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giovedì 15 settembre 2005

Caso Perugia Calcio fallimento 2005

Perugia, fallimento nell’anno del centenario
Il Sole 24 ore – 15 settembre 2005

Non avrebbero mai pensato a Perugia di festeggiare così il centenario della propria squadra. Ma il 2005 resterà come annus horribilis, non tanto per le vicende sportive, quanto per la scomparsa definitiva dell’Ac Perugia 1905, società guidata dalla famiglia Gaucci. Una vicenda “esplosa” d’improvviso tra giugno e luglio, pochi giorni prima dell’iscrizione della squadra alla serie B e pochi giorni dopo l’approvazione del Consiglio comunale perugino di un faraonico progetto di ristrutturazione dello stadio “Renato Curi”.
Al di là dei risvolti sportivi, il fallimento del Perugia di Gaucci ha lasciato sul terreno non poche “macerie” finanziarie, che i numeri evidenziano. Un volume di debiti complessivo stimato intorno agli 80 milioni di euro, dei quali la gran parte con il Fisco (34 milioni oltre ad 11 di mora), 6 milioni di pendenze con i giocatori e lo staff tecnico – rimasti senza stipendio per molti mesi - e altrettanti con gli Istituti di previdenza, senza contare anche Figc e banche. E una sequela di aziende locali, fornitori della società calcio, rimaste con il classico “cerino acceso” per centinaia di migliaia di euro.
Una storia complessa di debiti e crediti, un cammino mai silenzioso negli anni, fatto di operazioni d’immagine e colpi a sensazione (il primo giocatore-business Nakata, il figlio di Gheddafi, solo per citare i più clamorosi) giocati sempre sul filo del rasoio.
Nel quindicennio dell’era Gaucci a Perugia non sono mancate per altro le operazioni in uscita molto remunerative per le casse del club umbro, tali da portare alla società almeno 100 milioni di euro. Un budget evidentemente dilapidato nel giro di pochi anni, ma non attraverso analoghe operazioni di giocatori in entrata.
Un ulteriore dato macroscopico sono i 30 milioni di euro relativi al patrimonio giocatori sfumato nel giorno in cui la società si è vista respingere in ultima istanza il ricorso contro la mancata iscrizione al campionato, determinando lo svincolo a “parametro zero” di tutti i propri affiliati.
Ma sul terreno delle ripercussioni negative al crollo della società di Gaucci, oltre ad una serie di creditori che attendono ulteriori sviluppi e ad alcuni dipendenti rimasti appiedati (l’udienza pre-fallimentare è fissata per il 4 ottobre), resta l’ombra di un progetto imponente che vedeva la realizzazione di un mega-impianto e portava il nome di “Grande Curi”. Il Comune – che aveva a suo tempo rilasciato la concessione dello stadio al club di Gaucci con una convenzione di 80 anni – aveva approvato un progetto già finanziato dal Credito Sportivo per 40 milioni di euro che prevedeva la ristrutturazione totale del “Curi”, con tanto di albergo, ristorante, auditorium, spazi per attività commerciali (2.500 mq), parcheggi e strutture sportive (tra cui una piscina), con l’obiettivo di farne una delle sedi dei prossimi Europei di calcio 2012 (candidatura perorata dall’attuale d.g. della Figc ed ex dirigente del Perugia, Francesco Ghirelli). Quale sarà il destino del “Grande Curi”? Non nasconde di volerne sapere di più anche Vincenzo Silvestrini, il 35enne imprenditore romano, socio della Finlux, società operante nel segmento delle manutenzioni, costruzioni e pulizie, che ha tra l’altro acquistato dal gruppo Fiat la Delivery Mail e Clean Tecno, ma che per i tifosi perugini ha soprattutto ricostituito il Perugia Srl, ripartito ora dalla serie C1. “Aspettiamo che il Comune ci informi su eventuali prospettive del “Grande Curi”, restiamo a disposizione”, dichiara il nuovo patron, che ha da pochi giorni trasformato la Srl in Spa, confermando una decina di dipendenti della precedente gestione (escluso il settore amministrativo) e che si è detto in attesa di coinvolgere “almeno un paio di imprenditori perugini”. Nonostante la burrasca Gaucci, il sindaco Locchi ha ribadito che “il progetto del “Grande Curi” resta valido, il suo destino è strettamente legato a quello del Perugia calcio”. Per ora, però, l’imprenditoria perugina, nei confronti del Perugia calcio, resta timida e silente.
Giacomo Marinelli Andreoli

BOX

Dal 1991, l’anno dell’ingresso di Gaucci alla guida dell’Ac Perugia, l’imprenditoria perugina è rimasta fuori dalle sorti del calcio biancorosso. Neanche la scomparsa del club ha portato ad una soluzione “autoctona”. Spulciando ad esempio tra le altre società di calcio umbre, si scopre che solo la Ternana (diventata leader regionale con la sua serie B) conosce una situazione analoga (l’attuale proprietario, il marchigiano Longarini, l’ha prelevato dal milanese Agarini). In C2 i colossi cementieri eugubini Colacem e Barbetti sostengono il Gubbio (con una singolare alternanza di sponsorizzazione, anno per anno), l’imprenditore edile folignate Zampetti guida il rinato Foligno, tutti esponenti di un imprenditoria umbra vicina allo sport e al calcio. A Perugia da molti anni questo non avviene più. Una singolare sfumatura della vicenda turbolenta dell’estate 2005 che ha travolto il Perugia, non semplicemente riconducibile allo scarso appeal del precedente patron con la piazza. Vicenda che assume toni paradossali se si pensa che altri imprenditori umbri (Covarelli) sono alla guida di società calcistiche toscane (Pisa).

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