Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

lunedì 29 aprile 2013

Contro il Latina una vittoria simbolo della stagione: ora manca solo l'ufficialità...

Caccavallo esulta al triplice fischio: la salvezza
ormai è cosa fatta (foto Gavirati)

Il più è fatto. E la vittoria che stacca virtualmente il biglietto salvezza per il Gubbio arriva nel confronto più difficile, tra quelli rimasti. A conferma dell'imprevedibilità di questa squadra, capace di fare 1 misero punto tra Viareggio e confronto interno con la Carrarese, per poi agguantarne 4 tra Nocera Inferiore e sfida al Latina. 

Ma proprio nella vittoria sui ciociari si specchia fedelmente quella che è stata la stagione della squadra di Sottil. Alti e bassi, spesso inspiegabili, spesso frutto di episodi e anche di circostanze poco fortunate, talvolta di prestazioni incomprensibili. Un film shake che in versione cortometraggio è andato in scena proprio in Gubbio-Latina.

Gerbo esulta con i suoi, ma poi chiede scusa
ai tifosi rossoblù (foto Gavirati)
Gara soft, quasi ingessata, per almeno mezz'ora, finchè i portieri hanno deciso di vivacizzarla con uscite a dir poco audaci. Prima Bindi è andato a farfalle, graziato da Guerri, poi Venturi ha calcolato male tempo e distanza d'uscita, ed è stato punito da uno degli ex di turno, quel Gerbo spesso incompreso la scorsa stagione, spesso immaturo per recitare un ruolo importante in serie cadetta. Quello visto ieri è un signor giocatore, che con un anno di gavetta in più, in B potrebbe tornarci tranquillamente, e non a scaldare panchine. 

Il crac di Galabinov, che mette male il piede
sul contrasto di Cottafava (foto Gavirati)
Ma lo scherzo più pesante lo ha combinato, involontariamente, un altro degli ex, Cottafava, la cui entrata su Galabinov è costata la frattura del perone, e i titoli di coda per la stagione del bulgaro, brillante e trascinante.
Senza l'ariete e con un gol da recuperare, in pochi avrebbero scommesso nella ripresa sul pari, figuriamoci sulla vittoria dei rossoblù. Ma l'orgoglio e il carattere di questa squadra è tornato a farsi sentire quando ce n'era davvero bisogno.

Briganti la mette dentro di ginocchio. Quanto basta
per il gol dell'1-1 (foto Gavirati)
Trascinato da un poderoso Briganti, roccioso dietro e minaccioso in prima linea, il Gubbio ha trovato subito il pari, su rocambolesca incertezza di Bindi, innescata da un corner alla Palanca firmato Radi. Poi quando il Latina ha scoperto le carte cercando di vincerla e gettando nella mischia anche calibri come Danilevicius, è stato di nuovo il Gubbio a colpire, con il più piccolo, ma di testa, su assist di un sempre attivo Malaccari: e Caccavallo, un solo gol finora nel derby inutile di gennaio, ha messo il sigillo sulla vittoria più importante della stagione. Come aveva impresso la svolta due settimane fa nel recupero di Nocera. Un giocatore rivelatosi essenziale nel momento del bisogno.

Caccavallo ha appena scoccato l'inzuccata
vincente alle spalle di Bindi (foto Gavirati)
Nel finale sia Venturi che la traversa hanno capitalizzato il prezioso vantaggio, figlio anche di una prestazione stoica di Boisfer - che praticamente non si era allenato in settimana - e dell'intero pacchetto centrale.
E se il Perugia avesse fatto il suo dovere, a quest'ora i rossoblù avrebbero già potuto brindare. 
Ora c'è solo da attendere: potrebbe anche non servire fare altri punti (basterebbe la vittoria dei grifoni domenica sul Prato), ma è bene non guardare gli altri campi.

Boisfer, tra i migliori, abbraccia Briganti
sotto lo sguardo di Gerbo (foto Gavirati)
Il Gubbio si è costruito, nel bene e nel male, questa strana annata tutto con le sue forze. Ed è giusto che con questi giocatori, e magari con un'altra prestazione super, ad Andria arrivino i punti della sicurezza.
Un traguardo doppio: come doppia sarà la permanenza in terza serie, un campionato - ricordiamolo - che il Gubbio praticamente non conosceva (avendolo vinto alla sua prima esperienza), ma che quest'anno ha rivelato in toto le due difficoltà.
Ora manca davvero un niente per proclamare "missione compiuta"...



domenica 28 aprile 2013

Letta e sottoscritta...

"E ora guardiamo avanti. E facciamolo individuando due-tre priorità, e bando alle polemiche".
Potrebbe essere questo il discorso di insediamento del nuovo premier, Enrico Letta, "nipote d'arte" (ma su sponda opposta), prodotto dell'Università pisana, figlio della seconda schiera del Pd, quella che oggi ha la responsabilità di dare un governo - anzi un governissimo - al nostro Paese.
Pd-PDL-Scelta civica insieme. Difficile da prevedere solo 3 mesi fa, quando in campagna elettorale i tre schieramenti se ne dicevano di tutti i colori - e con loro Grillo a rincarare la dose nel "tutti contro tutti" più caotico degli ultimi anni.

Ora il tempo dei teatrini e' finito. Napolitano ha accettato coraggiosamente a 88 anni di ricominciare daccapo, quando già era a bordo dell'auto che l'avrebbe portato a Capri (come l'irresistibile parodia di Crozza ha raffigurato). Lui ha fatto dietrofront, ma ha ridicolizzato nel discorso alle Camere quella classe politica che non era stata in grado di realizzare le riforme basilari per ripartire: legge elettorale, sostegno alle imprese e all'occupazione, welfare (tanto per dirne alcune che sarebbero epocali).
Tutti hanno applaudito, ipocritamente, ma il risultato e' maturato in pochi giorni: incarico a Enrico Letta, nuova generazione, governo di 21 ministri in grandissima parte alla prima esperienze e di sicuro poco affini alle nefandezze e ai lassismi registrati negli ultimi mesi. Alla porta un'intera flotta di ex leader di partito e di ministero che di fatto escono di scena dall'agone politico (pur restando seduti nelle Camere dove pero' non potranno certo boicottare l'esecutivo come hanno fatto nel segreto del voto, con le candidature Marini e Prodi).

Per ora il nuovo governo si segnala sul piano quasi folcloristico: il primo con un ministro di colore, il primo con un ministro naturalizzato e medaglia d'oro olimpica, il primo con un terzo di donne, il primo con un esponente radicale (una big).

Non mancano le critiche, le polemiche e i disfattismi collaterali. Grillo grida al solito inciucio (peccato che abbia offerto "un'autostrada parlamentare" a Bersani se avesse votato Rodotà... e quello cos'era?), sapendo che se al governo Letta andrà male, i 5 Stelle avranno la strada spianata.
Sel rinnega l'alleanza con il Pd (senza la quale pero' ne' Vendola ne' l'elegante neo presidente della Camera sarebbero entrati a Montecitorio). La Lega storce la bocca, conscia pero' che la propria base chiede una svolta nella politica economica e nel sostegno alle imprese, fregandosene sostanzialmente dei bizantinismi di Palazzo. Opposizioni quasi fisiologiche che danno l'impronta del nuovo Governo come di un enorme coalizione bipartisan che in realtà finisce per riprodurre un insieme di "correntoni" della vecchia Balena bianca (DC). E come dice Gramellini, il timore è che questo "eccellente governo democristiano", faccia la fine di altri consimili: cioè duri troppo poco. Ex DC nel Pd, nel PDL, nella lista Monti. Ma pur sempre politici che molto meno di altri "si sono sporcati le mani" nella guerra civile di questi ultimi 20 anni, combattuta sul fronte berlusconiano-anti berlusconiano.
A proposito, lui, il Cavaliere, ha silenziosamente appoggiato il progetto Letta. Perché? Forse perché sa meglio di chiunque altro, che questo governo era l'ultima chiamata per la salvezza del Paese ( e perché no, anche dei suoi interessi).

Ora va misurato alla prova dei fatti. Ma un dato e' certo. L'operazione Letta ha aperto anche una nuova era politica e generazionale. Che sia migliore di quella che l'ha preceduta lo vedremo (non ci vorrà molto per riuscirci). Che era l'unica opzione possibile - con buona pace di chi invoca ancora oggi un Rodota' al Quirinale o un movimento 5 Stelle al governo senza nessun altro - già lo sappiamo.
E già basta questo per sottoscriverla...
Con un grande, enorme, in bocca al lupo... Nell'interesse di tutti noi.

mercoledì 24 aprile 2013

Quando aiutare la cultura passa per un burraco...


Oltre 80 presenti, 40 coppie di giocatori in tutto, l'intero incasso delle iscrizioni (15 euro a coppia) devoluto interamente alle attività culturali della Biblioteca Sperelliana. 
Potrebbe sembrare quasi una colletta, in realta' era molto piu' semplicemente un torneo di burraco. Una serata, come tante, trascorsa a cercare "pinelle" e jolly, ma stavolta per una buona causa. Anzi una causa nobilissima. Sostenere la Biblioteca, una delle istituzioni culturali di maggior rilievo della nostra comunita', che da 3 anni ha trovato la sua nuova casa nella eccellente location di San Pietro - di sicuro l'intervento pubblico piu significativo dell'ultimo decennio - sarebbe compito di tutti, pubblico e privato. 
Per ora ci riesce, e pure bene, il privato, o meglio l'associazionismo, quella realta' fatta di una miriade di soggetti che, disinteressatamente - e dunque nel modo piu' limpido e autentico - riescono a fornire un contributo ancor piu' efficace di quanto potrebbe riuscire a fare qualsiasi altra opera di mecenatismo. 
Un esempio di cui anche le istituzioni, e il soggetto Pubblico in primis, dovrebbero far tesoro. Vista anche l'inconcludenza insopportabile e i continui e ripetuti bizantinismi nei quali si dimena, senza alcuna concretezza, l'attuale consiglio comunale cittadino. Imbrigliato in dispute personalistiche e in miopi sordità non meno deprecabili di quelle denunciate a livello nazionale nel mirabili discorso di insediamento del riconfermato Capo dello Stato.
A Gubbio, i cittadini, quegli 80 appassionati e accaniti giocatori di burraco, hanno dimostrato che ognuno, nel proprio piccolo... puo' fare la differenza...

domenica 21 aprile 2013

La giostra di piazza Oderisi: un'immagine della politica di questi giorni...

La nebbia mattutina sembra quasi descrivere
il quadro politico attuale...
Ci pensavo stamattina, mentre osservavo mia figlia divertircisi spensieratamente, vagando da un personaggio all'altro, da una navicella ad una carrozza, da un cavallino all'altro.
La giostra che troneggia in piazza Oderisi, a Gubbio - proprio ai piedi della sede eugubina del PD - sembra quasi simboleggiare la politica di questi giorni, di questi tempi. E più in generale, di questa epoca.
Un gigantesco carrozzone, sul quale a turno, si alternano protagonisti, o semplici comprimari, della politica. Di quella che un tempo i latini, bontà loro, chiamavano "res publica" (cosa di tutti), ma che oggi è semplicemente il nome di una popolare testata giornalistica.

La Repubblica, quella nostra, quella che ha l'articolo e che significa, almeno per il sottoscritto, "bene comune", ha attraversato un fine settimana di quelli da segnare sul calendario. Di cui leggeremo tra qualche anno sui libri di storia - e a quel punto sapremo anche come è andata a finire.
Per ora credo che valgano per tutti le parole del direttore del Corsera, De Bortoli, che ho postato ieri su facebook: al Quirinale è stata trovata la soluzione migliore nella condizione peggiore.

Perchè in teoria la conferma di Napolitano - prima volta nella storia repubblicana di un bis del Capo dello Stato - non era negli auspici neanche del diretto interessato, ormai 88enne ed "esausto" dopo l'ultimo biennio trascorso a traghettare la malconcia condizione istituzionale del nostro Paese. Pensare di dover ripetere l'esperienza altri 7 anni è  da condanna ad un carcere cambogiano.
Ma Napolitano non ha potuto dire di no - non tanto ai partiti, impantanatisi da soli in queste sabbie mobili - ma alle invocazioni accorate che soprattutto i presidenti delle Regioni gli hanno rivolto la sera di venerdì e il mattino di sabato: quando il quadro clinico della politica italiana era a rotoli, il PD aveva perduto qualsiasi ombra di credibilità con le inevitabili dimissioni del suo timoniere - avendo annientato due sue candidature (tra cui il padre fondatore, Prodi) - e l'ombra del "Movimento 5 Stelle" e del suo disfattismo istituzionale aleggiava sopra Montecitorio.

Certo, tra giovedì e sabato, ne abbiamo viste di tutti i colori. Prima l'affondamento di Marini, poi quello di Prodi, in mezzo il sostegno imperituro del M5S a Rodotà (che solo qualche mese fa definiva Grillo il "re dei populisti").
E la giostra - quella dei parlamentari (soprattutto del PD) e non quella di mia figlia - ha finito per ridicolizzare il Paese agli occhi degli ormai immancabili "osservatori internazionali" e ancor di più agli occhi degli osservatori di casa nostra, ovvero di tutti noi.

Quando di fronte ad una scelta che dovrebbe unire, le divisioni diventano ancora più marcate (elezione del Capo dello Stato confusa per un "regolamento di conti" interno al partito di maggioranza) vuol dire che si è persa la bussola del proprio ruolo. Che qualcuno non credo sappia neppure che ci stia a fare a Montecitorio (e non parlo solo dei "bontemponi" che hanno scritto il nome di Siffredi o di Trapattoni sulla propria scheda, con la nonchalance con cui noi, scapestrate matricole universitarie, scrivevamo il nome di Roberto Baggio tra gli iscritti all'esame di Diritto Costituzionale).

Questo spettacolo indecoroso, questa fiction surreale, nella quale il "nuovo corso" parlamentare (con quasi l'80% di esponenti nuovi rispetto al passato) non ha fatto rimpiangere affatto i precedessori, ha rischiato di trasformarsi perfino in un problema di ordine pubblico quando Grillo ha gridato per l'ennesima volta al complotto e ha invocato la piazza preannunciando un avvento messianico nella Capitale. Risoltosi in un clamoroso flop, con dietrofront imbarazzati dopo i proclami cui si erano uniti anche centri sociali e perfino Casa pound. Il che dà la cifra esatta della distanza, non solo della vecchia politica, ma anche di quella che si professa "nuova" (come se questo aggettivo contenesse anche quelli di competenza, equilibrio e pragmatismo necessari a governare) dal sentire popolare.

In un'ipotetica pagella, sulla "giostra" della politica di queste giornate febbrili, chi ne esce istituzionalmente rivalutato è - paradosso, ma è così - proprio Berlusconi. Che non solo, politicamente, ha dato scacco al derelitto PD, ma anche dimostrato senso istituzionale appoggiando sempre candidature di altri schieramenti (lo era Marini, lo sarebbe stata anche la Cancellieri, lo è comunque anche Napolitano) nello spirito che dovrebbe caratterizzare la nomina di un Capo dello Stato, arbitro super partes delle vicende costituzionali e politiche di casa nostra.

Lo stesso non può dirsi certo nè di Bersani  - che dopo le "forzature" su Presidenti di Camera e Senato ha ondivagato tra l'ammiccare con il PDL e il rincorrere affannosamente Grillo - nè di Vendola - che ha continuato a sostenere Rodotà anche di fronte alla riconferma di Napolitano - e neppure di Grillo stesso, i cui rappresentanti in Parlamento hanno sdegnosamente rifiutato qualsiasi gesto di bon ton istituzionale, dopo la nomina di Napolitano, dimostrando di non avere ancora sufficienti briciole di maturità parlamentare. E rischiando di trasferire il proprio malcontento in piazza, con conseguenze che per fortuna, la fuga di Grillo ha evitato di dover rendicontare.

La giostra resta lì. Ha girato vorticosamente per alcuni giorni, come impazzita. Ora, il ritorno imprevedibile del "grande Vecchio" - del Presidente uscente - è una rassicurazione sul futuro imminente.
Perchè qualcosa, fin da domani, dovrà succedere. Un governo subito, con un programma di riforme immediate e una risposta istantanea alla crisi drammatica del Paese.
Queste sono le condizioni poste da Napolitano per il suo ritorno al Colle. Capiremo subito se dalla giostra sono scesi anche altri, o se è stata l'ennesima illusione...

mercoledì 17 aprile 2013

Pensando al Quirinale... e ad un video che arriva dal Cile...

Domani si decide.
Riflettori puntati sul Quirinale, sul Colle che mai come stavolta oscilla e pende, un po' come il suo piazzale d'ingresso. Tra l'incertezza del futuro inquilino e la certezza di quel che si lascerà alle spalle.
Giorgio Napolitano sarà ricordato come il Presidente che ha interpretato in modo più autorevole e responsabile un ruolo che in altre epoche è andato appena oltre la soglia dell'attività notarile. Saranno i libri di storia, tra un po', a rappresentarci in modo più fedele quanto accaduto nell'ultimo settennato (e in particolare, nell'ultimo biennio). Ma è certo che l'impronta di Napolitano resterà impressa un po' come i piedi e le mani delle star nella Hollywood boulevar.

Ora è iniziata la corsa al successore (Marini in pole position e PD spaccato, tanto per cambiare) e mai come in questa occasione regna l'inconsapevolezza. Già, perchè più che incerta, la situazione appare quasi incosciente.
Un Paese alle prese col suo futuro, infradiciato da settimane passate in mezzo al guado di elezioni senza un vincitore, intimorito da un'atmosfera che alterna gli slogan disfattisti alle ricette miracolose, intontito da strategie definite via facebook, ora sa che da questa votazione ci si gioca molto.
Perchè il quid di affidabilità che l'Italia ha finito per ritrovarsi in Europa dopo mesi di fango, un quid che somiglia ad un filo di lana, è tutto accatastato nelle stanze del Quirinale. E rischia di andarsene insieme al Capo dello Stato uscente.

Perchè il successore di Napolitano dovrà, come il saggio ex comunista di Napoli, saper interpretare la Costituzione contestualizzandola al drammatico momento attuale ma dovrà anche sapersi ritagliare un'identità propria. Politica e di personalità.

Eppure, credo che gli elettori del prossimo Presidente della Repubblica - grandi o piccoli che si definiscano - dovrebbero preliminarmente occuparsi di dare un'occhiata ad un video.
Ci pensavo in questi giorni, immaginando quanto salutare possa essere mostrarlo alle scolaresche (ai cittadini di domani, come banalmente si definiscono gli studenti) ma anche ai nostri più o meno autorevoli rappresentanti in Parlamento.

Mariana Diaz Vasquez
Un video che non parla di Capi di Stato o di Costituzioni, non fa lezioni di diritto nè di strategie politiche.
Parla dell'Italia. Un'Italia vissuta e sentita, come senso di appartenenza, a migliaia di chilometri di distanza. Parla di come alcuni italiani, italiani d'origine, pensano e amano il proprio Paese.
E' un'emozione che ho avvertito, forte e intensa, sabato quando ho presentato (e assistito) alla premiazione del concorso "Memorie Migranti", indetto per il nono anno dal Museo dell'Emigrazione di Gualdo Tadino (felicissima intuizione del compianto sindaco Pinacoli poi sponsorizzata politicamente dalla Regione).
Il video è di Babel tv, firmato dalla giornalista cilena Mariana Francisca Diaz Vasquez, che racconta di una comunità di oriundi italiani stabilitasi ormai da tre generazioni a Capitan Pastene, nel sud del Cile. In quella "fine del mondo" richiamata anche dal nuovo Pontefice e che così da vicino, politicamente, l'Italia sembra osservare come una minaccia in queste ore.
Una comunità nella quale si produce prosciutto artigianale, pasta fatta in casa, di continua a parlare italiano, si esibisce la bandiera tricolore accanto a quella cilena, ci si dichiara orgogliosi di "essere italiani". Anche se a 11.000 chilometri da qui.

Un video da gustare e apprezzare nelle sensazioni che quei pensieri e quelle considerazioni, emerse nel corso di piacevoli chiacchierate con la giornalista, i protagonisti regalano al pubblico.

Per sentire che l'"italianità" non è qualcosa di cui vergognarsi, ho dovuto ascoltare le parole di alcune persone che vivono dall'altra parte del pianeta...
Un po' come il post dell'amico Giuseppe Rosati che da NY mi dice che nella Grande Mela "fa molto figo usare parole in italiano". L'esatto opposto di quanto avviene nella comunicazione di casa nostra...

Forse abbiamo tutti bisogno di ascoltare un emigrante. Di sentirci, a nostro modo emigranti.
Per amare e rispettare di più il nostro Paese. Un dovere di tutti. A partire da coloro che lo rappresentano...


lunedì 15 aprile 2013

Gubbio all'insegna del "mai dire mai": imbattuti a Nocera nell'occasione più improbabile...



La palla, colpita da Galabinov di testa, bacia la traversa
e si insacca. E' l'1-1 finale.
"Mai dire mai". 
Il Gubbio torna da Nocera Inferiore con un punto pesantissimo e il bello è che l'impresa arriva nella stagione e nella circostanza più improbabili.
Sì perché dopo due sconfitte interne di fila in pochi avrebbero scommesso su un risultato utile in terra campana; ancor meno chi, ascoltando la gara alla radio, aveva appreso che dopo il vantaggio dei molossi su calcio di rigore nel finale di primo tempo (con l'ex grifone Mazzeo) su un fallo di mani improvvido di Galimberti, la squadra eugubina era addirittura rimasta in dieci per l'espulsione di Belfasti nel corso della ripresa.

Il penalty del vantaggio rossonero
I rossoblù, guidati nella circostanza da Coppola in panchina, non si sono scomposti, hanno retto l'urto, salvato il salvabile, giusto per tenere in bilico il risultato e nella ripresa, con l'ingresso di Caccavallo, hanno trovato la chiave tattica per far saltare il banco dei rossoneri. 



E dopo il 12mo gol... streap tease bulgaro
Infine l'incornata di Andrej Galabinov ha fatto il resto, o meglio ha fatto il più, trovando il pari a 10' dalla fine, sulla prima rete siglata dal bulgaro in azione aerea, dodicesima stagionale. Un bottino niente male per un giocatore arrivato solo per raggiungere la doppia cifra, partito panchinaro fisso ma rivelatosi nel corso delle settimane elemento imprescindibile della squadra: quando ha girato lui, il Gubbio ha fatto punti, e viceversa quando la squadra ha carburato, Galabinov ha lasciato il segno.

Nel finale poi ci ha pensato Venturi, decisamente ritrovato dopo qualche défaillance, a blindare il prezioso punticino, reso ancora più importante dalle concomitanti sconfitte di Catanzaro, Prato, Viareggio e Andria, squadre con cui il Gubbio ha il bilancio degli scontri diretti a favore o deve ancora incontrare da qui alla fine.
"Mai dire mai" è il brand di questa prima vera domenica primaverile. 

Il gol di Galabinov da altra angolazione:
che diventi il logo-salvezza di questa stagione?
Anche perché in uno stadio che si chiama "S.Francesco d'Assisi" il Gubbio non era mai riuscito ad ammansire i molossi, perdendo sempre negli ultimi istanti di gara, anche nelle stagioni più trionfali. E cosi lo stesso Gubbio che ha regalato 4 punti s 6 a Carrarese e Sorrento, riesce nell'impresa di toglierne 4 alla Nocerina, ed ora attende tra due settimane il Latina per combinare un altro dei suoi scherzetti alle grandi del girone. 
Come a dimostrare che quest'anno – che ha visto anche la prima vittoria a Prato e la prima vittoria in terra pugliese - ogni pronostico può essere sovvertito. 
E' nel DNA di una squadra capace di tutto. 
Nella buona e nella cattiva sorte.


Copertina di "Fuorigioco" di lunedì 15-4-13
musica sottofondo: "Never can say goodbye" - Gloria Gaynor (1975)

venerdì 12 aprile 2013

Il biennio d'oro rossoblù è anche nel segno di Domenico Sfrappa



Il biennio d’oro. 
Lo hanno ribattezzato così, il periodo di successi 2009-2011, culminato con la storica promozione del Gubbio in serie B. Ma a onor del vero di bienni d’oro, di promozioni in fila, i rossoblù ne hanno vissute altre e neanche troppo remote.
La più entusiasmante e meno lontana, ci riporta a metà degli anni Novanta: il Gubbio precipita in Eccellenza regionale. C’è da ricostruire tutto, società, squadra e soprattutto il morale dei tifosi, costretti a fare collette per pagare i giocatori rossoblù. Nell’estate 96 si trova un accordo, per la prima volta i due sponsor cementieri collaborano – grazie alla mediazione dell’allora assessore Biancarelli - nasce una nuova cordata capitanata da Guerriero Tasso, che affida la ricostruzione della squadra ad un giovane direttore sportivo perugino, Domenico Sfrappa, artefice con Serse Cosmi del miracolo Pontevecchio. E Sfrappa, arrivato in silenzio ma con una gran voglia di fare, mantiene le promesse: allestisce con Mario Vivani al timone una formazione solida e concreta, esperta quanto basta ma al tempo stesso di qualità per quel campionato di Eccellenza nel quale il Gubbio si ritrova un po’ come la Juve in B, atteso a Pozzo come a Cesi o a Cannara da avversari in cerca della vittoria della vita.

Ma il gruppo rossoblù, costruito su capitan Giacometti, sui rientranti Mattioli e Flavoni, sull’esperienza di giocatori navigati come Bignone e Genghini, della verve realizzativa di Cau, non tradisce le attese, vince con anticipo il campionato e c’è anche la ciliegina sulla torta della Coppa Italia dilettanti conquistata a Foligno contro il Cesi dopo i supplementari. 
Ma se il primo anno sembrava scontato che il Gubbio vincesse, il capolavoro di Sfrappa arriva nel secondo anno, quando da matricola in serie D, con il nuovo tecnico Leo Acori, i rossoblù dominano il campionato duettando fino a marzo con la Narnese di Tobia: l’ossatura di una squadra già forte e’ arricchita dal talento di Parisi e dalla sostanza di Martinetti, con i fiori all’occhiello di Caracciolo a centrocampo e Pino Lorenzo in attacco. 

E’ il 22 marzo 1998 quando il Gubbio, prima formazione in Italia, festeggia un po’ come il Bayern in questi giorni, il suo scudetto: batte la Colligiana con una doppietta di Pino Lorenzo e riconquista, con 8 turni di anticipo, la C2 a distanza di 6 anni.
Quello stesso gruppo, quell’ossatura, quella dorsale costruita da Sfrappa, l’anno dopo, sempre con Acori, arriverà a sfiorare i play off, sfuggiti solo all’ultima giornata contro la Viterbese di Baiocco e Liverani e di un patron Gaucci poco incline a regalare qualcosa ai rossoblù.


Sfrappa resterà a Gubbio fino alla stagione 2000/2001, con le gestioni tecniche di Donati e Dal Fiume e una squadra che proprio negli anni in cui le aspettative crescevano finì per andare un po’ al di sotto delle stesse. Qualche inciampo che non appannò anche a distanza di anni il lavoro di Domenico Sfrappa, un perugino a Gubbio, un manager che poi anche a distanza di anni, continua ad essere ricordato. 
Come uno dei protagonisti di quel biennio, che portò il Gubbio dalle polveri di Campitello all’altare dei professionisti.


Rubrica "Il Rosso e il Blu" - da "Fuorigioco" del 8.4.13

giovedì 11 aprile 2013

La lezione che ti lascia una sconfitta... è il primo passo per tornare a vincere

La lezione che ti lascia una sconfitta... è il primo passo per tornare a vincere.
Può sembrare una frase banale. Ma non lo è. Perchè è molto più facile dirlo, che applicarlo. Più semplice predicarlo che eseguirlo. Più immediato pensarlo che metterlo in atto.
Ci pensavo ieri sera, dopo la sconfitta della Juventus con il Bayern Monaco. Finalmente qualcuno che perde e non grida allo scandalo, ai complotti, alla dietrologia professionale.
Si ammette che, sì, l'avversario era più forte, più bravo, più completo in ogni reparto. E ha meritato.
Capire dove si sbaglia, o capire dove si deve migliorare, ammettere che qualcun altro ha meritato di prevalere, o che la ragione sta dalla sua parte, è un gesto apparentemente naturale, ma in realtà sempre più raro nella nostra quotidianità. Eppure è da lì che si riparte per fare meglio, per correggere gli errori, per crescere di qualità, per alzare il ritmo e - qualunque sia l'ambito del proprio operare - accrescere il risultato.

Prendiamo la politica, prendiamo l'attuale scenario pseudo-parlamentare (pseudo, dal momento che le Camere sono off line per assenza di segnale governativo e in attesa di riunirsi per nominare il nuovo Capo dello Stato): dopo le elezioni nessuno che abbia fatto un minimo di autocritica sul proprio operato. Se è vero che dalle urne sono uscite di fatto "tre minoranze", ci sarebbero dovuti stare almeno due leader (se escludiamo Grillo il cui exploit e la cui prosopopea rende improbabile una valutazione simile) che avrebbero dovuto ammettere: "Signori, qualcosa non era andato come doveva, ebbens ì, abbiamo "toppato"!". Giusto allora, e inevitabile, fare un passo indietro. Non per perorare chissà quale altra causa, ma per rispetto degli elettori (tutti) e dei problemi del Paese. Niente di tutto questo.
Bersani è ancora lì a traccheggiare sperando che qualcosa si muova nella sua direzione (magari un nuovo Presidente della Repubblica meno esperto e meno lungimirante di Napolitano... chissà...), Berlusconi è ancora lì, ancor più conscio della propria insostituibilità per tenere in vita il PDL (il che, per gli elettori dello stesso, non è una buona notizia).
Morale, non hanno vinto ma non hanno la minima intenzione di farsi da parte.

Chi prova a dire qualcosa di alternativo (e sensato) viene bollato quasi come un "eretico" (con una certa stampa di partito a far da censore): nel centrodestra si sono volatilizzati ancor prima delle urne (Cattaneo da Pavia), nel centrosinistra pur sostenuto da sondaggi incipienti, c'è Renzi che ormai rischia la "sindrome da accerchiamento condominiale".

Purtroppo non appartiene alla nostra cultura capire quando è il momento di "fare un passo indietro". Sono gli altri che devono dirtelo, e il più delle volte è necessario che qualcuno (o qualcosa) ti sbatta in faccia quella che è la realtà. Una sorta di schiaffo salutare che, sì, a quel punto, rende l'idea e sintetizza il concetto. E talvolta non basta neppure questo...

In un contesto simile, le avventure (o disavventure) sportive rappresentano non solo una facile metafora, ma un vero e proprio fronte esemplificativo, da cui anche in altre aree del vivere sociale sarebbe opportuno trarre ispirazione.
Altri due esempi: Federica Pellegrini è uscita malconcia da un'Olimpiade che l'avrebbe dovuta vedere tra le protagoniste assolute del ranking mondiale. Delusione totale. "Ho sbagliato tutto!" ha ammesso a Londra senza nascondersi dietro qualche pretesto.
Oggi si è ritrovata, rinnovandosi nello stile (dorso) e riconquistando quel livello di performance che appartengono ai suoi momenti migliori.

Sulla stessa strada sembra avviato anche Valentino Rossi. Il suo matrimonio all'italiana con la Ducati non ha mai funzionato: troppo sofisticato lui, troppo altezzosa lei, più che un lui e un lei, due primedonne che difficilmente avrebbe potuto "dialogare". E l'idillio è durato lo spazio di una conferenza stampa. Dopo 9 titoli mondiali, qualcuno mollerebbe pensando che in fondo non c'è più nulla da dimostrare. Rossi no, Rossi ha capito di aver sbagliato, ha fatto un passo indietro (e due avanti) tornando nella culla dove aveva maturato i suoi successi più esaltanti (che poi si chiami Yamaha può dispiacere da campanilisti, ma è così...). Non sappiamo se ritroverà anche le vittorie ma gli è bastato un GP per ritrovare se stesso.
Non è poco. Non sarebbe male se qualcun'altro, in altre stanze, comprendesse la lezione...


martedì 9 aprile 2013

L'attualità di Margaret Thatcher: raccontata a "Link", da Antonio Caprarica, pochi giorni prima della sua morte

La chiamavano Lady di ferro. La storia la consegnerà ai suoi libri con la frase: "La signora non torna indietro".  Margaret Thatcher si e' spenta anche se di fatto era scomparsa da anni dalle scene politiche e dalle cronache.
Vittima di una forma incipiente di demenza senile, il primo ministro inglese che dal '79 al '90 ha guidato autorevolmente una delle più grandi economie dell'Occidente, erede del più grande impero mai esistito nella storia, ha segnato un'epoca. Lo dimostrano i neologismi che individuano il periodo del suo governo come "l'era Thatcheriana" e le sue strategie politico-economico con la definizione "Thatcherismo". Lo confermano le polemiche che improvvisamente si sono riaccese dopo la sua morte.
Raramente si era vista l'opinione pubblica britannica e internazionale dividersi così per un defunto. Forse solo lady Diana aveva scatenato reazioni simili, ma in quel caso, in quel 31 agosto '97, era la dinamica di una tragedia a toccare, scuotere, dividere. Stavolta e' la statura del personaggio, che da qualunque punto di vista si guardi, non lascia indifferente.
Tipico dei grandi della storia: o li ami o li detesti, difficilmente ne resti indifferente.

La curiosità temporale, stavolta, e' semplicemente legata alla mia trasmissione, "Link".
Perché appena 3 giorni prima che venisse a mancare - dopo essere stata lontana dalle scene pubbliche ormai da anni - Margaret Thatcher (che all'anagrafe si chiamava Margaret Hilda Roberts, ma che ha sempre indossato il cognome da sposata, appunto Thatcher) era stata a sul modo protagonista dell'ultima puntata della stagione del talk show di Trg.
Insieme ad Anna Maria Romano, che da studio ha coadiuvato nella rubrica "Link in Biblioteca", appena giovedì scorso, abbiamo intervistato telefonicamente Antonio Caprarica, corrispondente da Londra per il Tg1 e autore del libro: "Ci vorrebbe una Thatcher", un titolo che ha chiaro riferimento alla disastrata situazione politico-economica del nostro Paese.
E Caprarica, nel presentare il suo libro - mai tanto inconsapevolmente attuale - ha tratteggiato sapientemente il profilo della "figlia del droghiere", con la capacita affabulatrice che già avevo apprezzato in occasione della presentazione a Gubbio del suo libro "La classe non e' acqua" dedicato alle bizzarrie e alla forza imperitura dell'aristocrazia inglese.

Ebbene la Thatcher non faceva parte di questo mondo. Era la "figlia del droghiere" come sprezzatamente veniva etichettata nei salotti della City (e dalla stessa regina Elisabetta II). Di questo la Lady di ferro non si e' mai preoccupata.
Come non ha ceduto di un centimetro quando ha dovuto affrontare un pesante braccio di ferro con i minatori del South Yorkshire. Attaccati si' al proprio lavoro ma anche alla sopravvivenza di siti ormai improduttivi. Oggi fa un po' senso vedere alcuni suoi "avversari politici" addirittura stappare champagne alla notizia della sua morte (direi avvilente l'immagine, che sul piano squisitamente morale non è poi così lontana dai linciaggi cruenti di Gheddafi).
Le sue politiche "rigorose" negli anni si sono rivelate durissime ma anche rigeneranti per un'economia come quella britannica messa davvero male in quel periodo (un po' come la nostra oggi).
Thatcher significa rigore, significa impopolarità e lungimiranza, significa seminare per far si che il Paese si avvii ad una svolta. Magari anche a costo che altri premier raccolgano i frutti del proprio lavoro (Tony Blair, ad esempio, che non a caso seppur da leader laburista anni Novanta, ha avuto parole di rispetto e riconoscimento alla Thatcher).

La Lady di ferro a bordo di un carro armato
Una lezione molto attuale, anche per il nostro Belpaese, anche nel nostro piccolo, anche e soprattutto per una classe politica ossessionata dalla cultura del consenso e poco incline a scelte coraggiose (da quanti anni si parla di riforme strutturali puntualmente rinviate al mandato successivo?) e magari poco redditizie sul piano elettorale.
"Ci vorrebbe una Thatcher", è il titolo del libro di Caprarica. Non proprio un giornalista di destra, men che meno vicino agli ambienti moderati, ma come da lui stesso ammesso nell'intervista a "Link" - che potete riascoltare qui nel riquadro video - figlio di una tradizione di sinistra (Paese Sera), di una stampa vicina all'antico PCI ma oggi sufficientemente matura per comprendere che a distanza di decenni le ideologie - e soprattutto quelle ispirate ai totalitarismi - non solo non hanno più motivo di cittadinanza, ma non possono certo rappresentare il benchè minimo riferimento per chi ha a cuore il futuro delle nuove generazioni.

In basso: clicca per rivedere il segmento di "Link" con l'intervista telefonica ad Antonio Caprarica.





sabato 6 aprile 2013

Non basta il miglior Gubbio. Ma basta con le teorie del complotto...


Tutti in fila appassionatamente... ma è solo un corner
C'e poco da fare. Non basta una delle migliori prestazioni della stagione. Non basta un primo tempo ai limiti della perfezione, nonostante sviste arbitrali e una condotta del direttore di gara molto discutibile. Non basta una rimonta trascinante guidata ancora una volta da un Galabinov di categoria superiore. Non basta un pubblico che ha sostenuto dall’inizio alla fine la squadra di Sottil.
L'Avellino alla fine la spunta 3-2, lo stesso punteggio con cui il Perugia a fine gennaio aveva fatto suo il derby del Barbetti, lo stesso cinismo proprio delle grandi squadre, cui non serve giocare bene quando ha elementi in grado di decidere le partite anche dopo esserne stato praticamente spettatore per 80'. E' il caso di Luigi Castaldo, uno che già lo scorso anno in B in maglia Nocerina sapeva far la differenza, figuriamoci in C1 con un complesso proporzionalmente ancora più robusto per la categoria. E allora intanto omaggio e chapeau ad un gol che di rado si vede in queste categorie, per coordinazione, capacita balistica e, perché no, anche coraggio: l' avesse fatto in Champions League Castaldo si sarebbe guadagnato le sigle di mezza Europa.
Detto questo e riconosciuto l'indiscutibile valore dell'undici irpino, due altre annotazioni meritano di essere fatte su questa seconda sconfitta di fila in casa, che certo complica e non poco la corsa alla salvezza – anche se i risultati della domenica hanno attenuato la delusione.

Baccolo agganciato in area dopo 20": un giallo
che finirà con un altro giallo (a Baccolo) - foto Signoretti
Punto primo l'arbitraggio non ci e' piaciuto affatto, a cominciare dal rigore solare negato a Baccolo in avvio, con possibile rosso ai danni di D'Angelo. Ma se una squadra non subisce rigori da un anno e ne ha avuti a favore 13 un che ci sarà. Capita a molte capoliste in tutte le latitudini. 
Detto questo, e' altrettanto indiscutibile che il Gubbio abbia anche messo del suo nella rimonta avellinese. Nella ripresa il centrocampo brillante e poderoso del primo tempo, e' calato vistosamente ma il primo cambio e' arrivato solo alla mezz'ora e con l'ingresso di un giovanissimo Cocuzza che poco poteva offrire alla causa e al pacchetto più in sofferenza. Galabinov ancora una volta corazziere, ha cantato e portato la croce, ma non avremmo visto male un Sandreani in campo in una gara così anche solo nella ripresa. 

Invece il capitano si e' alzato solo per andarsene sotto la doccia, espulso per la prima volta in 13 anni rossoblù quando era in panchina (anche perché in questo lungo periodo a sedere c'e stato ben poco). La gestione e la tempistica dei cambi insomma non ha aiutato, come invece era parsa azzeccatissima la scelta dell'undici iniziale, compreso il recupero di Guerri, forse fin troppo in naftalina nelle scorse settimane e puntualmente tornato a timbrare davanti la porta.
Infine, permetteteci una conclusione: sentire ancora una volta sbandierare il nome di Farina come motivo di presunti boicottaggi di Lega e mondo arbitrale ha francamente stancato e non fa onore ne' all'immagine della società (che dovrebbe solo onorarsi di avere avuto nelle sue fila un giocatore così e non prenderlo a pretesto per le proprie disavventure) ne' e' molto lungimirante in vista di una possibile stangata dopo il burrascoso finale di gara. Se il Gubbio visto con Perugia e Avellino, fosse stato in campo almeno un solo quarto d'ora nelle gare con le ultime 4 della classifica, di certo i rossoblù avrebbero una classifica ben diversa. Con buona pace di dietrologie e complottismi. Non saranno certo questi a salvare il Gubbio nelle ultime 4 giornate…


Copertina di "Fuorigioco" di lunedì 8.4.13
musica di sottofondo: "Ogni volta" - Vasco Rossi 

giovedì 4 aprile 2013

Aspettando l'Avellino, un flash back insieme all'ex De Angelis...


Alla faccia di chi dice che non esistono più le mezze stagioni. Non è così per Gianluca De Angelis, cui ne è bastata una (di mezza stagione) nper lasciare il segno nella storia rossoblù. 
E' stato tra i bomber più prolifici dell'ultimo decennio in maglia eugubina: ma ha giocato praticamente dal gennaio 2005 al dicembre 2006. Il tempo di mettere dentro la bellezza di 16 gol, con 5 allenatori diversi, una qualificazione play off sfuggita di qualche minuto e un maledetto infortunio in un derby contro il Foligno che gli è costato anche il futuro con la casacca rossoblù. 
Ora torna da avversario, ed è la prima volta per lui al "Barbetti". Da avversario e da capolista, perchè l'Avellino ha preso la leadership del torneo e sia per blasone che per organico ha tutta l'intenzione di non mollare lo scettro. Neanche di fronte al ritorno prepotente di un Perugia che sta inanellando una serie impressionante di risultati con Camplone che prefigurare un clamoroso sorpasso in vetta non è neanche così peregrino.
E De Angelis - ragazzo timido, quasi titubante, un po' come l'accenno di balbuzie in ogni intervista lascia trapelare - in campo è sempre riuscito a farsi capire benissimo. Dai compagni di squadra ma anche dagli avversari. Il Gubbio è stato il suo vero trampolino di lancio tra i professionisti. 

Con la squadra affidata a Castellucci è andato per la prima volta in doppia cifra. Il tutto da gennaio a giugno 2005: arrivato nel mercato di riparazione, si presenta con un gol da 3 punti a Tolentino e in casa il debutto dal 1' è segnato da una doppietta ai danni del Castel San Pietro. L'uomo in più in una squadra che già contava un'intelaiatura di tutto rispetto per quella C2, forte dell'esperienza di Tresoldi o Sandreani, con   gli emergenti Marchi e Coresi in prima linea e un'escalation - grazie anche alle reti di De Angelis - che porta il Gubbio a giocarsi i play off all'ultima giornata a Castel San Pietro. Il sogno di approdare agli spareggi per il terzo anno di fila sfuma in terra bolognese, ma De Angelis - che segnò anche in quella gara - aveva fatto il suo con reti pregevoli, anche per balistica e senso del gol. Memorabile il guizzo che al 92' regalò ai rossoblù il derby sul Gualdo, in una gara recuperata a metà settimana ma con un pubblico da domenica piena. O il gol infilato alla capolista di quel campionato, la Massese, battuta al San Biagio all'apice della rincora in alta classifica. 

L'anno dopo è ancora lui ad aprire la stagione con il primo gol della squadra di Castellucci contro la Spal, nel vittorioso 2-1. Ma i suoi timbri sono sempre da pedigree di tutto rispetto anche per il blasone delle vittime o per la caratura del match. E' De Angelis che a fine ottobre apre la goleada sul Foligno (finirà 3-0 con le reti degli eugubini Ercoli e Gaggiotti), mentre a gennaio sempre lui a griffare la vittoria esterna del Gubbio al Del Conero di Ancona, e a infilare la quotata Reggiana nell'1-1, siglato dal dischetto, che sarà anche il suo ultimo gol nel Gubbio. Nel derby di ritorno al Blasone la rottura dei legamenti del ginocchio chiude la stagione e di fatto anche il feeling tra De Angelis e il rossoblù. 

Il torneo successivo, quello iniziata da Cuttone e chiuso da De Petrillo, vedrà De Angelis rientrare faticosamente dall'infortunio: si rivede proprio contro il Foligno nel derby andato ai falchetti di Pagliari (che poi vinceranno il campionato), a gara in corso, e in tutto il girone di andata collezionerà solo 1 presenza dal 1'. E' lontano il De Angelis vero, tornerà tale negli anni a seguire in maglia Melfi, Juve Stabia e nelle ultime tre stagioni ad Avellino. 

La sua ultima presenza in rossoblù in un vittorioso Bellaria-Gubbio di fine dicembre 2006, proprio nell'esordio di De Petrillo in panca: vincono i rossoblù grazie a Rodio, vittoria che si rivelerà effimera visto che la stagione resterà anonima. In questa gara entreranno tre giocatori nell'ultimo quarto d'ora: nel Gubbio, Gianluca De Angelis, nel Bellaria Juanito Gomez ed Emanuele Giaccherini.
Come dire: nel calcio non solo esistono le mezze stagioni, ma anche gli incroci predestinati.


Dalla rubrica "Il Rosso e il Blu" della trasmissione "Fuorigioco" del 25.3.13

martedì 2 aprile 2013

Gubbio-Fonte Avellana: una giornata da... ripercorrere

Lungo il sentiero ai piedi del Catria, poco prima
di scendere a Isola Fossara
Ne avevo sentito parlare. Non ricordo chi, ma qualcuno mi aveva raccontato di questa giornata. Spossante, interminabile ma gioiosamente intensa.
E allora ho voluto provare. L'ho fatta anch'io.

La camminata di Pasquetta, Gubbio-Fonte Avellana. Un percorso non da poco, 30 km a piedi, attraverso i primi crinali appenninici che dividono il fronte umbro di nord-est con le Marche. Ripercorrendo le orme di S.Ubaldo - che da Gubbio a Fonte Avellana si diresse in un momento cruciale della propria esistenza. Insieme ad una compagnia folta, inizialmente quasi riservata ma chilometro dopo chilometro sempre più affiatata.
E così ci siamo ritrovati una quarantina (poi diventati quasi una cinquantina cammin facendo) intorno alle 7, dalla chiesa della Vittorina.
Che già di sè ispira, in fatto di passeggiate a lunga gittata.

Il raduno alla Vittorina
Una rigida mattina, "diversamente primaverile", ci faceva da sfondo con la sorpresa di un cielo quasi sereno, dopo le piogge poco rassicuranti della giornata pasquale (e le previsioni funeste). Lo zaino in effetti era più una sommatoria di indumenti da "leggere attentamente le avvertenze" che non un effettivo bagaglio. Immancabile kee-way, ricambi essenziali (maglia salute e calzini di cotone, i più adatti ad evitare vesciche e arti congeneri), tre barrette energetiche più un frugale quanto sostanzioso panino e la borraccia d'acqua, unico reperto reduce dalla "quattro-giorni bianca" in Val Pusteria.
L'abbigliamento altrettanto essenziale, con una maglia di cotone pesante a manica lunga sopra un'insostituibile polo-salute, il tutto sovrapposto da una ulteriore manica lunga in pail (che come dico sempre, almeno finchè non sudi, fa morale e classifica).

"Se diluvia non vado" mi ero detto la sera prima, quasi per tranquillizzarmi. Ma non ho neanche aperto la finestra per vedere le condizioni del tempo. Sono uscito e basta. Avevo voglia di farmi pungere, fin da primi passi scendendo da via Fabiani, da quell'aria frizzantina e avvolgente che sembrava quasi invitarti d un qualcosa di inedito. Un vernissage primaverile in mezzo all'Appennino. Di giri, di camminate forzate sopra le 5 ore, ne avevo già fatte (Gubbio-Assisi in due giorni, il tour del monte Cucco in 8 ore). Ma stavolta aveva tutta l'aria di offrire un sapore diverso.

Sulla scalea della Basilica di S.Ubaldo
Intanto la compagnia. Numerosa ed eterogenea: amicizie o semplici conoscenze (o nessuna delle due) che ti consentono di svariare anche gli argomenti in corso d'opera, senza doverti per forza fossilizzare con il fatidico trittico CCP comunque inevitabile (Ceri - visto il periodo e anche la presenza del capodieci di San Giorgio, Calcio - affiorato solo in rari momenti, i cosidetti "intervalla insaniae" di leopardiana memoria, Politica - emersa per altro solo dopo la quinta ora di cammino, per evidenti segnali di carenza energetica e primi sintomi di insofferenza).

Poi la destinazione. A Fonte Avellana, mi vergogno un po' ad ammetterlo, non andavo credo dai tempi dell'infanzia. E mi incuriosiva non solo ripercorrere le orme del Patrono - come saggiamente ha intitolato l'iniziativa il suo promotore originario, Marino Rossi - ma anche arrivare all'eremo di cui avevo potuto saggiare di recente le immagini e soprattutto l'infinita profondità di pensiero dei suoi priori (Barban in testa).

Infine il paesaggio: che è poi il leit motiv che ti accompagna per le 7 ore di cammino. Mi chiedevo come saremmo potuti arrivare a destinazione, quali sentieri avremmo percorso, che remote stradine avremmo potuto imboccare. Temevo di dover coprire gran parte del tragitto lungo l'asfalto: che per la verità ci è toccato ma solo marginalmente, per un paio di chilometri prima e dopo Scheggia e per qualche altro centinaio di metri dopo Isola Fossara. Il resto nei boschi, nei viottoli pre-appenninici di Villamagna, con un po' di fango addosso, qualche scarpata un po' aspra, ma un sole timido a fare capolino ogni tanto, quasi per rassicurarci che la temuta pioggia non sarebbe arrivata. E una miriade di aneddoti, catturati qua e là dai compagni di ventura, a fare da cornice.

Tra le vedute più suggestive, poi, accanto a quella della catena appenninica che si scopre di fronte a Scheggia, agli scorci che offre il sentiero ai piedi del Catria per giungere a Isola Fossara (che vista dall'alto appare ancora più minuta di quanto già non sia), su tutti ne ho immortalato uno: l'affiorare dell'eremo una volta coperta una lunga e faticosa salita in mezzo ad un bosco un po' impervio, un po' accidentato, un po' spettrale - per la pesantezza delle gambe dopo le 6 ore precedenti e per il fatto di non prendere contatto visivo con la meta.
Poi una volta scoperta, rivelatasi, apparsa quasi magicamente, Fonte Avellana, l'ultima ora mi è parsa davvero... in discesa. Una discesa molto simile a quella che si gode di fronte ad un altro eremo (quello di monte Cucco detto anche S.Girolamo), e ugualmente appagante.

Ma la vera sorpresa, dopo 7 ore e mezza di cammino, è arrivata dopo. E forse non casuale.
Rifocillatisi con un bella grigliata di carne (anche questa grazie alla regia dei fratelli Rossi, coadiuvati nell'occasione anche dal sopraggiunto "babbo del capodieci") nell'accogliente foresteria di Fonte Avellana (praticamente colonizzata dal gruppo eugubino), mi aspettavo di crollare dalla stanchezza.
Ed invece no. Mi è sembrato quasi che una carica di energia fosse sopraggiunta al termine di questa fatica. Una sorta di "premio finale" per l'avventura vissuta.
Un bagno caldo e, tempo un'ora, mi sentivo talmente rilassato e rigenerato dalle immagini, dalla naturalezza di questa esperienza, dal gusto di condividerla con tante persone, che ho avuto come la sensazione che in realtà la fatica fosse scomparsa: o che forse sia un sottile e illeggibile meccanismo mentale, il più delle volte agitato e messo in moto dalla noia. O peggio ancora dalla routine quotidiana. Quella sì, più spossante di un dirupo.

La chiave per superarla sta proprio nel riuscire a ritagliarsi una nuova esperienza.
Inaspettata. Che ti permette di godere del bello che ci circonda - e di cui apprezziamo sempre e comunque una minima parte. Ti fa sentire, perchè no, fortunato. Di una giornata così. Unica e certamente da ripetere. Anzi, da ripercorrere...