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lunedì 30 luglio 2007

Servizio intervista padre Vincenzo Coli

Servizio intervista padre Vincenzo Coli – Custode della Basilica di S.Francesco di Assisi –

“Cosa direi oggi all’imam di Ponte Felcino? Pensa a Dio come misericordioso. Misericordia vuol dire chinarsi sulle miserie col cuore, con la fede. Allah è misericordioso, la misericordia porta la vita, non la morte”.
E’ sereno ma fermo padre Vincenzo Coli, Custode della Basilica di S.Francesco. Sereno e fermo, nella voce e nello sguardo. Un po’ come il colpo d’occhio che Assisi regala nell’ultima domenica di luglio. Una tranquillità serafica, immobile, rotta dal via vai incessante di turisti e fedeli intorno alla Basilica maggiore e lungo le viuzze del centro storico.
Sono trascorsi dieci anni dal sisma che ferì gli splendidi affreschi di Giotto, di lì a pochi metri, e costò migliaia di senza tetto, a pochi chilometri. Ora è un’altra scossa a turbare la quiete di queste colline.
L’arresto dell’imam (e suoi due collaboratori) di una piccola moschea della periferia perugina, Ponte Felcino. Un borgo diventato celebre per quanto ritrovato in un locale, adibito a luogo di preghiera per la nutrita comunità islamica, apparentemente innocuo, ricavato in un vicolo anonimo, in mezzo a un ambulatorio Asl e un’associazione “Amici del garofano“. Quella moschea celava in realtà una scuola di terrorismo, vi si nascondevano sostanze tossiche utili per realizzare ordigni, mappe di città italiane, piantine di acquedotti, sim card e numeri telefonici sospetti. Dalle intercettazioni è emersa una realtà inquietante, dove i bambini sarebbero stati educati a picchiare i coetanei italiani. E dove da un dialogo sarebbe spuntata perfino la frase “Osama Bin Laden è morto”.
Tanto è bastato a far crollare in un paio di giorni l’immagine di decenni di convivenza e integrazione della comunità islamica (circa 25.000 persone) nella piccola regione del Poverello.
Colpi pesanti per l’Umbria, storicamente riconosciuta per la capacità di accogliere, di aprire frontiere, di mescolare culture e religioni (con la sua Università Stranieri ma anche con le prime moschee in Italia). Un sondaggio di queste ore parla di un 60% di umbri favorevoli alla chiusura delle moschee - sono 13 i luoghi di culto sparsi nel territorio regionale. La paura si alterna al disorientamento.
Che sensazione ha provato il rettore francescano alla notizia su Ponte Felcino?
“Sconcerto e incredulità – ci confida – Mi ha fatto molto male sapere che nelle nostre città si svolgeva un’attività in totale contrasto con lo spirito di questa terra. Mi sono detto: ma come è possibile? Proprio qui! A pochi chilometri da Assisi. L’Umbria è la terra del dialogo, con i suoi Santi, Francesco e Benedetto, che hanno costruito ponti e non hanno alzato muri. Non è possibile che una comunità accolta con rispetto possa dare questi frutti. Ma credo che gli imput di quanto accaduto vengano da lontano”.
Sembra paradossale, in effetti, che quello «spirito di Assisi» - definizione coniata nell’86 quando Papa Giovanni Paolo II organizzò qui il primo grande momento di dialogo interreligioso – appaia oggi così lontano. E pensare che nel 2004 proprio in Basilica vi fu l’incontro tra l’imam di Perugia (Abdel Qader, definito “troppo moderato” dalle frange più estreme della comunità islamica, tanto da subire anche minacce) e l’attuale Custode del Sacro Convento, con la riproposizione del dono del corno del sultano Al Malik (che incontrò S.Francesco nel 1219 in Egitto).
“Sono stati momenti e gesti simbolici molto apprezzati dalle rispettive comunità – ricorda Coli – importanti per un dialogo che richiede ancora molto tempo ma che deve avvenire sempre nel rispetto reciproco. Dobbiamo essere capaci di dialogo, ma con chiarezza, lealtà e prudenza. Perché, dice la Bibbia, “l’uomo è un baratro e il suo cuore è un abisso”, dunque…”.
Pensando al caso di Ponte Felcino, come vede ora il rapporto tra comunità tanto vicine ma ancora tanto diverse?
“Penso che i tanti immigrati che vengono catapultati nella nostra cultura, nelle nostre città, dovrebbero essere preparati, accompagnati a conoscere questa nostra realtà, pur mantenendo la propria fede, le proprie tradizioni. E senza pensare che una minoranza possa imporre le proprie”.
E se tutto questo fosse avvenuto qui proprio per colpire un terreno così fertile per l’integrazione?
“Non credo che Assisi possa essere nel mirino di nessuno, tanto è universale il legame con questa città. Credo però che quanto è avvenuto in Umbria in questi anni, quello che rappresenta Assisi nel mondo in fatto di dialogo e integrazione di culture e religioni, possa dare fastidio a chi vorrebbe il contrario. Chi al dialogo vorrebbe sostituire il muro. Quando l’uomo fa fuori Dio, il suo cielo si popola di idoli: e l’uomo non è più libero di prima ma anzi diventa schiavo perché li utilizza come un surrogato che può essere manipolato. Lo stesso Corano, che Papa Wojtyla riconobbe come fonte di grande spiritualità, viene spesso interpretato in modo distorto. Ma non dobbiamo confondere il comportamento sbagliato di poche persone con il comandamento dei principi”.
Ma allora, prendendo spunto dalla celebre parabola di S.Francesco che ammansisce il lupo di Gubbio: chi è oggi il lupo?
“Sono quelle persone che accolgono una visione violenta della vita. Il lupo può essere anche dentro di noi, se non sapremo stemperare l’aggressività distruttiva che ci portiamo dentro e non sapremo riconoscere la gioia e l’arricchimento che ci proviene dall’amore per il prossimo”.
E sulla richiesta, sempre più diffusa, di chiudere le moschee?
“E’ vero, c’è grande sconcerto, lo avverto anche tra i fedeli e le persone che frequentano la Basilica in questi giorni. Non si sa più come comportarsi. I musulmani devono sapere che vivono in una realtà nella quale sono accolti e rispettati ma devono anche saper rispettare e accogliere, fondamentale è il concetto di reciprocità. Per molti di loro tutti gli occidentali sono infedeli. Non sanno che il concetto primo della diversità lo ha dato Gesù quando ha detto “Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. Come i nostri emigrati italiani si costruirono cappelle cercando lentamente di fondersi con le comunità locali, anche non cattoliche, così bisogna rispettare i luoghi di culto altrui. Non è un problema di apertura o chiusura delle moschee. L’importante è che siano solo luoghi di preghiera e non di violenza. Ricordo che ad Istambul, dove andai spesso tra il ’90 e il 2000, la nostra comunità francescana veniva sostenuta con le offerte dei musulmani e ho visto cristiani non cattolici e musulmani in chiesa”.
Da 4 anni padre Vincenzo Coli è il Custode del Sacro Convento. In passato ha vissuto esperienze di comunità anche in terra islamica. E’ cambiato il modo di vedere l’islam a partire dal 2001?
“Sicuramente dall’attentato di New York siamo stati costretti a prendere coscienza di una realtà diversa, di una mania, una febbre dilagante. E’ stato un terremoto per le nostre coscienze. Ma il dialogo e il rispetto reciproco restano l’unico modo per uscirne”.

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