Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 11 dicembre 2007

Ceri, anche "Focus" ha le idee confuse

La vicenda non era certamente delle più clamorose ma è esemplare di come da un lato la Festa dei Ceri sia ormai diventata di patrimonio comune ovunque. E al tempo stesso, come sia facile poterne “disporre” per gli usi più disparati.
Ci riferiamo al servizio apparso sul mensile “Focus” nel mese di novembre: un accattivante racconto su come il culto “fallico” sia diffuso in tutto il mondo da sempre, sia sinonimo di virilità e potere, sia l’emblema di una supremazia. Tanto da ispirare non solo riti religiosi ma anche manifestazioni storico-folcloristiche come i Gigli di Nola e i Ceri di Gubbio.
Ci risiamo. I Ceri come espressione di una falloforia, come manifestazione arcaica di un rito che in fondo non avrebbe, secondo “Focus”, nulla di più e di meno di altre manifestazioni (legate ad esempio alla primavera o ai riti propiziatori per una stagione fertile). Sappiamo che ci sono studi frequenti e prestigiosi a riguardo. Ma per quel che ne sappiamo – e per quel che ci piace ritenere – a prescindere dalle origini più remote, i contenuti o meglio i valori attuali e autentici della Festa sono quelli di un “rito” in onore del Patrono. Di un rito religioso. Con buona pace di chi ama laicizzare tutto, specialmente oggi.

giovedì 4 ottobre 2007

Tagli amministrativi, ma i veri sprechi stanno altrove

TAGLI ALLE POLTRONE,
MA I VERI SPRECHI STANNO ALTROVE
“Gubbio Oggi” – ottobre 2007

Un po’ la storia dei tagli alla politica. Un po’ la Finanziaria 2007 – alla ricerca di qualche ritocco “popolare” per consentire al Governo di proseguire il proprio “galleggiamento”. Un po’ la necessità effettiva di ottimizzare un sistema oggettivamente ridondante.
E’ così che nei prossimi mesi potremmo assistere ad un consistente ridimensionamento degli enti locali. Nel numero e soprattutto nelle rappresentanze (assessori e consiglieri): quindi, anche nei suoi costi.
Il caso eclatante è quello delle Comunità Montane, sul quale è nata anche una polemica a distanza tra la presidente della Regione, Lorenzetti, ed il Governo (per altro inedita per quanto attiene alla Governatrice, sempre inflessibile verso il governo Berlusconi, decisamente più tollerante nei confronti di Prodi).
La Finanziaria infatti taglia i comuni da inserire nelle Comunità Montane secondo un criterio di altitudine: sotto i 500 metri, tutti resteranno fuori. Una sorta di linea di “galleggiamento” – diverso da quello che vive da mesi il governo stesso – oltre la quale non si prevede alcun inserimento.
Da qui la riduzione di consiglieri e assessori, da qui anche inevitabili proteste. In Italia, in fondo, è sempre così. Si invoca la razionalizzazione, si condannano gli sprechi. Ma se questa politica tocca il proprio orticello allora non va più bene.
Come dire: si va in piazza ad applaudire Grillo, e il giorno dopo si cerca l’ennesima raccomandazione per trovare un “buco” al Ministero o in Regione (o in Comune, che fa sempre brodo).
Per quanto riguarda i nostri lidi, non ci saranno sostanziali variazioni rispetto a quanto non sia stato già deciso da tempo dalla Regione stessa: la cura dimagrante (istituzionale) della Lorenzetti prevede la riduzione delle 9 attuali Comunità Montane, ad appena 5. Non scenderà il numero di dipendenti, ma certamente quello di presidenti e assessori. L’Alto Chiascio sarà “inglobato” con l’Alto Tevere, con un’operazione che segue di una decina d’anni quella già avvenuta a livello sanitario e che – diciamocelo francamente – ha lasciato molto a desiderare sulla sponda eugubina. I Comuni attualmente presenti resteranno tutti (rischia solo Valfabbrica) mentre in Alto Tevere se ne andrebbero C.Castello e Umbertide.
Vedremo come andrà a finire, anche perché spesso le grandi riforme fanno rumore negli annunci, ma vengono edulcorate col passare dei giorni (vedi liberalizzazioni Bersani).
Riduzioni ci saranno comunque anche nel numero di assessori e consiglieri comunali. Non è una notizia tragica.
Un’ultima considerazione: speriamo che, sia a livello nazionale che in quello locale, i “tagli” alla spesa pubblica non si limitino a questo. E’ vero, ci sono troppi parlamentari (e portaborse), troppi consiglieri regionali, provinciali (sempre che le Province restino) e comunali, troppi consiglieri di Cda nelle municipalizzate, troppi benefit e prebende.
Ma i veri sprechi stanno nella precarietà di un servizio pubblico che resta decisamente al di sotto del livello qualitativo giustificabile con le tasse e le imposte che si pagano per lo stesso. Dagli assenteismi, ai premi produttività elargiti a pioggia, dalla burocrazia snervante, all’assenza quasi totale di meritocrazia. Sono questi i veri “soldi buttati” dalla pubblica amministrazione.

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lunedì 1 ottobre 2007

Cesira Carocci, una colf ante litteram

CESIRA CAROCCI, “SUOR SALUTEVOLE”: UNA COLF ANTE LITTERAM PER BENITO MUSSOLINI – ottobre 2007

“Un simbolo di fedeltà, una donna devota, non in prima fila ma proprio per questo di grande spessore in quanto capace di ritagliarsi un ruolo di riferimento nei confronti del Duce”. Sono molteplici le definizioni di Cesira Carocci, governante di Mussolini per 12 anni (dal 1923 al ’34) eugubina e oggi protagonista del libro di Gianni Scipione Rossi “Cesira e Benito” – edito da Rubbettino – presentato ieri a Gubbio, al Centro Servizi S.Spirito su iniziativa di Photolibri. Presenti, oltre a Rossi, già autore di numerose pubblicazioni di ricerca storica sul periodo del fascismo (ultima delle quali sul diario di Serafino Mazzolini, ministro degli esteri a Salò e di origini eugubine) il prof.Giovanni Belardelli, dell’Università di Perugia e il giornalista Francobaldo Chiocci (autore della biografia di donna Rachele), coordinati da Italo Cicci, ex parlamentarista Rai.
Il libro di Rossi è dedicato ad una figura non politica e nemmeno funzionale al partito e all’ideologia del Ventennio, tanto da far dire allo stesso autore: “Non credo che la Carocci sia stata fascista, ma di sicuro era mussoliniana. Nel senso di una vocazione a seguire il leader che prescindeva dalla situazione politica del momento. Come del resto avvenne anche per tanti italiani”. Quella di Cecilia Carocci è una storia minore, di un personaggio tutto d’un pezzo (ribattezzata “Suor Salutevole” da D’Annunzio, per la cura amorevole con cui alleviava le patologie del Duce) che però è lontana anni luce da altri “cortigiani” di Mussolini e ancor di più dai tanti “portaborse” di oggi, pronti a rivelare o vendere a suon di euro insignificanti curiosità di bottega legate al personaggio di turno. “E’ morta in povertà a Gubbio, rifiutandosi sempre di rivelare o vendere la sua memoria – ricorda Rossi – ma se dopo 12 anni dal suo licenziamento (i rapporti con donna Rachele non erano idilliaci) ancora Mussolini le scriveva e le inviava denaro, pur essendo nel ’44 agli sgoccioli, qualcosa di importante questa donna rappresentava per il Duce”.
Quelli che oggi chiameremmo gossippari, le attribuiscono da sempre anche una relazione andata oltre la semplice platonica venerazione per Mussolini. Ipotesi non esclusa da Rossi, ma da Chiocci per il quale anzi “Cesira è forse l’unica donna ad aver rifatto il letto del Duce senza essercisi mai infilata dentro”. Il valore di questa figura femminile, secondo il prof. Belardelli, è tale proprio perché “prescinde dal fascismo, ma appartiene a quel mondo sconfinato di persone anonime, che svolgono lavori umili, ma la cui esperienza ci permette di conoscere meglio il mondo di allora, l’atmosfera di quegli anni”. Anche Belardelli sottolinea l’indole parca della Carocci, “sottrattasi sempre negli anni ’50 all’avidità dei rotocalchi che cercavano rivelazioni o testimonianze dirette sul Duce”. Nella sua conclusione Gianni Scipione Rossi ha spiegato anche il titolo “Cesira e Benito” (e non viceversa) in quanto “per una volta è il personaggio apparentemente minore a mettere in secondo piano la figura di più alta valenza storica”. Ma Rossi ha anche evidenziato, su sollecitazione di Chiocci, come dal libro emerga positivamente anche la figura dell’allora podestà Lamberto Marchetti che “per vent’anni si è speso per Gubbio, adoperandosi per molteplici progetti e chiedendo ausilio a deputati, ministri e anche alla Carocci, cui forse si deve, parimenti al podestà, il finanziamento di 1,2 milioni di lire di allora, per la costruzione dell’attuale edificio scolastico di via Perugina. E’ curioso – ha commentato - come un regime teutonico come quello di allora potesse elargire fondi e risorse anche sulla spinta di una governante. Era una donna che ha avuto un ruolo importante e meritava di essere ricordata”.

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Libro e dvd su Campanari

UN LIBRO E DVD SUI CAMPANARI DI GUBBIO
Da Il Sole 24 ore – Centro nord – ottobre 2007

Per alcuni sono temerari acrobati, per altri sapienti musicisti. Ma c’è anche chi, con aulica definizione, li considera “autentici interpreti” della tradizione eugubina. La Compagnia dei Campanari di Gubbio può considerarsi a pieno titolo una delle istituzioni della secolare città umbra: a loro il compito di muovere e dare vita, con la sola forza delle braccia e delle gambe, all’enorme Campanone – uno dei rari esemplari rimasti in Italia ad essere azionato manualmente - che dal 1380 scandisce, dalla torretta del trecentesco Palazzo dei Consoli, le ricorrenze civili e religiose.
Oggi un volume artistico e un pregevole dvd raccontano l’arte dei Campanari eugubini: “I Maestri del Silenzio” è il titolo della produzione, presentata nella saletta dei Campanari (per il 234mo anniversario dalla fusione dell’attuale campana), un’intima taverna a pochi passi dalla torretta che sovrasta a 80 metri da terra una delle più suggestive piazze pensili del mondo, Piazza Grande.
Il volume – edito da L’Arte Grafica – raccoglie immagini d’epoca, un’iconografia di diverse opere che riguardano il Campanone, poesie, frasi, versi, mescolati a suggestive foto realizzate da Paolo Tosti, abile a cogliere attimi fuggenti, volti, espressioni che imprimono le emozioni della “sonata”.
Appassionante e coinvolgente il video, per la regia e i testi di Giuliano Traversini e le immagini di Giampaolo Pauselli. Un ideale viaggio nelle sensazioni, che parte da Gubbio e sale – anche visivamente – come in una liturgia, fino in cima alla torretta del Palazzo dei Consoli, dando spazio preciso allo sforzo silente con il quale i Campanari “alzano” il Campanone, con il movimento delle proprie gambe, fino a farlo suonare, attraverso il potente “batoccolo” (che da solo ha il peso di 1 quintale, sui 21 complessivi). In appena 18 minuti si narra un “rito” che per la comunità Eugubina ha il sapore di un intimo ritrovarsi e riconoscersi, di un comune sentire, irrinunciabile. E chi eugubino non è, avverte in questo gesto dapprima l’esteriore spettacolarità ma al tempo stesso la profondità e l’attaccamento alle tradizione che in essa si riassume.
Straordinari alcuni scorci visivi realizzati attraverso sistemi di ripresa di alta qualità. Con immagini che raccontano l’atmosfera della sonata, dall’alba, come al tramonto, di notte come con qualsiasi condizione atmosferica.
Oggi la Compagnia dei Campanari di Gubbio vede 12 componenti effettivi. Custodi di una tradizione secolare che la pubblicazione ed il video in dvd – finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia – contribuiscono ad immortalare nelle sue più profonde e impalpabili emozioni.

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giovedì 6 settembre 2007

ANGELANTONI group: 75 anni, ed ora la sfida dell’energia solare

“Il Sole 24 Ore – Centro Nord” – 6.9.2007

Dai frigoriferi ai simulatori spaziali. Ed ora la nuova sfida delle energie rinnovabili. Angelantoni industrie si appresta a brindare al traguardo dei 75 anni di attività, ma lo sguardo è rivolto al futuro. Il gruppo guidato da Gianluigi Angelantoni, con sede a Massa Martana, paese di poco meno di 4.000 abitanti a due passi da Todi, è ormai entrato nell’elite dell’imprenditoria regionale, e non solo perché il patron è fresco di nomina alla vice presidenza di Confindustria Umbria. La storia della Angelantoni è quella di una piccola impresa, capace di costruire un cammino di crescita su intuizioni, caparbietà e ricerca continua di innovazione. Era il 1932 quando dalle ceneri della grande crisi nacque la “Frigoriferi Angelantoni”. A fondarla Giuseppe Angelantoni, umbro di nascita trapiantato a Milano e reduce da un’importante esperienza lavorativa nel settore. Già nel 1952 viene alla luce la prima “camera climatica”, 9 anni dopo la prima apparecchiatura in Europa in grado di conservare materiali a –104 gradi con sistemi meccanici senza ausilio di gas.
La tecnologia, dunque, è nel dna della Angelantoni. Oggi il gruppo di Massa Martana è costituito da sei società (tra cui Bia in Francia, Tira in Germania, Amec in Cina e Aki in India) il cui core business è la costruzione di apparecchiature di collaudo con applicazioni nel settore automobilistico, aeronautico e spaziale. Per un 30% invece la società copre il segmento della produzione di strumenti biomedicali. Un giro d’affari che solo per il 25% gravita sul mercato italiano e a fine 2007 è stimato intorno ai 150 milioni di euro. “Stiamo definendo entro l’anno altre due importanti acquisizioni – confida il presidente. La nuova sfida si chiama energie rinnovabili: “Diventeremo produttori di tubi ricevitori del progetto Archimede” annuncia con un pizzico di orgoglio, riferendosi al prestigioso progetto firmato Carlo Rubbia e targato Enea. La Angelantoni ha infatti definito un accordo con Enel per la fornitura di 1.500 tubi che equipaggeranno la centrale solare di Priolo (Siracusa). Si tratta di condotte sofisticate capaci di raccogliere energia solare riflessa da specchi e integrarla con un fluido (sali fusi) che per effetto di una pellicola depositata nel tubo trasforma l’energia luminosa in energia termica (il liquido si scalda fino a 550 gradi): il contatto con l’acqua muove turbine che generano energia elettrica.
Ma la nuova sfida tecnologica punta anche sul fotovoltaico avanzato: “Abbiamo brevettato un sistema (studiato da due esperti umbri, ing. Zenobi e prof. Battiston) per concentrare la radiazione solare e ridurre le quantità di silicio utilizzata nei pannelli fotovoltaici tradizionali. Riusciamo a produrre tre volte la quantità di energia, rispetto ad un pannello solare comune, con un quarto di superficie utilizzata”.
A fine settembre nascerà una nuova società, Archimede Solar Energy, con la Angelantoni azionista di riferimento ma con la partecipazione anche di un fondo di private equity del gruppo Mps, con cui per altro Angelantoni ha un rapporto ormai consolidato: entro il 2009 infatti il gruppo punta al collocamento in Borsa (con il supporto di Mps Venture). “Sarà il nostro ulteriore salto di qualità – pronostica Gianluigi Angelantoni, che intanto si prepara a festeggiare nel migliore dei modi il traguardo dei 75 anni di attività dell’azienda di famiglia, confermando di voler restare legato alle proprie radici: “Siamo umbri e resteremo in questa nostra terra – conclude, escludendo qualsiasi ipotesi di delocalizzazione produttiva – con quella scelta lungimirante che fu di nostro padre tanti anni fa”.

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lunedì 20 agosto 2007

A tu per tu con Abdel Kader: Imam di Perugia

A TU PER TU CON ABDEL KADER: IMAM di PERUGIA x “Oggi” – 20 agosto 2007

“L’imam è un uomo di principi. Non odia. E soprattutto non pensa a danneggiare il paese che lo ospita”. Ha le idee molto chiare Abdel Qader, 53 anni, “storico” imam di Perugia. Da 12 anni guida la comunità islamica del capoluogo umbro, ha fondato la prima moschea nella centralissima via dei Priori e il più grande centro culturale islamico umbro, in periferia (via Settevalli). Proprio qui lo incontriamo, poco dopo la preghiera del venerdì. Circa 200 fedeli hanno da poco lasciato gli spazi del centro, un locale con quattro ambienti molto spaziosi. Dall’esterno sembrerebbe di entrare in una palestra. Ma gli esercizi in questo caso sono soprattutto spirituali. Anche se il clima di questi tempi è a dir poco pesante. L’arresto di Mostapha El Korchi, imam di Ponte Felcino, ha scosso l’ambiente. Ne è testimone lo stesso Qader, che da anni lavora per instaurare un dialogo interreligioso proficuo: dagli incontri con i francescani di Assisi (l’ultimo l’ottobre scorso) a quelli con l’arcivescovo di Perugia, mons. Chiaretti (con cui parlò in Cattedrale nel ’98). “Sono qui dal ‘72, arrivai come studente, come tanti altri. Avevamo solo l’obiettivo di una laurea”. Oggi Qader è un medico stimato e apprezzato. Ed è molto più che un semplice portavoce dei musulmani in Umbria: “La vicenda di Ponte Felcino ci mette in grande imbarazzo – ammette dalla sua scrivania, mentre sfoglia un periodico cattolico regionale (“La Voce” diretta da don Elio Bromuri, altro “interlocutore privilegiato” dell’imam) - Non ci aspettavamo una cosa del genere. Non voglio entrare nel merito dell’indagine perché è ancora in corso. Dico però che sono vicende che rendono più difficile la convivenza tra le nostre comunità”.

Abdel Qader è considerato unanimemente un moderato. Non a caso, è stato bersaglio di minacce da parte degli esponenti più radicali della comunità islamica (con scritte sui muri della moschea perugina) e sembra che questo episodio sia riconducibile proprio alla “diaspora” con il gruppo oltranzista guidato da El Korchi. “Con lui ho parlato spesso – ci confida - in passato frequentava il nostro centro culturale, anche se in modo superficiale, poi ha aperto un proprio centro a Ponte Felcino. E’ un personaggio particolare, non condivideva il nostro modo di fare e ha preferito prendere una propria strada”.

Che cosa si sentirebbe di dirgli oggi?
“Di essere interprete di un islam moderato, equilibrato, rispettoso delle differenze altrui. Ma questo gliel’ho già detto da tempo, a lui e ai suoi amici”, replica secco.

“Il problema vero è un altro – aggiunge - non ci si può autoproclamare imam, così come non si può chiamare moschea ogni luogo di ritrovo di musulmani. Come la moschea deve avere caratteristiche architettoniche particolari (minareto), così l’imam deve avere una preparazione culturale, deve conoscere bene il mondo in cui vive ed essere scelto dalla comunità: per guidare la preghiera basta teoricamente conoscere un solo versetto del Corano, ma per guidare una comunità islamica in Italia è necessario avere un bagaglio culturale molto più ampio. Conoscere tradizioni e religioni, norme e leggi del luogo in cui si vive. Spesso c’è approssimazione: molti conoscono qualcosa del Corano ma non il quadro generale, e questa lacuna è dannosa per tutti noi”.

In giro si respira paura. Parecchi vorrebbero veder chiuse le moschee: “Non avrebbe senso. Gli islamici veri cercano pace, vogliono integrarsi per il bene di questa comunità. Non bisogna cadere nella trappola di generalizzare o peggio ancora strumentalizzare. La strada per uscirne resta il dialogo interreligioso”.

E se l’Umbria fosse presa di mira proprio perché è sempre stata “terra di dialogo”?
“Lo escludo. La nostra gente ama l’Umbria, perché questa terra ci ha accolto tanti anni fa. Dobbiamo continuare a lanciare messaggi ottimisti: spero ad esempio che promuoveremo qualche iniziativa comune con gli amici francescani, magari fin dal prossimo 4 ottobre ad Assisi. Ormai anche per noi è una data ricca di significati: è una data che vuol dire dialogo”.

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lunedì 30 luglio 2007

Servizio intervista padre Vincenzo Coli

Servizio intervista padre Vincenzo Coli – Custode della Basilica di S.Francesco di Assisi –

“Cosa direi oggi all’imam di Ponte Felcino? Pensa a Dio come misericordioso. Misericordia vuol dire chinarsi sulle miserie col cuore, con la fede. Allah è misericordioso, la misericordia porta la vita, non la morte”.
E’ sereno ma fermo padre Vincenzo Coli, Custode della Basilica di S.Francesco. Sereno e fermo, nella voce e nello sguardo. Un po’ come il colpo d’occhio che Assisi regala nell’ultima domenica di luglio. Una tranquillità serafica, immobile, rotta dal via vai incessante di turisti e fedeli intorno alla Basilica maggiore e lungo le viuzze del centro storico.
Sono trascorsi dieci anni dal sisma che ferì gli splendidi affreschi di Giotto, di lì a pochi metri, e costò migliaia di senza tetto, a pochi chilometri. Ora è un’altra scossa a turbare la quiete di queste colline.
L’arresto dell’imam (e suoi due collaboratori) di una piccola moschea della periferia perugina, Ponte Felcino. Un borgo diventato celebre per quanto ritrovato in un locale, adibito a luogo di preghiera per la nutrita comunità islamica, apparentemente innocuo, ricavato in un vicolo anonimo, in mezzo a un ambulatorio Asl e un’associazione “Amici del garofano“. Quella moschea celava in realtà una scuola di terrorismo, vi si nascondevano sostanze tossiche utili per realizzare ordigni, mappe di città italiane, piantine di acquedotti, sim card e numeri telefonici sospetti. Dalle intercettazioni è emersa una realtà inquietante, dove i bambini sarebbero stati educati a picchiare i coetanei italiani. E dove da un dialogo sarebbe spuntata perfino la frase “Osama Bin Laden è morto”.
Tanto è bastato a far crollare in un paio di giorni l’immagine di decenni di convivenza e integrazione della comunità islamica (circa 25.000 persone) nella piccola regione del Poverello.
Colpi pesanti per l’Umbria, storicamente riconosciuta per la capacità di accogliere, di aprire frontiere, di mescolare culture e religioni (con la sua Università Stranieri ma anche con le prime moschee in Italia). Un sondaggio di queste ore parla di un 60% di umbri favorevoli alla chiusura delle moschee - sono 13 i luoghi di culto sparsi nel territorio regionale. La paura si alterna al disorientamento.
Che sensazione ha provato il rettore francescano alla notizia su Ponte Felcino?
“Sconcerto e incredulità – ci confida – Mi ha fatto molto male sapere che nelle nostre città si svolgeva un’attività in totale contrasto con lo spirito di questa terra. Mi sono detto: ma come è possibile? Proprio qui! A pochi chilometri da Assisi. L’Umbria è la terra del dialogo, con i suoi Santi, Francesco e Benedetto, che hanno costruito ponti e non hanno alzato muri. Non è possibile che una comunità accolta con rispetto possa dare questi frutti. Ma credo che gli imput di quanto accaduto vengano da lontano”.
Sembra paradossale, in effetti, che quello «spirito di Assisi» - definizione coniata nell’86 quando Papa Giovanni Paolo II organizzò qui il primo grande momento di dialogo interreligioso – appaia oggi così lontano. E pensare che nel 2004 proprio in Basilica vi fu l’incontro tra l’imam di Perugia (Abdel Qader, definito “troppo moderato” dalle frange più estreme della comunità islamica, tanto da subire anche minacce) e l’attuale Custode del Sacro Convento, con la riproposizione del dono del corno del sultano Al Malik (che incontrò S.Francesco nel 1219 in Egitto).
“Sono stati momenti e gesti simbolici molto apprezzati dalle rispettive comunità – ricorda Coli – importanti per un dialogo che richiede ancora molto tempo ma che deve avvenire sempre nel rispetto reciproco. Dobbiamo essere capaci di dialogo, ma con chiarezza, lealtà e prudenza. Perché, dice la Bibbia, “l’uomo è un baratro e il suo cuore è un abisso”, dunque…”.
Pensando al caso di Ponte Felcino, come vede ora il rapporto tra comunità tanto vicine ma ancora tanto diverse?
“Penso che i tanti immigrati che vengono catapultati nella nostra cultura, nelle nostre città, dovrebbero essere preparati, accompagnati a conoscere questa nostra realtà, pur mantenendo la propria fede, le proprie tradizioni. E senza pensare che una minoranza possa imporre le proprie”.
E se tutto questo fosse avvenuto qui proprio per colpire un terreno così fertile per l’integrazione?
“Non credo che Assisi possa essere nel mirino di nessuno, tanto è universale il legame con questa città. Credo però che quanto è avvenuto in Umbria in questi anni, quello che rappresenta Assisi nel mondo in fatto di dialogo e integrazione di culture e religioni, possa dare fastidio a chi vorrebbe il contrario. Chi al dialogo vorrebbe sostituire il muro. Quando l’uomo fa fuori Dio, il suo cielo si popola di idoli: e l’uomo non è più libero di prima ma anzi diventa schiavo perché li utilizza come un surrogato che può essere manipolato. Lo stesso Corano, che Papa Wojtyla riconobbe come fonte di grande spiritualità, viene spesso interpretato in modo distorto. Ma non dobbiamo confondere il comportamento sbagliato di poche persone con il comandamento dei principi”.
Ma allora, prendendo spunto dalla celebre parabola di S.Francesco che ammansisce il lupo di Gubbio: chi è oggi il lupo?
“Sono quelle persone che accolgono una visione violenta della vita. Il lupo può essere anche dentro di noi, se non sapremo stemperare l’aggressività distruttiva che ci portiamo dentro e non sapremo riconoscere la gioia e l’arricchimento che ci proviene dall’amore per il prossimo”.
E sulla richiesta, sempre più diffusa, di chiudere le moschee?
“E’ vero, c’è grande sconcerto, lo avverto anche tra i fedeli e le persone che frequentano la Basilica in questi giorni. Non si sa più come comportarsi. I musulmani devono sapere che vivono in una realtà nella quale sono accolti e rispettati ma devono anche saper rispettare e accogliere, fondamentale è il concetto di reciprocità. Per molti di loro tutti gli occidentali sono infedeli. Non sanno che il concetto primo della diversità lo ha dato Gesù quando ha detto “Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. Come i nostri emigrati italiani si costruirono cappelle cercando lentamente di fondersi con le comunità locali, anche non cattoliche, così bisogna rispettare i luoghi di culto altrui. Non è un problema di apertura o chiusura delle moschee. L’importante è che siano solo luoghi di preghiera e non di violenza. Ricordo che ad Istambul, dove andai spesso tra il ’90 e il 2000, la nostra comunità francescana veniva sostenuta con le offerte dei musulmani e ho visto cristiani non cattolici e musulmani in chiesa”.
Da 4 anni padre Vincenzo Coli è il Custode del Sacro Convento. In passato ha vissuto esperienze di comunità anche in terra islamica. E’ cambiato il modo di vedere l’islam a partire dal 2001?
“Sicuramente dall’attentato di New York siamo stati costretti a prendere coscienza di una realtà diversa, di una mania, una febbre dilagante. E’ stato un terremoto per le nostre coscienze. Ma il dialogo e il rispetto reciproco restano l’unico modo per uscirne”.

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martedì 20 febbraio 2007

Don Matteo e Gubbio: simbiosi mediatica e marketing territoriale

“In pochi altri casi, la scenografia e l’ambientazione di una città hanno inciso così tanto nell’identità e nel successo di una produzione cinematografica”.

A parlare è Andrea Jacchia, manager della casa di produzione Lux Vide, dopo la prima edizione di “Don Matteo”, la popolare fiction Rai girata in una delle più suggestive città medioevali dell’Umbria.

Da “Umbriafiction” a Terence Hill

Gubbio e “Don Matteo”, Gubbio e la fiction. Non proprio degli sconosciuti, se è vero che per tre anni (dal 1991 al 1993) la Rai presieduta da Enrico Manca sceglie proprio questo angolo del “cuore verde d’Italia” per organizzare “Umbriafiction”, il primo festival dedicato alle produzioni per il piccolo schermo (oggi diventato Premio S.Vincent, con la consegna delle “Telegrolle”): una felice passerella di volti noti e meno noti del parterre internazionale, che proietta la piccola cittadina umbra nei circuiti mediatici di tutto il mondo, trasformandola per una settimana in una sorta di Hollywood in miniatura.
L’incantesimo dura poco, il “destriero” di via Mazzini – con il suo establishment - viene travolto da “Tangentopoli”, non meno pesantemente dei sui mentori politici.
E così, suo malgrado, Gubbio vede sfumare una vetrina fino a qualche anno prima insperata.
Il digiuno si protrae per pochi anni. E’ il 1998 quando una nuova fiction fa capolino. Stavolta non si tratta di una passerella luci e paillettes.
Il protagonista è un inedito Terence Hill che sveste i panni western, stereotipo del cinema “sorrisi e cazzotti” anni ’70, e indossa una più quieta tunica nera, quella di un instancabile prete-detective di periferia.
All’anagrafe della fiction è Don Matteo Bondini, un ex missionario dal talento un po' speciale. Il suo straordinario intuito, unito alla profonda conoscenza dell'animo umano, lo guida con successo nei più tortuosi meandri del delitto. Al suo fianco, nella scena e nelle indagini, una simpatica e assortita coppia di carabinieri, il maresciallo Cecchini (il già noto Nino Frassica) e il Capitano Anceschi (Flavio Insinna, che si consacra al grande pubblico, dopo apprezzabili ruoli in altre fiction).
Strano a dirsi, ma per 8 anni saranno loro i più prestigiosi ed efficaci testimonial dell’immagine della cittadina umbra: un rapporto di simbiosi che si traduce non solo in un familiare ambientamento della troupe con la comunità locale, ma in un fenomeno mediatico senza precedenti, con un ritorno di popolarità e di flussi turistici per Gubbio e il suo territorio che i numeri sintetizzano da soli: tra il 1998 e il 2005 le presenze turistiche crescono in media di oltre il 60% (da 130.000 a 215.000, con un picco di 250.000 nel 2002): difficile dire sia tutto merito di “Don Matteo”, impossibile pensare che non ci sia comunque il suo “zampino”.