TRG poi è stato assegnato nel sistema LCN (numerazione canali nel telecomando) il n.11 - sebbene inizialmente fosse quasi scontato che avesse il 10 per la migliore posizione nella classifica Corecom negli ultimi 3 anni.
Senza finire in polemiche che tanto, da questo blog, sarebbero inutili, val la pena comunque ricordare i canali che apparterranno a TRG: 11 - 111 - 211- 604 - 605 - 606.

Un salto di qualità e di territorialità che dopo 26 anni dalla nascita dell'originaria Tele Gubbio (nata a sua volta come costola di Radio Gubbio - 1977), consentirà all’emittente di confrontarsi ad armi pari con i competitors regionali, su un bacino di utenza omogeneo, con un progetto e un format organizzativo innovativo che già negli anni scorsi ha saputo precorrere i tempi e l’avvento del digitale terrestre.
L’utilizzo dello splittaggio fin dalla metà degli anni ’90 consente a TRG di sostenere l’operatività di più redazioni (e maggiori costi di personale e attrezzature) grazie ad un palinsesto integrato strettamente con le realtà locali. Una scelta strategica che ha fatto di TRG il riferimento più immediato e capillare dell’informazione locale prima nell’Eugubino-Gualdese, quindi nell’Alto Tevere e da alcuni anni anche nel Folignate.

Una formula che ora potrà facilmente diventare funzionale con la nuova frontiera digitale.
TRG, come operatore di rete, sarà titolare di un MUX, ovvero un sistema di trasmissione multicanale che consente di utilizzare la frequenza digitale di cui si è titolari con ben 6 canali di trasmissione.
In ognuno di questi 6 canali sarà programmato un differente palinsesto che renderà l’offerta informativa di TRG ancora più variegata e distribuita territorialmente: e così l’Eugubino-Gualdese potrà avere un suo canale, così anche l’Alto Tevere o il comprensorio Folignate – per restare alle aree storicamente servite dall’emittente. Un canale ulteriore consentirà di aprire una finestra sulla regione Marche – dove TRG è titolare di una frequenza per la provincia di Ancona.

Un canale sarà dedicato interamente allo sport – terreno sul quale da sempre l’emittente si è contraddistinta per essere in prima linea - e un ulteriore canale potrà distribuire il segnale radiofonico dell’emittente storica, RGM, l’antica Radio Gubbio, nata nel 1977 e pronta a sbarcare, anch’essa su piattaforma digitale.

Crescita di territorio, ma anche crescita di qualità nella programmazione e nell’implementazione di servizi a beneficio dell’utente.
E crescita di visibilità per i numerosi partners pubblicitari che attraverso la programmazione di TRG hanno potuto investire in immagine e promozione con la garanzia di ritorni certi e tangibili sul piano della diffusione e della penetrazione nel pubblico locale.
L’ampliamento territoriale dell’emittente, su tutta l'Umbria, ora rappresenta un valore aggiunto anche e soprattutto per coloro che da sempre hanno affidato le proprie campagne promozionali alla rete televisiva.
Un allargamento che – proprio grazie alla differenziazione di canali e di programmazione capillare - non disperderà il patrimonio di fidelizzazione maturato in oltre un quarto di secolo, rafforzando anzi la visibilità e l’incisività dell’informazione come anche l’efficacia del messaggio pubblicitario.

Nei prossimi giorni lo switch off creerà un po' di caos e ci vorrà qualche tempo per imparare ad orientarsi. L'impressione è che dopo, il bello potrà solo venire...



Musica di sottofondo: la sigla audio "storica" del radiogiornale di Radio Gubbio e successivamente del tg di TRG.
"The sound of Philadelphia" - 1974

venerdì 18 novembre 2011

A Pescara, cercasi impresa... (anche se non ancora disperatamente)

Il Gubbio scende all’"Adriatico" di Pescara con addosso uno di quegli annunci che vanno di moda, da sempre, sui periodici del lavoro.

Cercasi impresa... anche se non ancora disperatamente.

Più che la classifica – con il gruppone della colonna di destra racchiuso in 5 punti – comincia a preoccupare la casella zero nelle vittorie esterne. Non che sia esercizio facile ed immediato, vincere fuori.
Ma forse non è neanche un caso che ai rossoblù manchi ancora l’acuto lontano dal “Barbetti”.

E’ probabilmente lo stesso motivo per cui, quasi puntualmente in ogni gara, la squadra di Simoni concede le danze di apertura nel primo quarto d’ora agli avversari: salvo poi dover rincorrere, o nella migliore delle ipotesi entrare in partita intorno al 20’. Una questione di testa, più che di schieramento tattico; di mentalità più che di preparazione atletica.
Non è neanche un caso che nell’unica gara giocata alla pari e senza timore reverenziale con l’avversario in trasferta – a Brescia, nella migliore prestazione della gestione Pecchia – la vittoria sia stata vicina fino all’89’.

Lorenzo Insigne, volto nuovo dell'attacco di Zeman
Pescara, sotto questo profilo, può essere un banco di prova emblematico: perché la truppa di Zeman, un gruppo di ragazzotti all’apparenza un po’ inesperti ma in realtà con tacche pesanti sul proprio carniere e il sacro furore tattico del tecnico boemo, è capace di mettere a disagio chiunque sul piano del ritmo e della capacità di creare superiorità numerica. Ma è anche sufficientemente licenziosa da lasciare spazi importanti alle ripartenze altrui, tali da tenere viva la speranza degli avversari fin oltre il 90’. E’ accaduto con il Padova, sabato scorso, ma anche nelle sconfitte di Modena, Castellammare e Reggio Calabria.

Un aspetto, quest’ultimo, sul quale sicuramente Simoni e il suo staff hanno lavorato in settimana: azzardare, senza lasciare però autostrade sulle corsie laterali; crederci fino alla fine perché le sfuriate di Immobile, Sansovini e Insigne possono essere letali, ma possono – se ben contrastate – essere ribaltate.
Il Sassuolo dimostra, con i suoi ben 7 risultati di 1-0, che l’applicazione tattica e la diligenza nel lavoro di copertura, possono essere ingrediente redditizio anche in un campionato interminabile come la B.
Dove i pareggi, nell’ottica delle 42 partite e dell’obiettivo salvezza, valgono davvero doppio.

Ma non basta aspettare e difendersi. Perché la serie cadetta è piena di Sansoni, di giocatori capaci di punirti anche da 30 metri, anche al primo tiro in porta.
Ci vuole il Gubbio dei secondi 45’ col Sassuolo: una squadra capace di chiudere l’avversario in area, anche se con enormi difficoltà ad andare al tiro. Ma lo spirito, ora, è quello da serie B.

Il ds Giammarioli già pensa a gennaio - foto M.Signoretti
A Pescara potrebbe scoccare l’ora di Buchel, dal 1’, o il rientro di Lunardini. O tutte e due. Non per niente parliamo di centrocampo, dove nelle ultime apparizioni la squadra ha palesato gli imbarazzi maggiori in fase costruttiva: senza la corsa di Bazzoffia, un po’ stanco e un po’ più neutralizzato da difese che ormai cominciano a conoscerlo, il Gubbio fa fatica. Serve un uomo da ultimo passaggio, ma anche un elemento che possa provarci da lontano, con relative speranze, o che possa dare ritmo alla manovra, saltare l’uomo, creare spazio o superiorità numerica.
Anche queste sono indicazioni su cui il Gubbio sta lavorando, magari con Giammarioli. Magari in vista del mercato di gennaio.
Prima di allora però bisogna mettere altro fieno in cascina. Sapendo che anche un segno X, come dimostrano gli ultimi due inciampi, farebbe sempre e comunque volume…





Copertina da "Il Rosso e il Blu" (TRG) - venerdì 18.11.11
musica di sottofondo: "Be yourself" - Audioslave - 2005

giovedì 17 novembre 2011

Z come Zeman: un profilo (a modo mio) dell'avversario di sabato... Non un avversario qualunque...

No gol no party. Un personaggio che non lascia spazio a compromessi: o lo ami o lo detesti, Zdenek Zeman, allenatore di un Pescara grande protagonista in serie B, al suo rientro dopo anni nel calcio che conta. Zeman, ovvero la fantasia applicata al calcio, la filosofia offensiva a prescindere, l’attacco e la ricerca quasi ossessiva del gol come verbo unico ed esclusivo da coniugare con il tappeto verde.


Al tempo stesso, tatticismi e ostruzionismi al bando, applicazione difensiva quasi da cancellare, linee di retroguardia capaci di dare spettacolo, in senso negativo, almeno quanto le avanguardie sanno fare davanti la porta avversaria.

E’ così che Zdenek Zeman, "apostolo" di un nuovo modo di intendere il football, fa la sua comparsa nel calcio italiano alla guida di una provinciale, il Foggia: con lui alla fine degli anni Ottanta, un gruppo di sconosciuti sbarazzini della pelota, in maglia rossonera, mette a ferro e fuoco il campionato di serie B. E’ la stagione 90-91 quando la truppa di satanelli guidati dal misconosciuto tecnico boemo (famoso per essere nipote di Vickpalek) vince il campionato cadetto a suon di gol, 64, ma con ben 36 reti subite, quante la Salernitana che ad esempio quello stesso anno retrocede.
Due cifre che da sole aiutano a capire, in breve, il personaggio. In quella squadra diventeranno celebri nel trio d’attacco Beppe Signori, Roberto Rambaudi e Ciccio Baiano, ma anche i centrocampisti Manicone e Seno, e perfino il pirotecnico portiere, Mancini. Alcuni di loro Zeman li porterà con sé nelle avventure capitoline degli anni Novanta, prima a guidare la Lazio di patron Cragnotti, con un gioco spumeggiante che portò alla denominazione di Zemanlandia la squadra biancoceleste.

E poi sull’altra sponda del Tevere, alla Roma di Sensi, negli anni che sfociarono nelle furiose polemiche con la Juventus di Lippi, le dichiarazioni infuocate di Zeman contro "i troppi giocatori in farmacia" e l’ombra ventilata del "doping" (poi smentita dalla realtà) su atleti simbolo del calcio italiano come Vialli e Del Piero.
La storia del calcio ha poi oscurato la stella del trainer giallorosso, che in pochi anni, tra qualche avventura negativa e molte delusioni umane, è finito nel dimenticatoio.

Non ha mai amato le mezze misure, Zeman: né in campo né fuori. E paradossalmente ha sempre avuto un rapporto quasi fideistico dai suoi giocatori. Forse per il suo modo di parlare, quasi sottovoce. Forse perché le sue parole, spesso, sono state più taglianti dei cross dalla fascia, più dirompenti di un tridente d’attacco.

Resterà sempre aperto il dilemma se il tecnico boemo sia più un teorico o un utopista del calcio. Di sicuro i tifosi che lo hanno avuto non si sono annoiati. Spesso anche gli avversari...
E a Pescara, in pochi mesi, è già diventato un idolo. Che poi alla fine dell’anno la squadra adriatica finirà per vincere e andare in serie A è tutto da vedere.
Ma in fondo Zeman, a suo modo, è unico anche in questo…

mercoledì 16 novembre 2011

A proposito di Steve Jobs... E se fosse nato a Gubbio?

Si è scritto e detto tanto di Steve Jobs. Ancora non è spenta l'eco della sua prematura scomparsa, anche se l'impronta del suo fare, del suo cercare sempre con ossessione di creare, il suo essere "affamato e folle", lascerà un segno forte e caratterizzante di quest'epoca.
Eppure nel capitolo "riflessioni" del mio blog, mi piace inserire stasera questo pezzo firmato dal collega (e amico) Simone Zaccagni. Che come spesso gli accade, viaggia tra la parodia e il paradosso per accompagnarci ad una riflessione significativa. Di come certi miracoli, forse, avvengono in un luogo, piuttosto che in un altro, non a caso.
Un po' quel dilemma che era al centro della scommessa tra i due uomini d'affari (i fratelli Duke) protagonisti dell'indimenticabile film "Una poltrona per due"...

E SE STEVE JOBS FOSSE NATO A GUBBIO?

"Non ho mai usato un computer Mac, né iPod, iPhone, o iPad. Nonostante sia un amante della tecnologia, la seguo solo quando essa mi migliora le cose, quindi ho volentieri cambiato il walkman con il lettore cd portatile, poi con quello per mp3. Sono passato dal vhs al dvd, dalla Girardengo rossa alla mountain bike, così come per la mia passione di fotografia ho abbandonato senza tanti rimpianti il rullino e abbracciato la digitale, prima una compatta, adesso maneggio una lussuosa reflex. Però per leggere i libri preferisco ancora la carta, quindi l’iPad può attendere. Stesso discorso vale per il cellulare: mi basta che suoni quando qualcuno vuole parlare con me e viceversa. Detto questo, ho da sempre ammirato la figura di Steve Jobs, uno che si fatto da solo, si è distrutto l’impero da solo per il piacere di ricostruirlo come io facevo con i mattoncini LEGO da piccolo. Dopo la sua morte in tantissimi hanno onorato la memoria del visionario che ha cambiato il nostro modo di comunicare. Colui che ha saputo coniugare crescita, innovazione, successo economico, tecnologia, carisma personale e qualità dei prodotti. Ha saputo inventare nuove necessità in un mondo che ne sembrava ormai saturo. Il solito discorso del cellulare, che oggi ci sembra indispensabile, ma fino a 15 anni fa nessuno l’aveva e si viveva ugualmente.


Ma quanto conta l’uomo e quanto l’ambiente che lo circonda?
E l’epoca? Se Leonardo invece che nella Toscana del Rinascimento fosse nato nel Sannio all’epoca delle guerre italiche? Magari sarebbe stato lui il promotore delle forche Caudine, ma poco altro. Insomma, se Steve Jobs fosse nato a Gubbio avrebbe avuto le stesse possibilità? Innanzitutto si sarebbe chiamato Stefano Lavori (certo che il futuro l’aveva scritto già nel cognome…) che fa un po’ meno effetto, ma se ci pensiamo bene anche Tommaso Crociera e Nicola Gabbia non suonano tanto bene rispetto a Tom Cruise e Nicolas Cage. E forse se Ivano Fossati si fosse chiamato Ivan Ditches il suo successo “My band plays rock” sarebbe stata una pietra miliare della musica pop. Va beh, torniamo a Steve Jobs: nasce come figlio indesiderato, la madre lo dà in adozione, e poco tempo dopo, nonostante un ripensamento dei genitori adottivi, è in una nuova famiglia. Da noi adottare un figlio richiede soldi, tempo e tanta, tantissima burocrazia, quindi il nostro Stefano probabilmente sarebbe cresciuto da Suor Dorotea Mangiapane, fino a 4 o 5 anni e sarebbe tornato il 13 dicembre di ogni anno per mangiare le cotiche coi fagioli a Santa Lucia. Steve Jobs ha creato Apple dal nulla, a 21 anni, con un amico di 26. Da noi è un giovane imprenditore chi lavora nell´azienda dal padre, o l´eredita. Jobs non si è laureato: ha abbandonato gli studi per fondare la Apple, pur continuando a frequentare i corsi del campus, soprattutto quelli che lo affascinavano. Ecco che andò a seguire le lezioni di calligrafia ed è grazie a quelle cose apprese che noi oggi abbiamo i vari font con i quali scriviamo anche con Windows (il suo odio per i rivale Bill Gates derivava molto dal fatto che il signor Microsoft aveva copiato molte cose dal Mac). Da noi si passano sei anni a studiare economia all´università con l´aspirazione di andare a lavorare per qualcuno: meglio se una banca o lo studio del padre.
Oppure le lezioni sono così pedanti che ti fanno odiare anche ciò che all’inizio ti piaceva: ricordo un esame di letteratura greca in cui dovetti imparare a memoria, e dico a memoria, 8 canti dell’Odissea con il docente (un mostro sacro sui cui libri avevo studiato al liceo) che si intestardiva a ricercare aoristi ed eccezioni, ma mai una volta che avesse detto: “Che intelligenza questo Ulisse, che fantasia Omero!”.
E come se nell’illustrare “Amore e Psiche” che è una poesia di marmo, vi parlassero dello scalpello di Canova.
Ma che fine ha fatto Stefano Lavori? Ah già, si è messo in proprio. Da noi mettersi in proprio è un incubo, non un sogno. Jobs ha cominciato l´attività in un garage, pagando i fornitori con il credito ottenuto grazie a un ordine di computer che esistevano solo sulla carta. Da noi, nessuno fa credito a un´idea, il garage non avrebbe rispettato le norme di sicurezza e non ci sarebbero stati i soldi per il commercialista, notaio e Camera di Commercio e l’avrebbe potuto usare solo d’estate, perché per il resto dell’anno da noi ci si mette la legna…

Jobs ha portato la Apple in Borsa nel 1980, appena quattro anni dopo la fondazione, per crescere. Da noi si colloca in Borsa la quota di minoranza di un´azienda matura, per fare cassa. Jobs adottò come simbolo della sua azienda una mela, rubando il concetto a Newton e il disegno ai Beatles: Stefano Lavori chi avrebbe potuto plagiare, i Pooh? Non l’hanno nemmeno un simbolo, al massimo Winnie the Pooh! Nel 1985, Jobs è stato estromesso dalla Apple. Per comandare in azienda non basta averla fondata: bisogna dimostrare agli azionisti di essere sempre i più bravi. Il vero capitalismo è meritocratico; il merito non ammette gratitudine o corsie preferenziali. E lo si conquista coi risultati, non con la buona stampa. Jobs è stato richiamato alla guida della Apple nel 1997: senza di lui, la società era cresciuta in media dell´11%; col suo ritorno, la crescita è quasi raddoppiata. Da noi, meglio essere “figli di”, o “amici di”. Cacciato dalla Apple, Jobs ha creato due società: la NeXT, fallita perché troppo innovativa; e la Pixar, ceduta alla Disney per 8 miliardi. Da noi, con i soldi della Apple, Jobs avrebbe fatto il finanziere, acquisendo partecipazioni, o investito in immobili. Jobs comandava in Apple con lo 0,6% del capitale. Una fetta minuscola di una torta gigantesca. Da noi si comanda perché si ha il controllo; preferendo una grande fetta di una torta che, per questa ragione, rimane piccola. In quanto azionista, Jobs rinunciava a qualsiasi compenso da amministratore delegato. Da noi gli azionisti, anche se di controllo, si pagano lauti stipendi, stock option e benefit aziendali. In Apple ci sono 7 consiglieri. Da noi, spesso non ne bastano 15. La Apple oggi vale 360 miliardi, quasi l´80% di tutta Piazza Affari o il Pil dell´Argentina. Ma i suoi quattro top manager hanno in media uno stipendio di 530 mila euro, più 560 di bonus garantito; da noi, roba da dirigente bancario. Il vero bonus milionario è pagato solo in azioni, e in base ai risultati: ai quattro sono andati 146 milioni nel 2010; avendo Apple realizzato 14 miliardi di utili. Nessuno si scandalizza. Anzi. La Apple delocalizza ed esternalizza la produzione in Asia e in Paesi a bassa fiscalità. Da noi verrebbe accusata di scarso senso sociale.

Il principale azionista (col 5%) è un fondo americano; ma se fosse cinese o di Abu Dhabi nessuno invocherebbe la difesa dell´”americanità”. Apple opera in un settore innovativo, tecnologico, e altamente concorrenziale; ma per quanto “strategica” non ha mai pensato a chiedere il sostegno dello Stato. Se la Apple sbaglia, fallisce perché, come ha detto Jobs, «la morte è la più geniale invenzione della vita: spazza via il vecchio per far posto al nuovo». Un´Apple è possibile nel capitalismo di mercato americano. Da noi no. Vorrei ricordare Steve Jobs come emblema di quello che è, può e dovrebbe essere il capitalismo di mercato, una lezione da imparare a memoria.
E a Gubbio cosa sarebbe finito a fare Stefano Lavori? F orse il riparatore di computer e avrebbe inventato, chissà, un nuovo tipo di balestra…".
Simone Zaccagni

tratto da "Gubbio oggi" - novembre 2011

martedì 15 novembre 2011

Una firma per chiedere una legge sull'"omicidio stradale". E presto iniziative pubbliche...

Di certo le priorità del nuovo Governo Monti - che forse tra stasera e domani conosceremo, nome per nome, e che presto affronterà il voto del Parlamento - sono altre. E si capisce.
Ma il dato parla comunque da solo: ogni anno in Italia sulla strada perdono la vita 5.000 persone. E almeno un terzo di questi lutti sono resi ancora più insopportabili dal nesso causale: ovvero sono provocati da persone in stato di alterazione mentre sono alla guida.
Da qui la proposta di introdurre nel nostro ordinamento una nuova figura di reato, che assimila quello che adesso è l'omicidio colposo, ad una sorta di omicidio volontario, in condizioni specifiche: ovvero, l'omicidio stradale.

Personalmente ho sempre vissuto in modo particolare questo tema. E ad es: ho aderito a campagne di sensibilizzazione (come "Basta un attimo" - vedi post precedenti su questo capitolo) o a iniziative pedagogiche all'interno delle scuole (il concorso "Guida la vita, il senso della vita"). Questo perchè ritengo la prevenzione lo strumento primo e più efficace per porre limiti a questa "deriva": ma sappiamo tutti che, pur lavorando alacremente su questo fronte, il problema (ma viste le dimensioni, la chiamerei "piaga") è difficile da debellare del tutto.
E allora è necessario creare un deterrente forte per inculcare, soprattutto ai più giovani, il messaggio del rispetto della vita. Se non la propria (che ognuno può alterare come crede, ferma restando la responsabilità di quello che si fa anche verso se stessi), quella degli altri.

E' possibile sottoscrivere una raccolta di firme per chiedere che l'"omicidio stradale" abbia una sua precisa configurazione, nella fattispecie e ovviamente nelle pene conseguenti, all'interno del nostro diritto penale. Nel link sottostante - che mi è stato suggerito da una nuova amica di facebook - è possibile dare il proprio contributo attraverso una semplice firma. Non cambierà nulla, tra oggi e domani: ma magari in futuro, una misura deterrente, indirettamente, contribuirà a diminuire il numero dei lutti e delle lacrime sull'asfalto...

http://www.omicidiostradale.it/

Presto anche nella nostra regione saranno promosse iniziative pubbliche su questo fronte (si parla di un convegno con esperti, a gennaio, a Perugia). Mi auguro che su un tema come questo non ricominci la ridda di strumentalizzazioni politiche, di qualunque colore: di fronte alla vita, di fronte alla necessità di tutelarla, anche sulla strada, non dovrebbero esserci barriere, destra o sinistra che sia.
Certamente anche attraverso questa voce, questo piccolo blog, vi terrò informati sull'evolversi della situazione.

lunedì 14 novembre 2011

E' la serie B bellezza... Mancano le stoccate ma lo spirito è quello giusto...

Simoni in piedi, Tebi
e Giammarioli assorti - foto Settonce
E’ la serie B bellezza. Sembra dire questo il campionato al Gubbio di Gigi Simoni. L’effetto benefico del suo arrivo in panchina pare affievolirsi dopo la seconda sconfitta consecutiva, per mano del figlioccio sportivo prediletto, quel Fulvio Pea che, al pari di Pecchia, è debuttante assoluto in serie B ma con alle spalle campionati tosti di Primavera con Samp e Inter.


E che non si tratti di un allenatore di primo pelo lo si capisce osservando il suo Sassuolo che è secondo, lì a tre passi dal vertice, ma che in campo, soprattutto, sa starci anche quando non è giornata di grazia.
Perché l’1-0 di ieri fa sorridere gli emiliani, proprio alla luce di quanto hanno faticato per costruirlo e portarselo a casa: è la quinta vittoria esterna del Sassuolo, ma anche il settimo 1-0 stagionale. E Capello insegna che è con gli 1-0 che si vincono i campionati.

Il Gubbio ha poco da rimproverarsi. Simoni, un po’ come Mario Monti, chiamato a salvare i rossoblù dallo spread della serie cadetta, non ha la bacchetta magica. Ma sa che paradossalmente una prova come quella di ieri deve preoccupare meno di altre, che hanno riportato punti: perché in fondo il pareggio sarebbe stato più equo, se non altro per il cuore e la spinta profusa fino al 95’. Uno spirito che è quello che i rossoblù devono conservare da qui a maggio per conquistarsi la salvezza equivalente allo scudetto 2011-2012. Un ardore che però, sebbene sia condizione necessaria, non diventa sufficiente quando non è condita da un pizzico di fantasia e di soluzioni tecniche.

Ragatzu ha sfiorato il pari - foto Settonce
Soprattutto in attacco, dove la squadra di Simoni dimostra di avere difficoltà: ieri l’unico vero grattacapo a Pomini l’ha procurato Ragatzu nei minuti di recupero – chiamando il portiere al miracolo di giornata che vale almeno quanto la prodezza di Sansone al quarto d’ora del primo tempo.
Però è un po’ poco se si considera che la squadra ha spinto sull’acceleratore, specie nella ripresa: molta buona volontà ma poco profitto.

Se Bazzoffia non carbura, dalle fasce non arrivano idee rivoluzionarie; le soluzioni su calcio da fermo latitano, specie dalla bandierina dove su 10 corner oltre la metà sono ad appannaggio degli avversari sul primo palo; giocatori in grado di piazzare la stoccata su iniziativa personale – alla Sansone per capirci – non ci sono. O se ci sono, ancora non si vedono.

La classifica del Gubbio
nella "posa" di Graffiedi - foto Settonce
Il rammarico, nel match di ieri, è non aver cercato fino alla fine una terza soluzione, con i cambi, che magari proprio sulle corsie laterali, avrebbe potuto cambiare l’inerzia del leit motiv tattico. Ma col senno del poi, si sa, ognuno può dire quel che vuole.
Ha ragione Simoni che da una domenica come quella di ieri le notizie peggiori sono arrivate dagli altri campi: con Empoli e Vicenza vittoriose addirittura in trasferta, e le sole Nocerina e il lontanissimo ma redivivo Ascoli rimasti alle spalle.
In tutto questo il bicchiere mezzo pieno continua a mostrarci una classifica nella quale in 5 punti (dai 18 del Cittadella ai 13 della Nocerina) c’è mezza serie B. Il che significa che con poco, magari la prima vittoria in trasferta stagionale, si riemerge dalle catacombe della classifica.

Con lo stesso spirito visto ieri, ma con una traduzione ben diversa… Perché l’uomo dei miracoli non esiste. E i miracoli, semmai, bisogna costruirseli da soli, giorno x giorno...

 
 
Copertina di "Fuorigioco" del 14.11.11
musica di sottofondo: "Miracle worker" - Super heavy - 2011
 

domenica 13 novembre 2011

Dalla lezione dell'Europa... ai gesti virtuosi nel nostro piccolo


Christine Lagarde, direttore generale
del Fondo Monetario Internazionale
  Sarà servita la lezione? Lo scopriremo nelle prossime settimane. Certo è che camminare a piedi nudi sul cornicione del quinto piano non è esperienza piacevole. Ed è un po’ quello che si è trovato a fare il nostro Paese nelle ultime settimane. Miti, ma solo sul termometro.

Perché poi se al posto dei gradi centigradi, l’unità di misura diventa lo spread – il differenziale tra i rendimenti dei Btp di casa nostra e i bond tedeschi – allora il clima cambia radicalmente.

La lezione dell’Europa – di un’Europa per altro un po’ accademica, pronta a bacchettare il vizio tutto italiano di promettere e non mantenere, salvo tenere qualche scheletro economico-finanziario negli armadi (le banche franco-tedesche messe molto peggio delle nostre) – il rischio default, pur non avendo fondamentali economici disastrosi (debito pubblico a parte), il timore di un crollo totale, devono essere comunque un monito per tutti.

Anche per noi, anche per chi nel proprio piccolo sente la crisi, ma in fondo ne parla come fosse uno slogan ormai recepito in tv e ripetuto mnemonicamente nel pour parler quotidiano.
Sento dire spesso “di tutto, di più”. Inconsciamente si adotta uno spot Rai anni Novanta, come perifrasi, come modo di parlare.
Ecco, anche la parola crisi è diventata un po’ questo. “C’è la crisi”. E’ vero. Ma qualche volta è anche una sorta di alibi-spot col quale si giustifica tutto, anche quello che si potrebbe fare pur in tempo di crisi – soprattutto se la frase consente dilazioni di pagamento a chi ha soldi in tasca o mancati pagamenti a chi li deve, quando non addirittura il no di una banca, magari ad una buona idea.

Perché se davvero la crisi morde, allora certe abitudini – tipiche di tempi andati – dovrebbero scomparire. Ma permangono. Certi piccoli grandi lussi non dovrebbero essere esibiti. Certe usanze, certi vizi, certe tolleranze, certe “liturgie” da furbetti di quartiere, dovrebbero restare negli album dei ricordi.

Spiegare come stia accadendo tutto questo, come stia cambiando il giudizio nei confronti di un Paese che ha sempre dimostrato "di saperci fare", non è semplice. Perché non è semplice parlare di economia in termini accessibili. Ma in parole povere, l’Europa non si fida più di noi. Non si fida di chi imbastisce, come Penelope, la tela della riforma delle pensioni da 20 anni, e il gomitolo è sempre lì. Non si fida di chi annuncia di tagliare Province e accorpare i piccoli comuni, e poi non se ne fa nulla (salvo dar vita puntualmente a battaglie di campanile tra chi pretende rigore ma vuol restarne fuori). Di chi grida al taglio dei privilegi, dei vitalizi, delle guarentigie. E poi vota di soppiatto qualche indennità in più.

E l’Italia – rispetto al’Europa - è come quella famiglia che pur non potendoselo più permettere, va in banca a chiedere i soldi. Poi, con quei soldi, non manda a studiare i figli, non investe su una casa, non consolida un’azienda. Ma ci va al mare.
Berlusconi è stato un interprete efficace, di questa Italia. Col sorriso stampato anche sul ponte del Titanic. Ma in fondo era quello che volevano fosse i suoi elettori. E la maggior parte degli italiani.

Quanto c’è di questa Italia in quello che facciamo?
Anche nei piccoli gesti quotidiani: nello scontrino che non ti fanno e che con sorriso accetti rimanga inevaso; nello sconto dell’artigiano perché, anziché 120 con fattura, 100 senza, conviene; nella spintarella che si continua a cercare dal politico di turno per piazzare parente o affine in qualche ufficio pubblico; nella borsa griffata o negli occhiali di moda che dal "vu cumprà" trovi a prezzo stracciato.
Ecco l'Italia delle furbizie è quella di cui l'Europa non si fida. E per fortuna non è l'unica Italia che esiste. Ma i primi a dovercene convincere siamo proprio noi.
Gli unici a dover smentire il luogo comune. Di un Paese condannato al “catenaccio” che alla fine spera sempre nel gol al 90’, per strappare un misero pareggio. Nel calcio come nell’economia. Come nella vita di tutti i giorni...

venerdì 11 novembre 2011

Gubbio-Sassuolo: è come un derby... ma l'album dei ricordi domenica non serve...

E’ vero, ci mancano da un pezzo i derby in campionato. Almeno da 5 stagioni, dalle ultime sfide con il Foligno prima della promozione dei falchetti in C1.
E sarà anche per questo che in fondo, proprio in serie B, l’aria del derby, a suo modo, si possa avvertire almeno in un paio di gare.
Gubbio-Sassuolo è una di queste. Perché in panchina come in campo, la sfida ha motivi e sapori davvero speciali, quasi da fare scorrere in secondo piano la questione dei 3 punti.
Quasi, perché dopo l’inciampo di Vicenza – in una gara che più passano i giorni, più resta come quei bocconi da mandar giù con mezzo litro d’acqua fresca, per evitare il soffocamento – la classifica torna a bussare alla porta dei rossoblù.


Bagarre a centrocampo in Vicenza-Gubbio (foto Settonce)
 C’è un plotone a quota 14 che insieme al Gubbio, fa quasi da linea maginot tra il purgatorio e gli inferi: e proprio nelle ultime 24 ore, da questo limbo, si è cavato di impaccio la Juve Stabia cui la Disciplinare ha restituito, bontà sua, 2 punti dei 5 prelevati niente meno che per illecito.
Sarà pure la terra di Pulcinella, quella delle vespe, ma vien davvero da pensare dove esista una giustizia minimamente credibile nel nostro Paese: se per aver truccato una partita e un campionato, per altro a proprio favore, si finisce per pagare la miseria di 3 punti. La depenalizzazione del falso in bilancio, a confronto, è il bon ton del diritto.


Lasciamo stare, e torniamo a Gubbio-Sassuolo.
Ad una gara che in fondo ci restituisce quel pizzico di poesia che ancora il calcio riesce ad ispirare: Simoni contro il suo allievo Pea, è uno dei temi che condiscono da giorni le colonne dei quotidiani e il web. Il loro cammino negli ultimi 10 anni è una strada comune per gran parte del tempo, con l’apprendista di Casalpusterlengo che dopo il Car alle spalle del vecchio saggio, si è irrobustito le ossa tra le Primavera di Samp e Inter.

In estate sembrava dovesse tornare dalle nostre parti, poi la mossa sfumò e lui scelse Sassuolo, la patria delle piastrelle ma anche di patron Squinzi, uno che dopo aver trionfato nel ciclismo, è stato capace di tenere in B per cinque stagioni una squadra che a mala pena porta 1.500 tifosi allo stadio di Modena ma che in fatto di calcio è sopraffina. Oggi il terzo posto è la legittima retribuzione di un gioco e una squadra che sanno essere protagonisti in serie cadetta. Insomma un modello da imitare, proprio per una piazza come la nostra.

E speciale sarà anche la gara per capitan Magnanelli, che nel Gubbio è cresciuto e che noi ricordiamo per un sontuoso assist a bomber Clementi, nel primo derby tra i prof vinto dai rossoblù in terreno gualdese. Mentre Marchi, eugubino e prodotto del vivaio eugubino, di gol ne ha segnati a iosa prima di prendere la strada di Trieste. Proprio negli anni in cui Pea faceva esperienza nel settore giovanile del Gubbio.

Insomma non sarà una partita qualunque. Ma al fischio d’inizio tutto questo conterà zero. Perchè il Gubbio – anche senza Cottafava dietro e con il dubbio Sandreani che permane in mezzo al campo – dovrà rimboccarsi le maniche e riprendere a macinare punti. La domenica inedita non sempre ha portato sfortuna, anzi (dopo il naufragio di Genova, è arrivata la prima vittoria con la Nocerina) ma stavolta non basterà la cabala per avere la meglio. L’album dei ricordi può restare nel cassetto: il presente chiede i 3 punti…


Copertina de "Il Rosso e il Blu" - ven. 11.11.11
musica di sottofondo: "I soliti" - Vasco Rossi - 2011