Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 30 dicembre 2010

Il Natale di oggi? Nostalgia dell'atmosfera di una volta...

Sarà che gli anni passano. E, alla soglia degli anta, spesso finisci per misurarli con quei due – tre eventi che ti cambiano la vita. Perdendo di fatto cognizione dello sfogliare del calendario. E con esso, della “conta dei Natali”.

Sarà anche che il Natale per eccellenza è quello vissuto da bambino, tra i riflessi dell’Albero, gli sguardi incantati di statuine intorno al presepe, a letto presto la sera del 24, in attesa dei pacchi e pacchetti infiocchettati, e di parenti sparsi intorno ad un tavolo a spassarsela a “sette e mezzo” o “sorchietta” e alla fine una salutare tombola. E un’atmosfera di magia, che ricorda un po’ la famiglia e i sorrisi da Mulino Bianco (o, visto il periodo, da pandoro Bauli) ma con un pizzico di autenticità in più.

Sarà tutto questo che, ogni anno di più, l’arrivo del Natale mi porta a ripensare alle feste di una volta. E al tempo stesso, a rivivere quelle emozioni dallo sguardo, dalla frenesia, dall’impazienza che accompagna lo scartare dei regali da parte dei miei figli.
“Quando i bambini fanno ohhh!” cantava Povia – nell’unica canzone che avrebbe potuto tranquillamente vincere Sanremo ed essere al contempo la sigla dello Zecchino d’oro.

La letterina (quest’anno faticosamente scritta per la prima volta di suo pugno, da Giovanni), lo stupore denso di innocenza, l’istintiva aggressione in ordine sparso dei doni disposti meticolosamente ai piedi dell’Albero. E poi la congestione di carte arrotolate che si ammucchiano – fino a pochi istanti prima splendide confezioni cariche di suspence, poi, solo materiale buono per la differenziata del martedì sera. E una stanza dei giochi sempre più satura.
Chissà se Leopardi, scrivendo il “Sabato del villaggio”, non abbia pensato anche al Natale. Al suo di Natale.
Il dubbio non mi macera. Piuttosto è l’album dei ricordi che scorre come una pellicola cinematografica di quelle di una volta, con i bordi a quadretti e le immagini un filo affumicate, qualche “ruga” ballonzolante sullo schermo, che scandisce il susseguirsi di flash: ognuno prezioso, ognuno custode di emozioni, ognuno ricco di significati.

Il mio Natale da bambino era in realtà la festa per i miei nonni. Quelli paterni, a casa. E quelli materni nella vicina San Martino. Avevano un gran da fare con pranzi e cene cariche di nuore, cognati e nipoti, primi, secondi, parmigiane (di gobbi a pranzo, di carne a cena). Un caotico avvicendarsi di piatti e stoviglie che avrebbe fiaccato anche uno scerpa. Ma avevo l’impressione che in realtà fosse il giorno per cui attendevano un anno intero.
In fondo lo era anche per noi. La loro gioia era anche la nostra. Il ritrovarsi intorno ad un tavolo, davanti ai classici cappelletti – preparati giorni prima dalle “donne” di casa, la Graziella, la Mita, figure quasi mitologiche per noi bambini, alle quali facevamo ricondurre sorrisi e sgridate, sempre bonarie, dal senso materno.
E poi a tavola: ascoltare i discorsi dei “grandi”, con la tv rigorosamente spenta, navigare tra la politica (ricordo mio nonno che ce l’aveva sempre con i comunisti), qualche pettegolezzo e sicuramente un po’ di sport, era un dolce spendere quel giorno di comunità tutta familiare. Che si concludeva con quello che oggi – nei menù dei ristoranti dei vip – definirebbero “carosello di dolci”, tutto il bendiDio che ogni bimbo di neanche 10 anni potesse immaginare.
Il pomeriggio, o la sera, si stiravano poi a maneggiare quelle carte che erano in realtà il passatempo immancabile di ogni Natale: fin da piccolo quella scatola rossa con la scritta “Modiano da Piacenza” aveva un che di familiare. Piacenza non l’ho mai vista ma è come se ci fossi finito ogni anno, e quel Modiano – un nome da celebrità anonima che sarebbe potuto suonare indifferentemente come uno studio notarile o un arbitro di calcio – aveva le fattezze e la familiarità di un altro invitato alla nostra tavola.
Mancava solo di apparecchiargli.

Cento lire quando avevi un mezzo punto o una "barella" (li chiamava così mio padre i quattro, quelle carte vie di mezzo con cui non sapevi mai se stare o andare a giù), centocinquanta per una figura (poteva scapparci un bel punto), mentre quando azzardavo ad estrarre addirittura 200 lire dal mio salvadanaio (un brucomela che usciva fuori, premendo un bottone e si mangiava la moneta, per poi restituirla dal "di dietro" - chissà che significato volesse dare a questo iter l'ideatore del giocattolo...), voleva dire che avevo un 6 o addirittura una "matta". Con il 7 potevo addirittura sbilanciarmi fino a 1.000 lire, quelle banconote con lo sguardo saggio e la barba rassicurante di Giuseppe Verdi poi sostituite negli anni dal sorriso materno di Maria Montessori.

Ecco Natale mi fa pensare anche a tutto questo. I dolci, i panettoni, i torroni, erano di contorno. Come le trasmissioni vintage (già allora) che scorrevano in tv (ancora nei primi anni Ottanta non solo non c'era internet e telefonini, ma neppure videoregistratori per guardarsi qualche cartoon o film natalizio).
Ma tutto quello che accadeva e che arrivava (soprattutto impacchettato) non avrebbe avuto comunque lo stesso sapore, senza questo calore: fatto di un tavolo intorno al quale sedersi, di pomeriggi magari trascinati tra le chiacchiere su una poltrona e qualche scatola di gioco da tavolo (ricordo l'anno del "Risiko" assolutamente "fotonico"). Ma sempre e comunque con quell'atmosfera inconfondibile.
Da Natale in famiglia.
Un giorno mi piacerebbe che anche i miei figli potessero ricordare qualcosa di simile.
Di caldo, di affettuoso, di intenso. E magari, qualche anno dopo, di così nostalgico...

martedì 28 dicembre 2010

Cosa ci resta di questo 2010 in rossoblù? Molto, tanto, tutto...

Cosa ci resta di questo 2010? Molto, tanto, tutto - per dirla con l'avv. Gini.
Per un tifoso del Gubbio non sarà semplicemente l’anno del Centenario. Più che altro l’anno trionfale per eccellenza di un intero centenario.
Vincere un campionato, ai play off e in modo trascinante; concludere l’anno solare in testa alla categoria superiore. Roba da pochi. Roba da matti, visto che si parla di Gubbio. Eppure è tutto vero.
E anche le cifre – che di per sé non ci entusiasmano ma che nel calcio qualcosa contano - ci sintetizzano la grandezza di quanto la squadra rossoblù ha saputo costruire in questo 2010: 65 punti in 34 partite nell’anno solare, quasi 2 punti a partita, con 20 vittorie e appena 5 pareggi.

Più che i numeri – comunque impressionanti – sono le emozioni, quelle che restano nella memoria. Scandite da episodi salienti, da vittorie decisive ma anche da sconfitte poi rivelatesi salutari. Da gesti di straordinario talento fino a follie incredibili. E su tutto la gioia, l’entusiasmo, la festa di una tifoseria tornata a livelli di decibel che ricordavamo solo una ventina d’anni fa.

E pensare che tutto era iniziato con un infortunio: quello su cui era incappato Eugenio Lamanna in quel di Bellaria. Prima partita del 2010. Un presagio, per qualcuno: sarebbe stato un altro anno di sofferenza. E invece resterà l’unica incertezza del numero 1 rossoblù, in un percorso a dir poco esaltante. Proprio come la squadra.
I flash che ci vengono in mente passano dalla goleada di Colle Val d’Elsa, alle sconfitte amare di Nocera Inferiore, a tempo scaduto, o il pesante 2-0 con la Sangiustese, l’unica volta in cui abbiamo sentito Torrente parlare di “partita sbagliata”. Quindi la svolta a Fano: mai una sconfitta fu tanto illuminante per caricare la squadra e capire che al Gubbio non mancava nulla per puntare in alto. Lapidarie le parole a fine gara di capitan Sandreani: “Forse giochiamo troppo bene per questa categoria. Ma se rigiocheremo con il Fano non finirà così”.

Da lì, da quella domenica stregata, il crescendo di un mese di aprile da metamorforsi, con il successo fondamentale a Portomaggiore, primo di un filotto poi divenuto celebre con 7 vittorie tra campionato e play off che avrebbero segnato il capitolo 1, quello del trionfo, datato 2010.
Raccontare frammenti e sensazioni dei play off è quasi pleonastico: le immagini, i suoni, i cori, alternati ai boati, parlano meglio di ogni perifrasi. Fino all’apoteosi di San Marino, un campo dannato per lunghi anni, ma che dal 13 giugno i tifosi rossoblù hanno segnato a fuoco sulla loro strada. Un tatuaggio, l’Olimpico di Serravalle. Come il Curi dell’87.

E siamo al secondo capitolo: si riparte dal Teatro Romano – come l’anno prima – ma con tanti volti nuovi, protagonisti semisconosciuti in cerca di gloria. C’è però un filo conduttore, chiamato triumvirato: Simoni-Giammarioli-Torrente. Loro gli artefici di un secondo miracolo, costruito su alcuni pilastri della vecchia guardia (capitan Sandreani su tutti, accanto a lui Boisfer, Briganti, Farina, Lamanna, Gomez, Gaggiotti) e una nidiata di giovani speranze, molti alla prima esperienza tra i prof.

Il debutto è scioccante a Cremona ma dura lo spazio di una settimana: basta rivedere le immagini del trionfo – due giorni prima il debutto interno – con la presentazione del volume “Eravamo in 3000 a San Marino" – che è già rinascita a partire dal poker al Sud Tirol con il Barbetti che diventa domenica dopo domenica fortino inespugnabile perfino per nomi come Verona, Reggiana, Salernitana e, 4 mesi dopo, la stessa Cremonese. E da Como, prima vittoria esterna, nel blasonato "Sinigaglia", comincia anche la marcia inossidabile in campo esterno: Bassano, Lumezzane, Pagani, altre bandierine vincenti di un nuovo Risiko fatto di 7 successi consecutivi tra novembre e dicembre.

Con le tre partite finali, tutte al San Biagio, tutte da ricordare: per atmosfera, intensità, e ovviamente anche per l’epilogo.
Sofferto ma certamente entusiasmante.
Un aggettivo per questo 2010: non diciamo irripetibile, se non altro per scaramanzia.
Ma di sicuro incancellabile. Comunque vada il 2011…






Da copertina "A gioco fermo" di Fuorigioco - speciale "Un 2010 in rossoblù" - 27.12.2010
Musica di sottofondo: "Oh happy days" - tratto da "Sister act 2" - 2006

lunedì 27 dicembre 2010

La vita va vissuta: anche perché la sofferenza è un accessorio extra...

In queste giornate sostanzialmente di festa (l'avverbio è volutamente generico, in quanto perfino nei giorni di ferie la redazione ha visto, ahime e ahilei, la mia presenza...), è tempo di riflessioni. E per chi magari ha ancora più tempo di quanto non trovi io stesso per pensarci su, mi va di pubblicare questa poesia-prosaica di Carlos Drummond de Andrade, inviatami da un'amica via fb... Per capire, insieme, che in fondo con tutto il tempo che perdiamo - o se preferite, che impieghiamo in quelle frenetiche corse quotidiane che poi poco ci lasciano - in realtà finiamo per perdere tanto di quel tutto che la vita ci offrirebbe. Ricordandoci alla fine solo delle difficoltà, delle sofferenze, miste magari a qualche gratificante soddisfazione. Che da sola però non ci restituisce il tempo che sottraiamo agli affetti e agli amori più cari... Pensiamoci insieme, augurandoci un 2011 migliore anche da questo punto di vista...



Il nostro dolore non deriva dalle cose vissute,
ma dalle cose che sogniamo e che non si realizzano.
Perché soffriamo tanto per amore?
Sarebbe meglio che la gente non soffrisse,
e ringraziasse anche solo per aver conosciuto una persona tanto buona,
che generò in noi un sentimento intenso
che ci ha accompagnato per un tempo ragionevole,
un tempo felice.
Perché soffriamo ?
Per tutti i baci cancellati, per l’eternità.
Soffriamo, non perché il nostro lavoro è stressante e paga poco,
ma per tutte le ore libere
che non abbiamo avuto per andare al cinema,
per conversare con un amico,
per nuotare, per innamorarci.
Perché automaticamente dimentichiamo quello che abbiamo goduto
e cominciamo a soffrire per i nostri progetti irrealizzati,
per tutte le città che avremmo potuto conoscere a fianco del nostro amore,
per tutti i figli che avremmo avuto piacere ad avere vicino,
per tutti gli show, i libri e i silenzi che avremmo gradito condividere.
Soffriamo, non perché nostra madre è impaziente con noi,
ma per tutti i momenti in cui le avremmo potuto confidare
le nostre più profonde angosce
e fosse interessata a comprenderci.
Soffriamo, non perché la nostra squadra ha perso,
ma per l’ euforia soffocata.
Soffriamo non perché invecchiamo,
ma perché il futuro è da noi confiscato,
impedendo così che ci accadano mille avventure,
tutte quelle con le quali sogniamo e
mai tentiamo di sperimentare.
Come alleviare il dolore di ciò che non fu vissuto?
La risposta è semplice come un verso:
Avere meno illusioni e vivere di più!!!
Ogni giorno che vivo,
mi convinco sempre più
che lo spreco della vita
è nell’amore che non diamo,
nelle forze che non usiamo,
nella prudenza egoista che non rischia mai,
e che, schivando la sofferenza,
fa perdere anche la felicità.
Il dolore è inevitabile.
La sofferenza è un accessorio extra.

sabato 25 dicembre 2010

Il mio Buon Natale a tutti Voi...

E' il mio buon Natale ai frequentatori (assidui e non) di questo blog. Una via di mezzo tra un diario e una piccola modesta vetrina di riflessioni.
Senza mediazioni tra il sentire e lo scrivere (talvolta talmente tutt'uno che neppure rileggo... da qui diversi refusi che avrete via via registrato)

L'augurio che voglio lasciare è in questa poesia: me l'ha regalata una amica speciale, scritta in un libro (dono natalizio) che mi riprometto di leggere a tempo di record nei prossimi giorni. L'affianco alla foto del nostro Albero. Che penso sia tra gli oggetti più cliccati di questo periodo, se è vero che digitando su google la parola "albero di Natale", compare tra le prime 5 foto indicate. Non male...

A proposito. Un abbraccio ideale ai naviganti, senza alcun avviso particolare: se non quello di prendere queste righe (come quelle precedenti e quelle che seguiranno) un po' come sono. Pensieri liberi. Come l'animo di chi li esprime.


A chi ama dormire


Ma si sveglia sempre di buon umore,


a chi saluta ancora con un bacio,

a chi lavora molto e si diverte di più,


a chi va in fretta in auto ma non suona ai semafori,


a chi arriva in ritardo ma non cerca scuse,


a chi spegne la televisione per fare due chiacchiere,


a chi è felice il doppio quando fa a metà,


a chi si alza presto per aiutare un amico,


a chi ha l’entusiasmo di un bambino e pensieri da uomo,


a chi vede nero solo quando è buio,


a chi non aspetta Natale

per essere migliore


Buon Natale!

mercoledì 22 dicembre 2010

Il fenomeno Gubbio... visto con gli occhi degli altri: un Giovanni Ratti ("La Provincia") tutto da leggere...

"Cremo a pecorelle... Se non abbiamo finito l’anno con una figura da Mazembe, sì insomma se almeno il risultato ci risparmia la gogna, lo dobbiamo a Giorgiobianchi, unico pastorello in un presepio per il resto fatto tutto di pecorelle, candide in tutto, a partire dalle magliette con l’unica eccezione della coscienza calcistica che se qualcuno ne ha ancora un po’ scalcia come un mulo".
E' l'incipit di un commento a Gubbio-Cremonese, a firma di Giovanni Ratti, apparso sulle colonne de "La Provincia" di Cremona, nella rubrica - dal nome emblematico - "Polpacci e nuvole". Il titolo del pezzo è tutto un programma: "Le pecorelle le portiamo noi". Occhiello: "A Gubbio avevano un problema per completare il presepio: risolto grazie ad una generosa iniziativa cremonese".
Un pezzo di straordinaria leggerezza e nel contempo impietoso, per come fotografa la prestazione dei grigiorossi, la Cremonese, sul tappeto verde di Gubbio. A parte le considerazioni sul nome dello stadio (nessuno s'offenda, ma chi viene da fuori le può pensare di tutte), vanno letti e riletti (magari anche imparati a memoria) alcuni passaggi dedicati alla gara e al suo contorno. Fantastici.
E che ci aiutano da un lato a guardarci allo specchio (e a capire come gli altri ci vedono) ma anche a riderci in un po' su... In modo sano. Ci fa bene. E non solo perchè è Natale...

"A Gubbio hanno uno stadio che si chiama come un bar (Bar Betty, con sala biliardo e tivù satellite, consumazione obbligatoria), hanno gente passionale senza trascendere (qui non sono sicuro che Acori condivida) e hanno una squadra che dalla seconda giornata in avanti ha dato 19 punti di distacco ai nostri eroi, uno virgola qualcosa ogni maledetta domenica. I quali nostri eroi alla prima giornata avevano consumato la vittoria sugli allora debuttanti con l’ingordigia di chi ha il sinistro presentimento di future astinenze: certo visto da qui, mezzo campionato dopo, quel 5-1 è una barzelletta che non fa ridere. Perchè il Gubbio da squadra di cidue è diventato a marce forzate squadra di ciuno, anche se non giurerei che in primavera lo ritroveremo nell’attico della classifica: e invece questa Cremo squadra di ciuno, ma scapperebbe da dire squadra tout court, non lo è diventata e non lo diventerà (...)
Ma l’impossibilità di giocare di squadra è il vero cavallo di battaglia di questa Cremo, che non si è ritrovata nemmeno quando il Gubbio le si è sgonfiato fra le mani per onesto esaurimento: quando l’istinto di sopravvivenza le ha dettato almeno una reazione allo svantaggio, è stata tradita da Coda che ormai non trova più il tiro spensierato (la sua arma segreta) nemmeno quando gli viene riservato il prediletto finale di partita. Dei due gol mancati, il primo è stato un tiro che sarebbe stato da distanza ravvicinata anche a Subbuteo. Ma le due occasioni non contraddicono il giudizio severo sulla prestazione: sono venute nella brevissima parentesi in cui si è trovata (ed esaurita) la rabbia per arrembare (...)


Sambugaro e Tacchinardi non hanno mai trovato la posizione, non hanno mai intercettato quel sacripante di Sandreani. Il quale fra parentesi è il prototipo di giocatore che sarebbe fondamentale per un’eventuale ricostru zione grigiorossa. Brutto, cattivo, spelacchiato, praticamente indispensabile. Che sembra un randagio in campo, ma guarda un po’ è sempre nel vivo dell’azione offensiva o difensiva che sia.
Pur così disassata e disossata, la Cremo per quasi un’oretta ha negato ulteriori show personali allo speaker  del Bar Betty, il quale deve fare largo uso di gas esilarante. I grigiorossi (nell’ominosa tenuta
bianca con numeri invisibili, forse scritti in braille?) avevano iniziato in modo illusorio,
quasi prendendo gusto nel ribaltamento di ruoli fra capolista e underdog (...)
L’avvio del secondo tempo era complicato, quelli del Gubbio hanno due laterali che filano come lippe, e un rovesciamento folgorante (tackle perso dai nostri a centrocampo) ha portato al gol.
Ci ha accompagnato verso l’auto il coro irridente e un filo blasfemo ’per i miseri implora perdono’, che non sentivo più da una vita. Per evadere dall’emergenza ci vuole un’idea geniale. E che ci vuole, basta chiedere. Eccola: iscriviamoci al campionato del Congo. Visto il Mazembe, là farebbe gol perfino Colacone".

lunedì 20 dicembre 2010

Il Gubbio? Semplicemente... "Supreme"

E anche la settima meraviglia è in cassaforte. Il Gubbio batte la Cremonese, infligge un altro dispiacere all’ex Acori, vendica il 5-1 dell’andata, consolida la vetta della classifica di I Divisione. L’ultima vetrina di questo 2010 tutto da incorniciare porta la firma di Cristian Galano (nella foto la sua esultanza, tratta da http://www.gubbiofans.it/): suo il diagonale che trafigge, a mo’ di lama, la robusta resistenza del portiere padano Bianchi, uno che aveva negato a più ripresa il gol ai rossoblù nel primo tempo e avrebbe proseguito anche dopo il gol.


Ma il Gubbio di questo 2010 non poteva fermarsi. E non poteva steccare quest’ultimo appuntamento dell’anno solare anche per non deludere i tifosi e i tanti collaboratori della società (giocatori compresi, come si vede dalla foto, Gomez) che di buona lena avevano spalato nei giorni precedenti la gara il tappeto verde del San Biagio: un’ennesima dimostrazione di attaccamento e di passione, da prendere ad esempio, non solo in Umbria – dove due fiocchi di neve hanno fatto rinviare partite dal Curi in giù – ma anche in molte parti d’Italia.
I tifosi volevano si giocasse: forse anche perché il Gubbio di questi ultimi 18 mesi è una squadra che, per usare le parole di Silvano Flaborea – storico talent scout milanista – fa innamorare, dà piacere vederla in campo, su ogni campo, anche ghiacciato e un po’ sbattuto come inevitabilmente si presentava il Barbetti di ieri.

Alla fine però ad essere sbattuta è stata la Cremonese, pomposa e presuntuosa all’andata – quando il Gubbio in completo giallo sembrava un canarino in gabbia – quanto coriacea ma alla fine impotente nel match di ritorno – quando i rossoblù assomigliano più a lupi famelici che non lasciano né feriti né prigionieri sulla loro strada: dal 7 novembre, dall’inzuccata del cigno Borghese nella porta del Bassano, solo vittorie. Sette, come quel sette novembre, sette come le ultime partite della stagione scorsa condite da 3 successi in campionati e il filotto splendido nei play off. Sette è anche il numero di Cristian Galano, il cui piede sinistro, ai raggi X, assomiglierebbe molto al destro del compaesano Antonio Cassano: la testa però ci sembra diversa, e non è poco considerando che il piccolo Messi di Barivecchia ha solo 19 anni. E ieri era visionato attentamente da Angelo Peruzzi, numero 2 dell’under 21, al quale sicuramente avranno parlato anche di Lamanna – cronaca nera a parte – che da quel 7 novembre ha incassato solo un gol, a tempo scaduto da Fava.

giovedì 16 dicembre 2010

Dalla Funivia all'Albero più grande del mondo: quello spirito "creativo" unico da rispolverare...

Un dicembre con i fiocchi. Non quelli di neve – che pure hanno fatto capolino. Ma di festeggiamenti. Legati al passato ma significativi anche in chiave futura.

E’ singolare come nello spazio ridotto di pochi giorni, la comunità eugubina abbia ripercorso – con anniversari, ricorrenze e cerimonie – alcune tappe rilevanti del proprio cammino nel secolo scorso, segnate da realizzazioni a dir poco memorabili.
I 50 anni della Funivia "Colle Eletto" hanno preceduto di qualche ora l’accensione dell’Albero di Natale più grande del mondo al suo 30mo compleanno. Il tutto alla vigilia delle celebrazioni per le 100 ideali candeline del calcio eugubino.
Quale filo conduttore può unire questi eventi, tutto sommato disconnessi tra loro?
Più di uno, a ben pensare.

In primo luogo il legame della comunità con i propri simboli di riferimento: il Patrono, la Basilica di S.Ubaldo, la fede indiscussa degli eugubini per il proprio Vescovo e Protettore, sono i motivi che hanno ispirato dapprima un gruppo di intraprendenti e lungimiranti concittadini – capitanati da Zeno Cipiciani (nella foto qui a destra) e polarizzati intorno ad una fervida fucina di idee quale il “Maggio Eugubino” guidato da Mario Rosati – a realizzare un collegamento avveniristico e panoramico tra la città e il Colle Eletto.
Ma è anche lo stesso motivo per cui 20 anni dopo, un gruppo di eugubini altrettanto volenterosi, sagaci e infaticabili – ispirati da Enzo Grilli e Pietrangelo Farneti – escogitò dal nulla la realizzazione di una poderosa luminaria natalizia: con l’intento di portare lo sguardo e l’animo degli eugubini alla Basilica del Patrono anche in questo periodo.
In pochi anni la funivia come l’albero luminoso sono diventati “monumenti” dell’eugubinità – intesa come estro e capacità di tradurre in realtà anche i sogni più improbabili. Oltre a diventare vetrine di immagine in chiave turistica di sicuro effetto.
Quel legame con l’identità cittadina, in senso laico (e diremmo, decisamente più profano), ha anche animato le avventure ormai secolari della maglia rossoblù, trascinando intere generazioni a sostenere e supportare una squadra presto simbolo – anch’essa – di questa comunità. Nelle gioie (fortunatamente rispolverate da un biennio a questa parte) come nelle delusioni, presto superate da uno spirito di corpo all’insegna dell’unità (l’esempio per tutti, il connubio città-sponsor cementieri dal ’96 ad oggi). Anche sul tappeto verde – come lungo gli stradoni del monte – quello spirito di simbiosi con la città e i suoi colori, ha fatto la differenza.

Un secondo denominatore comune può apparire più banale. Ma non è così.
Il sogno. Cullare una fantasia, sulle ali di un sentimento autentico, quasi romantico, è in fondo la motivazione latente ma fortissima, che ha animato queste avventure. Una “follia” diventata realtà, grazie a quello spirito coeso e dirompente che ha poi saputo semplicemente tradurre la teoria in pratica.
E’ una Gubbio spavalda, laboriosa e disinteressata quella che ha dato vita alla funivia, all’albero e ai momenti più importanti che hanno garantito continuità al movimento calcistico rossoblù. Volti e personaggi che volevano bene a Gubbio, prima ancora che alle loro stesse idee. Che non hanno tratto benefici personali, ma anzi, quando necessario, hanno dato del loro.
Uno spirito di cui la città avrebbe bisogno a maggior ragione oggi, di fronte ad un bivio. Chiudersi definitivamente in se stessa. O recuperare un passo ed una capacità costruttiva (di idee prima che di beni materiali) irrinunciabile.

Ed ecco la lettura in chiave futura, di queste ricorrenze. Che un messaggio (e un monito) ci lasciano: da un lato, la sensibilità di cullare un sogno per questa città, che sappia prefigurare una speranza anche nel futuro. Dall’altro, la forza, l’intraprendenza e la concretezza per condurlo in porto: al di fuori degli scetticismi, dell’apatìa, del conformismo che troppo spesso hanno bloccato progetti, frenato propositi, tarpato ali.
Non certo per il bene di Gubbio…
GMA

Da "L'editoriale" di "Gubbio oggi" - dicembre 2010

mercoledì 15 dicembre 2010

B MOVIE - Gubbio-Salernitana: i flash di una battaglia da... "campioni d'inverno"

L'esperimento è piaciuto? Non so, ma a me è piaciuto farlo. E allora repetita iuvant.
Di cosa parlo? Del racconto fotografico della vittoria del Gubbio. Una favola sorprendente. Che continua. E dopo il Sorrento, un'altra campana viene "suonata" (non ce ne vogliano dalle parti del golfo, per la battuta... ma di meglio non sappiamo fare...). E' la blasonata Salernitana. Una squadra un po' nervosa e altezzosa.
Fin dalle prime battute. Con diversi nomi altisonanti. Ma quando poi scendi in campo, si sa, i nomi contano poco. O meglio, contano se riescono a confermare l'alone di gloria - vera o presunta - che li circonda.
Di questi tempi, però, tutti devono fare i conti con i "ragazzini terribili" di Torrente. Che la gloria se la stanno costruendo, domenica dopo domenica. E noi - nella fattispecie chi scrive e Marco Signoretti, con la sua macchina fotografica - proviamo a raccontarla. In modo diverso. E speriamo, piacevole...


Manca poco al fischio d'inizio di Gubbio-Salernitana: c'è chi sprizza ottimismo... 
... e chi predica saggia prudenza
Il Gubbio cerca la consacrazione. La Salernitana il riscatto.
L'arbitro, semplicemente la monetina...

Che sarà lotta dura, si capisce dall'inizio. I granata la mettono sul fisico e sull'esperienza...
 

L'area è affollata. Tutti temono Gomez o Borghese... ma spunta l'inzuccata di Briganti.
  
Spesso si rientra di fretta, per limitare i danni... stavolta è corsa di gioia!

I granata non ci stanno. E il loro capitano, e uomo di punta, azzanna l'unico pallone giocabile... incornandolo dentro...

Il rientro negli spogliatoi è infuocato... Urlano in tanti.
Stavolta è Fava che deve marcare Briganti...


La pattuglia perde il suo comandante... ma in trincea non si demorde

Un altro corner. Un altro guizzo. Un'altra corsa a centrocampo.
E il ruggito di un protagonista silenzioso... in vetrina per una giornata


Copre, difende e segna. Ma sa anche dialogare...
lo direste che sono avversari, appena usciti da un duro contrasto?


Pochi istanti all'aggancio... e sarà ancora esplosione d'incanto. Peter Pan vola a 11...


L'ebbrezza di arrampicarsi in un boato collettivo... viscerale e liberatorio.
Non ci prendono più...
 

Il dodicesimo uomo non ha un identikit... ma vibra.
Come le corde vocali di una rete su cui inerpicarsi... di gioia.

E dopo la battaglia, è una carezza che suggella l'impresa...


Non è un sogno, nè uno scherzo... E' tutto vero. Campioni d'inverno...



Sottofondo musicale al racconto fotografico:
"Innuendo" - Queen - 1991

lunedì 13 dicembre 2010

La cartolina del girone d'andata è stata spedita: firmata, la capolista

Campioni d’inverno. Non conterà nulla. Ma vuoi mettere...
Il Gubbio è davanti a tutti. In una settimana si sbarazza delle tre avversarie campane (6 gol rifilati tra Pagani e il doppio confronto al Barbetti) e la vetta è lì. Conquistata e pronta ad essere difesa con le unghie e con i denti. Quelli mostrati, senza imbarazzo e senza fronzoli, negli ultimi 180’ vissuti spasmodicamente sul tappeto verde del San Biagio contro Sorrento e Salernitana.
Due squadre diverse, la prima più tattica e tecnica, più agile nei fraseggi, decisamente più forte nel complesso, la seconda più esperta e smaliziata che non si è fatta pregare nell’impostare subito la partita in un clima da saloon, con i vecchi duelli visti sui film di Sergio Leone, dove ha ragione chi urla più forte e magari chi spara prima.

Ma anche la Salernitana – come 4 giorni prima il Sorrento – alla fine ha dovuto fare i conti con la superiorità fisica, psicologica e tecnica dei rossoblù. Che non cascano  nella trappola della provocazione, ma con calma olimpica e determinazione stoica, fanno quello che loro riesce meglio: giocano a calcio e la buttano dentro.
E quando a farlo non riescono le punte, sbuca fuori la testa o la zampata di un difensore: finora ci aveva pensato il cigno, al secolo Martino Borghese. Ieri è stata la domenica del Burri della squadra eugubina, quel Marco Briganti, tifernate di nascita, artista contemporaneo nelle chiusure difensive ed ora anche fantasioso killer in area avversaria. Prima l’insacca di testa, quando tutti si preoccupano di bloccare Borghese o Gomez. Poi l’arpiona d’esterno destro, con il povero Polito costretto alla figuraccia, goffo e maldestro nella presa a terra al di là della linea del gol.

La vittoria sui granata però nasce, ancora una volta, dentro lo spogliatoio: nella preparazione della gara, prima, nella gestione degli eventi poi. Il gol incassato a tempo scaduto, con la panchina rossoblù ancora furibonda con l’arbitro dopo che questi aveva graziato Montervino dal doppio giallo, avrebbe potuto ammazzare chiunque. Un po’ come l’espulsione di Bartolucci mercoledì scorso.
Ma il Gubbio no. E il rientro in campo anticipato della squadra è stato come voler dire alla Salernitana: noi ci siamo, e voi?

venerdì 10 dicembre 2010

I miei primi 100 anni: la gloria è nel passato, l'ebbrezza è nel presente...

Se uno sceneggiatore si fosse divertito a costruire la propria trama, difficilmente avrebbe pensato di fissare la data di celebrazione del Centenario del Gubbio, esattamente 24 ore dopo la conquista del primato di I Divisione.
Anche perchè la serata di gala svoltasi al ristorante "Villa Castelli" era in programma da tempo, mentre lo scontro diretto con il Sorrento (a fianco la foto della squadra pre-gara, di spalle) è stato recuperato solo il giorno dell'Immacolata, dopo il rinvio causa pioggia del 28 novembre.

E così la festa dei 100 anni del Gubbio ha avuto un sapore speciale: legato sia ad un passato glorioso - la serie B nel 1947, il ritorno in C2 prima nell'87 con uno spareggio davanti 20 mila spettatori, poi nel '98 con 7 giornate di anticipo - sia ad un presente ancora più fulgido, segnato da un 2010 che ha visto la vittoria dei play off con la promozione in I Divisione e ora la fresca leadership con una squadra giovanissima.
"E' un anno indimenticabile, comunque vada" - ha commentato il presidente del Gubbio, Marco Fioriti - imprenditore di 46 anni da 4 stagioni al vertice del sodalizio rossoblù. "Abbiamo trovato professionalità straordinarie nelle figure di Simoni, Giammarioli e mister Torrente, che hanno saputo esaltare una piazza che da sempre ha fame di calcio. L'equazione ha portato a risultati eccezionali in questo 2010, che continuano nonostante la squadra sia stata molto rinnovata e, per esigenze di budget, sia molto giovane".
Straordinariamente forbito quanto appassionato, l'intervento del presidente onorario sen. Luciano Fabio Stirati, decisamente una spanna sopra tutti, in ogni senso: nel complimentarsi con la squadra e in particolare con il suo portabandiera, capitan Sandreani ("giocatore esemplare per tenacia, attaccamento alla maglia, risolutezza in campo e qualità indiscussa"), il sen.Stirati ha sciorinato alcune definizioni delle sue, puntualmente sottolineate dall'applauso dei presenti: tra le chicche, "la capolista Sorrento è stata esautorata", "l'accoppiata vincente Simoni-Torrente, con la precedenza a Simoni solo per motivi eufonici" e quindi le congratulazioni al tecnico perchè "ha saputo dare alla squadra un regime torrentizio".
Entusiasta il commento di Gigi Simoni, direttore tecnico del Gubbio, che in poco più di 18 mesi, ha realizzato, con il ds eugubino Giammarioli (da pochi giorni laureatosi a Coverciano) e il tecnico Torrente, quello che alla società rossoblù non era riuscito negli ultimi 60 anni: "Volevo smettere, dopo 55 anni di calcio. Poi la chiamata a Gubbio, la conoscenza di persone serie, la confidenza con questa città e questo ambiente trascinanti, mi hanno convinto. E stiamo lavorando bene. Manteniamo i piedi per terra e sono certo che questa squadra ci darà grandi soddisfazioni. Lo scorso anno ero sicuro che ce l'avremmo fatta. Quest'anno mi sentivo più prudente. Ora tocca ai giovani darci la risposta: se sapranno dare continuità a questo momento magico, continueremo sicuramente a divertirci". Anche il ds fatto in casa, Stefano Giammarioli ha avuto parole di apprezzamento per il gruppo: "Vincere è bello, farlo nella propria città è qualcosa di indescrivibile. Continuiamo a lavorare in silenzio e se sapremo meritarci quello che stiamo vivendo, ce lo diranno le prossime giornate".
Chi predica prudenza, ma a fatica, è Vincenzo Torrente: alla sua prima esperienza da tecnico in campionati professionistici, ha subito vinto. E ora continua a vincere con una squadra che mostra un calcio frizzante, sbarazzino, con un 4-3-3 imprevedibile. Ma lui non vuole voli pindarici: "Sarà pure una battuta, ma continuo a dire che ci mancano 10 punti alla salvezza. Quando saremo a quota 41, e solo allora, ci guarderemo intorno e cambieremo i nostri programmi". Di questo passo (il Gubbio ha vinto le ultime 5 gare, senza subire reti), l'ex capitano del Genoa "rischia" di arrivarci già prima di febbraio a quota 41. "Ho un gruppo fantastico - spiega il tecnico - i veterani, come Sandreani, Briganti, Boisfer, Farina, Gomez sono d'esempio per la nidiata di giovani. Tutto sta andando per il meglio. Acquisti a gennaio? Intanto spero di riavere disponibile Bazzoffia, che ci manca da fine agosto".
Grandi applausi a tutta la squadra e inevitabili boatos nel corso della proiezione del video racconto - che ho curato personalmente nella regia (con il montaggio di Luigi Lelli) e nella scelta delle immagini (mentre per la consulenza musicale sono andato sul sicuro, affidandomi all'intramontabile Riccardo Migliarini "Rimpiccetto").
Tra i più acclamati l'eroe del momento, ma potremmo dire di tutto il 2010, Juanì Gomez. Il cui urlo stile Munch (vedi a fianco l'instantanea di Marco Signoretti) prima ancora che i voli da Peter Pan per i festeggiamenti - resterà una delle icone rossoblù di questo incancellabile 2010.
Alla serata, molto partecipata, erano presenti, oltre allo staff dirigenziale, tecnico e ai tanti collaboratori, una delegazione di tifosi. Tra le autorità, il sindaco di Gubbio Ercoli, il Vescovo Ceccobelli (grande tifoso dei rossoblù, domenicalmente presente allo stadio), e i rappresentanti dei due sponsor cementieri, Antonella Barbetti e Giovanni Colaiacovo. Nel corso del convivio è stato trasmesso un video celebrativo dei 100 anni e un progetto avveniristico per la ristrutturazione dello stadio "Pietro Barbetti". Un piano affascinante con una struttura stile-Marassi, chissà quanto fattibile. Per ora è un sogno, ma in fondo lo era anche fino a pochi mesi fa, pensare che la squadra potesse primeggiare nella vecchia C1.
Di certo domenica si preannuncia un altro pienone al "Barbetti": arriva la blasonata Salernitana in cerca di riscatto. Per il Gubbio il primo severo test da inedita capolista. Mentre nello stanzone granata c'è aria di tempesta. Ma non c'è da fidarsi...
Gma (tratto dal pezzo per http://www.tuttolegapro.com/)

Fotoservizio - Marco Signoretti

giovedì 9 dicembre 2010

B MOVIE - Gubbio-Sorrento: le emozioni di una gara mozzafiato, in un film fotografico unico...

Prendetelo come un esperimento. Tanto più ambizioso, in quanto ispirato da una persona che non dalle immagini fotografiche, bensì da quelle video dovrebbe essere guidata. Il sottoscritto.
Penso invece che l'istantanea - proprio per definizione - possa cogliere e definire, come nessun'altra immagine in movimento, l'attimo che racconta.
Ci sono foto simbolo di un'intera epoca. E - nel nostro piccolo - alcune immagini (simboliche e per così dire, narrative) possono descriverci le emozioni di una giornata. Che trasuda gli umori di uno stadio palpitante, di una domenica felice, di una vittoria memorabile. Che ti lascia il cuore in gola...
Stavolta non era domenica. Ma quel pomeriggio grigio e piovoso al San Biagio, quel 9 dicembre 2010 contro il Sorrento, lo ricorderemo per un pezzo...

E allora riviviamolo, sui flash di Marco Signoretti, che ci aiutano a raccontare questa memorabile vittoria:



L'attesa è vibrante al San Biagio: tifosi di ogni età, il colore è rossoblù...
  

I gladiatori entrano in campo: Gomez e Boisfer... trascinanti

Giusto il tempo dei convenevoli... che è già battaglia
In avvio i rossoblù sembrano in gabbia... soffrono ma non cedono

L'urlo di Gomez... Lo sguardo perso di Rossi... La folla in delirio... L'immagine della vetta

Peter Pan prende il volo... e l'"isola che non c'è" non è poi così chimera...

Torrente è accerchiato... ma è dolce asfissia vissuta da capolista
 
Intanto fuori è terzo tempo tra tifosi e squadra... uno dei segreti del feeling rossoblù...

Gli spalti sono deserti... ma le gradinate non avranno tempo di freddarsi. Arriva la Salernitana...

I rossoblù cercheranno il regalo più inatteso... ma proprio per questo più bello.
       


E come sottofondo a questa passeggiata forografica, "Image" - John Lennon. A 30 anni dalla sua scomparsa...


lunedì 6 dicembre 2010

Gubbio calcio: l'isola ancora non c'è, ma intanto c'è Peter Pan...

L’Albero di Natale più grande del mondo si accenderà tra qualche ora. Ed è come se la città voglia dare un suo benvenuto, o bentornato, anche al Gubbio di Vincenzo Torrente.
Una delle favole più sorprendenti di questo 2010, proprio nell’anno del centenario.
E allora culliamoci questo splendido giocattolo da custodire sotto l’Albero: per incartarlo e infiocchettarlo però c’è ancora tempo. Per la precisione altri 270’, tre partite – e che partite - tutte da giocare davanti al pubblico rossoblù.
Non facciamo calcoli per non avere mal di testa: ma aspettiamo le tre sfide in 10 giorni con l’ansia di chi entra nel miglior ristorante, si siede a tavola e attende le proposte del maitre.
Ma il successo tondo in terra campana non può passare inosservato. Perché il 2-0 di ieri non è una vittoria qualunque.
La trasferta di Pagani era giustamente tra le tappe più temute di questo fine 2010: sarà che era l’ultima sortita dei rossoblù lontano dalle mura amiche, sarà che i campani erano alla ricerca disperata della vittoria – che mancava da settembre – sarà che per la legge dei grandi numeri era accaduto spesso nella centenaria storia del Gubbio di testacoda a rischio sorpresa.
Ma la truppa di Torrente ha sorpreso ancora una volta di più: nessuna vertigine, nessuna sottovalutazione dell’avversario, nessun atteggiamento remissivo, a dispetto della media età della squadra, i 23 anni e poco più, che potrebbero indurre in facili entusiasmi.
Un lavoro psicologico prezioso – che ha una matrice doc, quella di Simoni e Torrente – tradotto poi in campo in una capacità diventata quasi chirurgica di capitalizzare le occasioni migliori, di difendere la propria porta in maniera granitica, di conservare il vantaggio con il piglio delle squadre di razza.
L’immagine di questa vittoria è tutta nella rovesciata di Peter Pan: l’eterno bomber, Juanì Ignacio Gomez emblema di un gruppo che, tra veterani e giovincelli, non ha paura di nulla, ha la sfrontatezza dell’eroe di un Isola che non c’è o che almeno per ora si sogna senza nominarla.

venerdì 3 dicembre 2010

Piero Angela e un'intervista... ossigenante

Un'intervista ossigenante. Ma forse è meglio dire, una chiacchierata rigenerante. Piero Angela negli studi di "Link" - l'intervista è andata in onda ieri sera (replica anche sabato ore 16.30 e domenica ore 12) e tra pochi giorni sarà integrale anche sul sito http://www.trgmedia.it/ - è già da considerarsi un piccolo grande evento per un'emittente locale che può dirsi onorata di aver ospitato un personaggio straordinario sia sul piano culturale che della capacità comunicativa.
Colpisce di Piero Angela - 82 anni senza averne il minimo sospetto - la semplicità con cui riesce a trasmettere non solo il proprio sapere, ma prima di tutto la propria sete di sapere: un'inesauribile desiderio di conoscere, che spazia dalla natura, alla storia fino all'arte. La curiosità di un bambino nella saggezza di un uomo di profonda cultura.
E una specie di viaggio nel "Paese delle Meraviglie" - senza avere le sembianze di Alice, ma un po' di incanto quello sì - si è rivelata la chiacchierata informale e piacevole davanti alle telecamere di TRG. Un excursus nel quale facevo le domande, ma in realtà era inconsapevolmente il mio ospite a dettare la linea e i tempi della nostra conversazione.
Ho "prevelato" Piero Angela al Ristorante "La Taverna del Lupo" dopo aver concordato con l'ufficio stampa EPR Comunication ora, logistica e modalità per realizzare l'intervista.
Una prassi che è solita con persone che devono incasellare in un solo pomeriggio una miriade di iniziative. E così è stato con Piero Angela - appena un giorno a Gubbio ma "martellato" da appuntamenti a destra e manca. Il celebre giornalista e divulgatore scientifico però, a differenza di altri, si è mostrato di una disponibilità e cortesia inaspettate, pur avendo un profilo ben noto per il garbo e la sobrietà degli atteggiamenti. C'è stato subito feeling, come se ci conoscessimo da una vita. Mi era accaduto, così nitidamente, solo con un altro ospite - di tutt'altro settore, ma evidentemente di uguale intelligenza e affabilità: Flavio Insinna.
Doveva essere un'intervista di un quarto d'ora, è stata una piacevolissima interlocuzione di quasi 45'. Se ne sono andati tutti di un fiato, svariando tra la mostra "Dinosauri" (una sua passione infantile, tanto da confidare che "nell'enciclopedia che sfogliava da piccolo, il volume sui dinosauri era il più logoro") alle esperienze professionali con "Quark", dal tema dell'energia (sul quale Angela ha posizione per certi versi controcorrente) fino alla fuga dei cervelli per arrivare alla questione "meritocrazia" che - dice lui stesso - "non ci appartiene culturalmente, perché fin da piccoli siamo abituati a ricopiare a scuola e chi fa la spia è quello che sbaglia, e non certo chi copia". Non sono mancate curiosità e aneddoti, come la passione per la musica, in particolare per il pianoforte ("Gli individui che incontrano il maggior successo solitamente sono forti dentro e cortesi fuori. È un po' come per il pianoforte. Ricordo sempre quello che mi diceva la mia vecchia insegnante di pianoforte: per avere un buon tocco occorrono dita di acciaio in guanti di velluto... Forse anche nella vita è così") o quella per il gioco degli scacchi, ricordando una memorabile sfida con Karpov (campione sovietico di fine anni Ottanta) e sottolineando che si tratti di una disciplina molto educativa perché "insegna a programmare il gioco non sul risultato immediato ma sulla strategia futura, servirebbe anche ai nostri politici".
Ma la frase che mi ha colpito è stata proprio all'inizio dell'intervista: parole che danno lo spessore del personaggio prima ancora che del professionista. "E' importante comunicare regalando emozioni, ludendo docere, come dicevano i latini. Altrimenti qualsiasi argomento, la cultura in primis, rischia di annoiare".
Ed è anche l'insegnamento che da tanti anni Piero Angela silenziosamente (come sanno fare i grandi) ci trasmette attraverso la tv. Un mezzo troppo spesso vituperato, anche a ragione, per l'appiattimento culturale cui porta con una serie di formate proposte tutte omolgate (verso il basso).
Per fortuna ci sono anche le felici eccezioni...

P.S. Posso confidare una cosa? Alla fine della trasmissione - che avrebbe potuto tranquillamente proseguire per un'altra ora senza stancare nè il conduttore nè i telespettatori - Piero Angela ha sorriso, alzandosi dalla postazione e mi ha ringraziato: "Mi ha fatto molto piacere, complimenti per la conduzione".
Gli ho risposto che il mio, tutt'al più, era stato un modesto "affiancamento" ad un grande divulgatore. NOn mi sono sembrate, le sue, parole di circostanza.
E non posso nascondere (sarei ipocrita) che quel commiato è una delle soddisfazioni da annoverare in una carriera (ahimè, ormai già ventennale) di interviste.
Il grazie, da questo punto di vista, è tutto mio...

mercoledì 1 dicembre 2010

I calciatori scioperano? Uno schiaffo ai veri problemi della gente. E se i tifosi cominciassero a boicottare davvero gli stadi?

Premessa: se il gioco del calcio è considerato un lavoro - e lo è - è ovvio che a priori non si può negare al lavoratore in questione il diritto di scioperare. Ma sarebbe ipocrita e "lunare" (cioè da abitante della luna) affermare che i problemi che attraversano i calciatori professionisti impongano uno sciopero come quello proclamato per l'11 e 12 dicembre prossimi.
Uno schiaffo, bello e buono, ai veri problemi della gente. A quegli italiani che, senza scadere nella retorica, credono ancora nel fascino del calcio, ci mettono tifo, passione (e anche qualche soldo, tra abbonamenti, biglietti o pay tv). E non hanno certo a fine mese gli stessi zeri (in busta paga o sul conto corrente) di quelli che ritrovano i calciatori professionisti.
Lo sciopero è semplicemente incomprensibile: primo perchè ingiustificato nel merito delle sue cause, secondo perchè l'attuale fase di crisi (che si riflette per altro anche sullo sport e in particolare sul calcio) consiglierebbe maggiore buon senso prima di levate di scudi così eclatanti. I calciatori sembrano non capire - ma lo sanno - che non troverebbero un solo tifoso disponibile a condividere le loro ragioni, nel momento stesso in cui dovessero decidere in modo irrevocabile (e ormai ci siamo) di incrociare le braccia (o meglio, le gambe).

martedì 30 novembre 2010

Yara non c'è, ma c'è chi fa di tutto per finire in tv... E' la mitomania a basso costo il rischio "del momento"

Si chiama Yara. Ma potrebbe chiamarsi in qualsiasi altro modo. Anna, Laura, Michela, Francesca, Elisa. O anche Sara.
Ma forse Yara aiuta a ricordarla meglio. Un nome strano, di quelli che se ne hai motivo, difficilmente dimentichi. E la cronaca di questi giorni non ci farà correre questo rischio. Purtroppo per Yara.
E' la tredicenne scomparsa a Brembate, popoloso centro del Bergamasco, finora noto solo per antico castello preda di Federico Barbarossa. Una di quelle località della provincia italiana che, speriamo, non diventi tristemente famosa per motivi di cronaca.
Intanto la scomparsa di Yara riporta all'attualità il caso di Sara, che l'attualità non l'ha mai abbandonata: con l'assurdo avvicendarsi di versioni, testimonianze miste a confessioni e un groviglio di verità che più si scopre, più assumono le tonalità dello squaliido e del macabro.
Yara con tutto questo non c'entra. Se non per un aspetto, che appena 4 giorni di cronache televisive hanno messo crudemente a nudo. Il valore esponenziale della comunicazione, dell'impatto della cronaca sull'emotività dell'opinione pubblica, del mistero che sfuma gradualmente in una verità di cui nessuno vorrebbe sentir parlare ma che tutti (o quasi) attendono morbosamente attaccati al telecomando.
E' la testimonianza confermata da un editoriale di Maria Latella su come anche in un ambulatorio medico, provvisto di tv, i presenti in attesa del proprio turno, abbiano conversato tranquillamente durante i servizi sul caso Wikileaks, per poi calare nel silenzio claustrale al momento delle immagini e del servizio sulla scomparsa di Yara.