Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 31 ottobre 2013

I 40 anni dello stemma della Regione. E le parole del Commissario: tecnicamente appassionate...


Il video realizzato per i 40 anni dello Stemma della Regione dell'Umbria


"Permettetemi di iniziare il mio intervento esprimendo i sentimenti di profondo orgoglio e onore nell’essere chiamata a rappresentare l’Amministrazione Comunale e l’intera città di Gubbio, in questa prestigiosa cerimonia, di ricorrenza e celebrazione dello stemma regionale che, proprio oggi, compie 40 anni".

Ha aperto così il suo intervento, il Commissario prefettizio di Gubbio, Maria Luisa D'Alessandro, ieri mattina a Palazzo Cesaroni, nel corso delle celebrazioni dei 40 anni dello stemma della Regione, che raffigura i Ceri di Gubbio. Un incipit non consueto, perchè già da queste prime parole traspariva un senso e una partecipazione che non appartengono, in genere, a chi riveste un ruolo semplicemente tecnico.
Ero appoggiato ad una colonna della Sala Brugnoli, e man mano che questo intervento proseguiva, cercavo di mettermi seduto: quasi avessi bisogno di ascoltare meglio, con più calma, con maggiore riflessione quello che non era un semplice saluto di protocollo. Ma un'accorata e forte manifestazione di... identità civica.
Parli di un vice prefetto, dici Commissario prefettizio, e ti immagini una figura sobria, algida, al limite dell'impassibile, venuta in città per sbrogliare la matassa amministrativa che l'incapacità politica, gestionale e amministrativa del passato Consiglio e della defunta Giunta non ha saputo dirimere. Senza nessun accento, senza nessuna sbavatura, senza alcun riflesso di una qualche forma partecipativa a quello che è l'humus e l'humanitas della comunità di cui si è - in questo caso davvero pro tempore - rappresentanti.
E invece... Invece ti trovi di fronte una signora - in tutti i sensi - che non solo utilizza la parola con eccellente appropriatezza, garbo e misura (come nel ruolo che le impone) ma che sa affiancare a tutto questo una capacità espressiva, un pathos e un senso di appartenenza assolutamente insospettabili. Non tanto per la persona, quanto per il ruolo che non lo richiederebbe nè lo lascerebbe immaginare.

Ho avuto alcune occasioni per parlare con la dott.ssa D'Alessandro, principalmente dei tanti problemi di questa nostra "sgangherata" comunità. Una città dalle straordinarie potenzialità inespresse (o forse, di questi tempi, depresse) che alterna momenti di orgoglio e di intensità, a periodi di devastante apatìa. Ho sempre apprezzato nel Commissario la forte volontà, molto femminile, di dare concretezza al suo incarico. E di favorire un risveglio, partecipativo, partendo dal dialogo con i cittadini, dal coinvolgimento delle associazioni, dalla consapevolezza che solo il "noi" potrà tirarci fuori da queste sabbie mobili. Non uso a caso questa espressione.
Perchè è propria dell'intervento di ieri del Commissario. A proposito di Ceri.
Ecco, questo 30 ottobre 2013 dovremmo ricordarcelo non tanto per quello che ha solennizzato - i 40 anni di uno stemma che è stato anche il simbolo di una scelta, di una volontà, di una identità che allora il legislatore regionale volle darsi. Ma soprattutto per quello che deve essere sentito ancora oggi come attuale, come vivo, come pulsante.
L'energia che esprime questo simbolo - i Ceri - rappresenta l'energia e il segreto di una comunità. Che quando vuole sa rialzarsi, sa reagire, sa opporsi all'evolversi degli eventi. Al succedere magari poco fausto (come il presente), proprio trovando quella coesione e quel sentire corale che è riflesso dell'anima della Festa. E che dev'essere la strategia per ripartire dopo il buio di questi mesi.

Già sentir pronunciare da un Commissario prefettizio la parola "orgoglio", in quell'incipit computo e formale, mi ha dato un senso a tutto il discorso che ne è seguito: mi sono detto che forse c'è chi in pochi mesi, ha capito di Gubbio cose che qualche eugubino ancora non comprende. O non sa di ignorare. Pur essendo nato e vissuto qui da decenni.
Ma sono anche altre le parti del suo discorso che mi hanno raggiunto, mi hanno colpito. Mi hanno fatto capire quale formidabile spirito contagioso questa città riesce ad ispirare, anche agli occhi di chi non avrebbe altro da svolgere se non un ruolo burocratico.
E quanto di questo spirito ci vorrebbe invece in chi, questa città, vive e conosce da tempo ma non allo stesso modo è in grado di rappresentare. O anche solo di animare.
Per chi verrà, tra qualche mese, il suggerimento è di leggersi almeno una volta queste parole. Per ritrovare il senso di ciò che si rappresenta, di ciò per cui si riceve un mandato, di ciò di cui si è deputati a fare.

"I Ceri di Gubbio - ha scritto e detto il Commissario - sono espressione di una comunità intera, che si riconosce in una tradizione millenaria, ma di palpitante attualità ed estremamente identitaria, non solo nel cuore degli eugubini, ma nel piú grande cuore umbro.
Una tradizione millenaria, capace di esprimere valori universali e duraturi nel tempo, tanto da essere, appunto, assurta a simbolo identitario del popolo umbro.
Permettetemi di sottolineare come il compito affidatomi sia non solo graditissimo ma anche emozionante ed impegnativo, di alta responsabilità al punto da suscitare in me sentimenti di inadeguatezza.
Penso che un ‘primo cittadino’ eugubino doc e magari ‘ceraiolo’, sarebbe stato, in questa circostanza, più adeguatamente e degnamente rappresentativo. Ma, tenendo conto della coincidenza storica che mi ha portata a svolgere il compito di Commissario Straordinario, ho intuito che forse uno sguardo esterno a questa festa secolare e radicata capillarmente nella genetica di ogni persona, potesse rendere ancora più omaggio ai Ceri, che sin dall’anno della morte del suo Patrono Ubaldo, ovvero dal 1160, identificano la Comunità".

Nei numerosi incontri avuti con i cittadini - prosegue la D'Alessandro - ho percepito da subito che quel 15 Maggio è innanzitutto un rapporto personale con la Festa e con il Patrono, che è vissuta tutto l’anno, attraverso le tappe che portano al fatidico giorno di Maggio, ma, soprattutto, ho capito che ogni eugubino sente nell’animo il peso di una tradizione secolare e che, nello stesso tempo, naturalmente e con fierezza, esige che sia mantenuta in ogni minimo dettaglio perché ogni
singolo aspetto compone lo spirito di devozione, preghiera ed allegria che i Ceri portano con
sé.
Ho intuito subito che, non solo in quel giorno, ma in ogni momento dell’anno in cui si parla
di Ceri, può essere anche un grigio pomeriggio di Ottobre, brillano gli occhi degli Eugubini,
si alza il timbro della voce e ognuno si sente ‘re’ della Festa senza distinzione di censo, di
aspetto o d’età.

Che cos’è che la rende unica?
In realtà, parlando con gli Eugubini,  si comprende benissimo che ciò che rende incorruttibile ed eterna questa Festa non è se un Cero è caduto o se uno ha distanziato di molto l’altro, cose in verità anch’esse importanti, ma è il sentirsi popolo e il rinvigorire la propria identità grazie ai Ceri.
Non importa, infatti, nemmeno se l’origine di questa secolare manifestazione possa essere addirittura antecedente alla morte di S. Ubaldo e quindi poter avere origini pagane legate alla rinascita della Primavera, ma finché ci sarà un IO che si trasforma in NOI la festa dei Ceri continuerà a essere unica, coinvolgente, affascinante e difficilmente catturabile in schemi e regole.
La magia dell'io in noi, quindi l’unione di un popolo in tutte le sue differenze e peculiarità, è ciò su cui mi preme porre l’accento, in un mondo spesso votato all’esaltazione del singolo, perché è l’elemento straordinario che permette, con fierezza, alla Regione Umbria di essere rappresentata nel suo immenso cuore fatto da cittadini onesti, tradizioni vissute e rispettate e da un retroterra di religiosità che è possibile percepire in ogni singolo centimetro della nostra regione.

I ceri mezzani, in mostra, a Palazzo Cesaroni
A Gubbio mi hanno detto:“ Signora, non si preoccupi tanto poi arrivano i Ceri” come se i Ceri fossero una medicina a qualsiasi malattia o piaga sociale ed anche facendomi intuire come qualsiasi decisione presa, in un momento di straordinaria amministrazione, non incidesse sulla città, perché tanto poi ci sono i Ceri, l’unica cosa che conta e che permette alla città di essere sempre e comunque se stessa.
Ho capito proprio dalla storia quanto sia forte l’attaccamento viscerale degli Eugubini alla propria terra e per quanto la caratterizza, il bisogno di sentirsi protagonisti e fratelli, parte integrante di un progetto che è anche un modello di vita, che tutti accomuna e tutti coinvolge.
I Ceri sono una grande sinfonia sociale” dice il Vescovo Bottaccioli “non è lo sforzo isolato di qualcuno che li fa volare verso la meta, ma la sinergia di tutti: dai portatori ai braccieri, da chi corre avanti acclamando, dagli anziani e dai malati che dalle finestre incoraggiano”.
E’ questo ciò che permette a ogni persona che entra in Gubbio di percepire la straordinarietà di questa Festa e di iniziare, da subito, la ricerca delle ragioni che la alimentano, spesso accorgendosi che la ricchezza e la complessità di una festa come questa sfugge da tutte le parti, si ha l'impressione di non dire niente o, peggio, che le parole falsino la realtà nel tentativo di afferrarla.


Citando un articolo di Raniero Regni, il Commissario ha concluso: "Finchè ci sarà una donna, testimone non escluso e partecipe, che piangerà da una finestra nel vedere la corsa; finché ci sarà un uomo il cui cuore batterà, più forte e più puro, per l'emozione di entrare sotto la stanga; finché un bambino sentirà l'ansia di emulare proprio padre ceraiolo, fino allora il 15 Maggio sarà ancora, per sempre, il 15 Maggio
In questi pochi mesi da rappresentante della città di Gubbio ho sentito profondamente vere queste parole che meglio di ogni altro mezzo tentano di descrivere secoli di storia, amore, devozione, sudore e trepidazione incarnata in ogni singola pietra di Gubbio.
Ecco perché la felicità di essere qui oggi supera la paura di non essere all’altezza di esprimere l’orgoglio di una città che si trova impressa sullo stemma della propria Regione; la gioia di aver sperimentato e quindi garantire come i tre Ceri escano dal significato materiale per abbracciare ed esprimere valori di cui la comunità umbra va fiera quali la libertà, l’uguaglianza, l’onestà e il senso di appartenenza.
Ed è per questo che, infine, ribadisco con forza e chiedo anche l’autorevole intervento istituzionale, che la Festa dei Ceri venga riconosciuta ‘patrimonio immateriale dell’umanità’ e inserita nelle manifestazioni degne di rappresentare la memoria imperitura e la nostra stessa civiltà".


Non sono parole di circostanza. Non sono aggettivi utilizzabili e adattabili ad ogni evenienza e per ogni comunità. Non è un discorso da Commissario prefettizio.
Tutto questo è Gubbio. Ciò che ispira, ciò che contagia. Anche in chi, quotidianamente, ha a che fare più con i difetti, le lacune, le mancanze della città.
Tra qualche mese però toccherà agli eugubini, alla loro capacità di fare quadrato (anzichè di dividersi), di guardare oltre (anzichè di trincerarsi nel passato), di pensare in grande (anzichè di accontentarsi del proprio piccolo). Toccherà a loro, saper tradurre in senso civico, in partecipazione, in costruttività, le energie (contagiose) che anche in pochi mesi il Commissario ha saputo conoscere, identificare, decriptare ed esprimere in modo così appassionato, in questa giornata storica.
Solo in questa misura potremo dire che la crisi può rivelarsi un passaggio fisiologico di crescita.
Solo così, con questo spirito, Gubbio potrà sperare davvero di venir fuori dal tunnel...

mercoledì 30 ottobre 2013

30 anni scout... per sempre scout. Flash di un fine settimana speciale...


Per una volta mi piace lasciar parlare le immagini. Potrei scrivere tanto (sicuramente troppo) sfogliando l'album della memoria, su aneddoti e ricordi di un'esperienza che considero unica e inimitabile sul piano umano ed educativo.
"Basta guardare il sorriso di un lupetto di ritorno da una giornata vissuta insieme ai suoi coetanei, per capire che lo scoutismo avrà sicuramente un grande futuro": parole di Elisa Pellegrini, con cui ho deciso di chiosare il video realizzato in occasione del 30ennale dello scoutismo a Gubbio.

Una frase che mi ha colpito e che, a maggior ragione, mi ispira a lasciare che siano le immagini, le foto, i volti, i sorrisi, le emozioni impresse nello sguardo dei presenti, a raccontare un fine settimana - e in particolare la serata di sabato scorso - che ha segnato le iniziative celebrative dei 30 anni dello scoutismo a Gubbio.
Se tutto questo avrà un seguito, lo vedremo. Ma a prescindere, è stato bello ritrovarsi.
Bello e significativo. Per capire che quell'esperienza ci ha lasciato qualcosa di grande dentro. E forse, inconsapevolmente, ci ha "tatuati" spiritualmente anche per gli anni che sono poi scorsi via (ahinoi) così velocemente.
Avrei voluto vedermi in faccia quando, il giorno prima del ritrovo a San Francesco, ho ritrovato in un armadio in soffitta da mia madre, una busta azzurra: dentro c'era tutto quel che cercavo, camicia, fazzolettone, le magliette del primo campo 1984 (una addirittura della Ital-leganti di Acquasparta), i golf di lana inspessita, il tutto condito da un aroma ammuffito che ha offerto quel non so che di autentico e sorprendente all'insperato ritrovamento.

30 anni sono passati. Ma anche quando ne passeranno altri, tutto il bagaglio di vissuto che il fazzolettone e la borraccia ci hanno aiutato ad apprendere, resterà con noi.
"Il nostro zaino si riempie sempre di cose nuove e importanti" ha detto Michele Pastorelli, che oggi guida il gruppo dei lupetti (dove c'è anche il mio Giovi).
Uno zaino che oggi ha ancora qualcosa in più... Queste istantanee. Piene di nostalgia ma anche di felice consapevolezza. Di essere stati (ed essere ancora oggi) parte di qualcosa di profondamente intenso... Estote parati!

P.S. Le foto relative alla manifestazione sono dell'immancabile (e insostituibile) Marco Signoretti. Le foto d'archivio - tratte dalla mostra fotografica svoltasi nei giorni scorsi - sono merito di Barbara Bernabucci.
P.P.S. Un grazie a Barbara, anche perchè l'imput di questo trentennale è nato da una chiacchierata su facebook (che talvolta fa meno danni di quanto non si pensi) qualche mese fa...


Il campo estivo a Castelluccio di Norcia - 1984

Con i "pipistrelli" in una rappresentazione... di non so cosa - 1984
La promessa, alla Cappelluccia di San Giorgio - 1984

L'inconfondibile sagoma di padre Giuseppe, un "padre" spirituale
per molti di noi - 1985

Uscita reparto maschile a Madonna del sasso - inverno 1985


Uscita noviziato, campo scout Castelluccio - 1986

Colletta squadriglie per comprare... monte Prata - 1986

Reparto Gubbio 1 al completo - Castelluccio 1986

L'alzabandiera ieri... - Castelluccio 1984

E l'alzabandiera oggi... - 2013

Lo splendido scorcio del chiostro di San Francesco
per la messa del 30ennale - sabato 25 ottobre
L'entusiasmo è rimasto lo stesso:
magia intergenerazionale...
... per poi ritrovarsi allegramente a tavola
Sotto le arcate del chiostro, tra canti e ricordi...
Non è mancato neanche l'urlo "San Giorgio",
con l'energia "particolare" di Massimo Panfili
Tavolata del gruppo scout Gubbio 1
... e la sfida (impari) con gli scout di oggi
"E' l'ora di partir, fratelli, è l'ora di partir...
il canto si fa triste ma partire è un po' morir...
ma noi ci rivedremo ancor
ci rivedremo un dì...
arrivederci ancor fratelli, arrivederci un dì..."

martedì 29 ottobre 2013

Galabinov, il corazziere bulgaro ha voglia di sfondare... I ricordi in rossoblù...




Ad Avellino hanno cominciato già a ribattezzarlo Galagol. Perchè lui, Andrej Galabinov, ci ha messo poco ad entrare a regime con i giri giusti. E a prendere possesso della maglia da titolare prima, e dell'area avversaria poi.
Un corazziere, ma con l'agilità di un cigno. Un centro boa tattico, di quei giocatori che se gli arriva la palla sai che quella resterà lì, in cassaforte, e male che vada ci scapperà un calcio piazzato a proprio favore.

Galabinov ha vestito solo un anno la maglia del Gubbio, ma sarà l'astinenza offensiva, è già rimpianto come se da queste parti fosse rimasto un decennio.
E dire che l'avvio non era stato dei più prolifici. Stenta ad avere la fiducia di Sottil e nelle prime giornate deve pagare dazio alla regola del '92.
Il primo gol arriva proprio col Pisa, dagli undici metri. Poi nella ripresa concede il bis a Sandreani, evitando di toccare la palla che il capitano deposita in rete. E sarà l'ultimo gol dell'eterno Alex. Il primo acuto su azione ha il sapore beffardo di un pallonetto chilometrico con cui uccella l'estremo difensore del Benevento.
 
La bomba di Carrara
Ad ottobre arriva anche la prima doppietta, a Carrara: un bolide per aprire i conti, e un guizzo di rapina nella ripresa, anche se la rimonta dei marmiferi strozzerà in gola il gusto del successo. Sontuosa la punizione con cui infilza la Nocerina nella vittoria dell'illusione, quella del secondo posto solitario a fine novembre, l'ultima prima del grande freddo invernale.
In mezzo i gol ininfluenti contro Catanzaro a Natale e Sorrento per l'Epifania. Un periodaccio per il Gubbio e per Andrej che insacca pure un autogol nel derby col Perugia.

La velenosa punizione contro la Nocerina
La primavera però segna il risveglio del bomber bulgaro: a Barletta propizia la prima vittoria esterna dopo la crisi invernale griffando il raddoppio, 7 giorni dopo è suo lo spunto-vittoria di testa contro il Prato e su rigore mette la firma anche sul 2-2 di Viareggio. Una vera perla è la conclusione balistica con cui azzanna l'Avellino - che non sa ovviamente che diventerà la sua prossima squadra. Un gol momentaneo, perchè poi gli irpini vinceranno, ma forse decisivo per il suo futuro calcistico.
Il carosello di prodezze si chiude a Nocera Inferiore con uno splendido stacco di testa in torsione: un gol che vale doppio, perchè regala un pari che ha il sapore della salvezza. E' il dodicesimo per lui, una cifra che non aveva mai raggiunto prima di approdare a Gubbio.
 


Una piazza che rigenera, che ispira, che toglie ruggini e inebria di ispirazione più di un bomber, come avvenuto negli ultimi anni. Galabinov è uno di questi. E ora la B può essere l'ulteriore trampolino di lancio. Magari sognando la massima serie. Come Juanito. Non a caso gli ultimi due bomber rossoblù finiti in doppia cifra...



Da "Il Rosso e il Blu" di lunedì 28.10.13
Musica di sottofondo: "Levels" - Avicii - 2012

lunedì 28 ottobre 2013

Ripensiamo al bello che ci circonda. Ripartiamo, senza muri ideologici, dalla capacità di aggregare e costruire...


"Ripensiamo al bello che ci circonda, valorizziamolo davvero, facciamo della qualità della vita di questa nostra terra un vero e proprio "brand". Non per riempirci la bocca di un facile slogan, ma per fare dell'Umbria una meta di riferimento di un turismo ricco - senza che questa parola incuta alcuna vergogna - e alla ricerca di qualità e benessere". 
Le parole sono del prof. Michele Fioroni, docente di marketing dell'Università di Perugia che, ospite alcuni mesi fa della trasmissione "Link", su TRG, ha cercato di focalizzare dove può ricercarsi il futuro sviluppo di un'area come l'Umbria che, più di altre, soffre della depressione generale e meno di altre (pensiamo alle regioni circostanti) ha le energie imprenditoriali per risollevarsi in tempi brevi.
 
Una riflessione che è tornata in mente in queste giornate di "finto autunno", nelle quali il meteo attenua parzialmente la durezza dei tempi, le difficoltà economiche, e la precarietà - molto più preoccupante nelle prospettive che non nello stesso appannato presente.
 
"Troppa invadenza del soggetto pubblico, troppi lacci e vincoli per l'iniziativa privata, già gravata di un deficit di cultura imprenditoriale rispetto ad altri territori". Questa è l'Umbria, descritta lucidamente dal prof. Fioroni, questa è a maggior ragione un'area marginale dell'Umbria, come il nostro comprensorio e la nostra Gubbio. 
Per troppo tempo, troppi anni, il Pubblico ha svolto un ruolo di ammortizzatore sociale - assorbendo forza lavoro ben oltre le proprie necessità, in una logica di prelievo del consenso che prima o poi doveva presentare il conto.
Per troppo tempo, l'imprenditoria locale ha faticato a costruirsi un tessuto ramificato capace di sostenere l'impatto di una crisi che, per quanto imprevedibile fino ad una decina di anni fa, ora fa sentire i suoi morsi. E quel che peggio, non lascia profilare sbocchi o aree di certezza.
Carenza di infrastrutture - appena oggi moderavo un dibattito di Assindustria Altotevere sull'eterna E78, una arteria progettata da Fanfani a metà degli anni '60 e ancora incompiuta.
Carenza di capacità politica a garantire un'alternanza nelle "stanze dei bottoni": se è vero che in 60 anni nulla o quasi è cambiato, è vero che questo stato di cose evidentemente andava bene. Finchè non c'era bisogno di stringere la cinghia. Finchè le congiunture potevano essere solo favorevoli. 

Ora che il redde rationem è arrivato, si ha l'impressione che il "re sia nudo", ovvero l'Umbria manifesti tutto il proprio deficit (fatte salve poche felici eccezioni) in fatto di classe dirigente, politica come imprenditoriale, di assocategorie come di sindacati, di intelligenze capaci di cogliere le potenzialità e le unicità di una terra - invidiata e ricercata da molti - che ha saputo preservare il passato senza però riuscire a valorizzarlo in chiave futura. O non abbastanza. 

Scendendo nel nostro piccolo, nell'enclave eugubina, quante volte si è sentito ripetere, quasi come una filastrocca, delle risorse ambientali, storico-artistiche e architettoniche della città? Quante volte si è sentito dire che il turismo fosse una potenziale nuova miniera?
C'è stato un periodo, un lungo periodo, dagli anni 80 fino al Giubileo e a tutto il primo decennio del nuovo secolo, in cui tutto questo poteva essere tradotto in progetti, in imprenditorialità, in posti di lavoro, in ricchezza valoriale e materiale. Perchè risorse ce n'erano, eccome.
Quel tempo è andato, quei soldi sfumati e quell'occasione è ormai alle spalle.
Ora tocca rincorrere. Le idee, i tempi, le poche pochissime risorse rimaste.

Non sarà facile ma qualcuno - anche a Gubbio - dovrà pur provarci. E da qui alla primavera, quella vera, quella del 2014, scopriremo anche chi sarà...
Sperando lo faccia con una mente aperta, uno sguardo capace di superare gli steccati, di non farsi imprigionare dalle ideologie, in grado di valorizzare il "molto, tanto, tutto" con cui il compianto avv. Gini descriveva Gubbio, senza cadere nella tentazione di una difesa gelosa e cieca dell'esistente, senza alcuno slancio, senza alcuna energia.
La speranza, semmai, è che possa ispirarsi all’esperienza di tante, tantissime realtà sociali e associative, la cui vitalità, capacità di aggregare, lungimiranza organizzativa, dovrebbe essere d’esempio per il Palazzo.
Non sappiamo se ci sarà una via d'uscita. Sappiamo però che senza un nuovo dinamismo, un nuovo protagonismo culturale e sociale a partire dalla nostra città, il futuro non darà molte altre vie d'uscita. E se ci saranno, arriveranno ancora una volta “calate d’alto”. 

mercoledì 23 ottobre 2013

La partita infinita... di casa nostra


Per una volta nel mio blog voglio inserire il pezzo di un amico e collega. Non tanto e non solo perchè parla di mio padre (e in un passaggio fugace, anche di me), ma per la sensibilità con cui Simone ha colto lo spirito autentico... di questa partita infinita.
Che ho vissuto fin da bambino, nelle primissime esperienze da raccattapalle: tornando a casa con le scarpe puntualmente imbrattate di terra rossa; con le immagini di quei racchettoni di legno, in particolare una con il nome di Adriano Panatta (una specie di divinità dall'accento romanesco a fine anni 70), del golf bianco di mio padre con strisce a bordo rosso e blu dell'Ellesse (prime impronte archeologiche del merchandising), delle palline bianche (chi le ricorda più?) dal profumo inconfondibile, del suo rovescio senza apertura, magari non perfetto nello stile ma impeccabile nell'esecuzione. Di un virus di quelli positivi e salutari, il tennis, di cui sono stato contagiato solo in parte (e che ho riscoperto proprio con la maturità, a 40 anni).
Di un'epoca che non tornerà, sicuramente per me. Ma che continua imperterrita invece per i due eccellenti protagonisti (classe 1938) di questa storia... La storia di una partita infinita...

Da "Gubbio oggi" - ottobre 2013
La partita infinita

Wimbledon 2010. Dopo l’ultimo punto i due tennisti, stremati, si danno la mano. Lo statunitense Isner ed il francese Mahut hanno in viso la consapevolezza di aver disputato una partita storica, nontanto per l’importanza del risultato, quanto per essere entrati di diritto nella storia del torneo di Wimbledon e del tennis in genere: hanno appena terminato la partita più lunga di tutti i tempi, iniziata il 22 giugno e finita il 24 giugno, al quinto set con il risultato di 70-68 per l’Americano. Questo perché nel celebre slam britannico non c’è il tie-break al quinto set, pertanto si aggiudica l’incontro chi riesce a vincere due games consecutivi. Per i non appassionati di tale sport, è come quando a biliardino, o ping pong, si va “ai due”, quindi si può andare avanti all’infinito, non c’è un tempo che scade o un arbitro che fischia tre volte. I tennisti sorridono, accerchiati da fotografi, tanto che dalle espressioni è incomprensibile capire chi dei due sia il vinto e chi il vincitore.

Non sanno che oltre la Manica, a +1 dal meridiano di Greenwich, che passa a pochi metri dall’erba del Centrale, ci sono due giocatori che il loro record lo hanno sorpassato di molto e continuano a migliorarlo. Si tratta di Lamberto Mascelli e Giorgio Marinelli Andreoli, che da più di quaranta anni giocano una sfida infinita. “Le prime partite le abbiamo fatte negli anni ’60, esordisce Mascelli, ma è solo dal 1970 che giochiamo ininterrottamente uno contro l’altro. I primi scambi li abbiamo fatti a San Pietro, poi ci siamo trasferiti in questo circolo, del quale siamo due degli undici soci fondatori.” In pratica, Giorgio e Lamberto, permettetemi di chiamarli così, visto che in fondo chi come me frequenta il circolo tennis non può non considerarli familiari, per due volte la settimana, pioggia o neve (tanto ci sono i palloni) si affrontano in un match eterno.
E fino a che la tecnologia non era arrivata e le ore si prenotavano con la penna sulla bacheca (adesso si fa on line o via terminal), nessuno osava, quasi per un rispetto reverenziale, accaparrarsi le ore in cui erano soliti giocare Giorgio e Lamberto… due partite a settimana, il lunedì ed il giovedì, per 52 settimane, per 43 anni: fate voi il conto…

Di acqua ne è passata fra un servizio e l’altro, il tennis è cambiato e loro due sono cresciuti insieme, e adesso, che hanno un’età matura, sono ancora lì a scambiarsi dritti e rovesci. “Abbiamo iniziato con le racchette di legno, siamo passati per quelle in alluminio ed adesso utilizziamo quelle moderne, in carbonio” ci confessano. La domanda mi sorge spontanea: ma non avete mai pensato di cambiare avversario? “Non ne sentiamo l’esigenza, visto che abbiamo caratteristiche tali che ci permettono di divertirci reciprocamente, ci troviamo bene l’uno con l’altro, perciò, perché cambiare?”.
Più fedeli di una coppia di pinguini imperatore, quindi.
Questa sequenza, senza soluzione di continuità, è stata interrotta solo da qualche vacanza (“ci sono tornato prima apposta dal viaggio di nozze” ci confessa Giorgio) e da piccoli infortuni. “Soprattutto miei” ci dice Lamberto “Vero, ci conferma Giorgio, fisicamente sono piuttosto fortunato… a differenza di mio figlio che ogni tanto torna malconcio da qualche partita di calcio o tennis; ma, e qui rende onore all’avversario, Lamberto è più completo di me”. “Però, ribatte Lamberto, in una virtuale partita a tennis di complimenti reciproci, Giorgio ha ottimi colpi difensivi ed in più ha il vantaggio di essere mancino, quindi trova traiettorie che mi mettono in difficoltà.” A proposito, quanto state? “Impossibile dirlo, sorridono i due, diciamo che c’è equilibrio, andiamo a periodi, in cui uno prevale sull’altro. In questa annata, ammette Giorgio, Lamberto è più in forma”. E già, perché loro parlano di annate, non di mesi o settimane… Però scalpitano, hanno voglia di giocare, quindi, dopo la foto di rito, “come i professionisti”, li lascio al riscaldamento.
Mentre iniziano a palleggiare, mi dicono che il tennis è una disciplina che si può praticare anche quando i capelli sono grigi, basta avere il partner adatto.

Se lo sport in generale mantiene giovani, il tennis è l’ideale per non invecchiare, o per farlo nel migliore dei modi: il vedere questi due signori, intorno ai settanta ma ancora in gran forma, che come dei ragazzini inseguono da un angolo all’altro quella palla gialla, me ne dà la piena conferma.
I ritmi non saranno quelli inferociti di un Djokovic – Nadal, ma la passione e l’impegno sono gli stessi. Esco dal pallone e li lascio divertire, perché quello è lo scopo dello sport, che si sia bambini, professionisti o, come nel nostro caso, senior. Ma poi torno indietro e faccio loro un ultima domanda: “Alla fine vi stringete la mano?”.No, mi rispondono in coro, anche se la cavalleria lo vorrebbe, noi non lo facciamo”.
Mentre me ne vado, penso che a loro due non servano certi gesti di galateo tennistico: basta un cenno per rinnovare un impegno, per proseguire un tacito accordo, per rinsaldare una lunga amicizia. E in fondo, la mano si dà solo a fine partita…
Simone Zaccagni

lunedì 21 ottobre 2013

"Voti a rendere": dal turbo Ferrari, alla giunonica Verdacchi fino al Santopadre saggio...


Voti a rendere - da "Fuorigioco" del 21.10.13



Ferrari 7,5 – Non è solo la migliore sorpresa di questo grigio avvio di stagione del Gubbio, sicuro e autoritario in mezzo alla difesa. A Lecce, dove le gambe potevano anche tremare, va sul dischetto e spiazza Perucchini. Veterano mascherato.



Segno X 5 – Non è il voto, ma il numero dei pareggi nel cammino del Gubbio fino ad oggi su 7 gare. Ci chiediamo cosa accadrà quando il Gubbio riuscirà ad andare in vantaggio. Ma soprattutto quando questo accadrà. Waiting for Pisa.



Santopadre 6 – Per una volta il patron perugino guarda in casa propria prima di sparare sulla terna di turno. E a Benevento indossa i panni del saggio. Sperando che siano quelli giusti per dare la sterzata alla squadra. Lungimirante.



Verdacchi 7,5 – Da avversario spauracchio a punta di diamante: la schiacciatrice ex Orvieto ci ha messo poco ad entrare nel ruolo di leader del sestetto rossoblù. Con 28 punti è decisiva nel 3-2 del Gubbio su Macerata. E siamo solo all'inizio. Peacemaker.



Maurizi 8 – Dopo esser riuscito a comporre una frase con la parola lampione, questa settimana sarà un gioco da ragazzi studiare una frase con la parola “tripla”. La sua è vincente al suono della sirena nel supplementare di Pontedera. E regala la prima vittoria al Basket Gubbio. Paroliere.



Altotevere C.Castello volley 9 – Debutta col botto la squadra di Radici che al Palakemon abbatte Piacenza, finalista scudetto 5 mesi fa e sciorina una prestazione sontuosa. Forse Radici ha capito che per riportare gli ultrà tifernati sugli spalti c'è un solo modo: stupire.


domenica 20 ottobre 2013

Se le parole di Baden Powell valessero per la politica...

"Cercate di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".
La frase - una massima di sir Baden Powell, fondatore dello scoutismo nel mondo - tornerà in auge nei prossimi giorni, quando si festeggeranno con iniziative, un convegno, una mostra, un emozionante alzabandiera e un'immancabile cena con bivacco finale, i 30 anni ininterrotti del movimento Scout a Gubbio.
Pensavo, in questi giorni, quanto salutare potrebbe essere l'applicazione dei principi base dello scoutismo - movimento spesso criticato in misura inversamente proporzionale al grado di conoscenza delle sue caratteristiche - alla vita politica e civica del nostro Paese. E anche della nostra piccola (e al momento sventurata) comunità.

"Cercate di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".

Dovrebbe rappresentare, questo assunto, una sorta di bussola irrinunciabile non solo di ogni scout, ma prima di tutto di ogni cittadino e ancor più di ogni amministratore pubblico.
Gestire la res publica - la cosa pubblica, come la definivano sapientemente i latini (da cui il termine, repubblica) - è certamente tra le responsabilità più onerose e difficili.
Sempre che sia interpretata con lo spirito di servizio, con il desiderio del "dare" (fuggendo la tentazione del prendere), con la sensibilità per ciò che è bello, ma anche utile e funzionale, con il gusto della condivisione (e non della divisione), la coerenza del rispetto delle regole (e non l'abilità ad eluderle), con la gioia del condividere e la forte motivazione fondata sul senso di appartenenza.
Parole abbastanza utopiche, se incasellate nella categoria della vita pubblica e della politica di oggi. A Roma ma anche dalle nostre parti.
Principi che sarebbero quasi ovvi, se non fossero ormai rari. E vissuti con la stessa nostalgia con cui si rimembra un'escursione sui Sibillini o un bivacco intorno al fuoco in una sera d'estate a Castelluccio.

Un particolare della simulazione del progetto
delle Logge dei Tiratoi
La domanda, allora, sorge immediata. Si può utilizzare questa metafora anche per la nostra Gubbio?
Vien da chiederselo, nei giorni in cui emerge un nuovo caso (le Logge dei Tiratoi) intorno al quale, accanto ad associazioni culturali, si stanno ritrovando (alla vigilia di quella che si annuncia una lunga campagna elettorale) alcuni dei protagonisti politici che hanno guidato l'ultimo decennio cittadino.
Nelle ore in cui andiamo in stampa, ancora non si conosce neppure il progetto delle Logge e qualsiasi giudizio appare prematuro.

Eco mostro di San Pietro: l'inizio dei lavori...
L'auspicio è che il presente non finisca per oscurare da un lato le vere priorità di questa comunità (con centinaia di famiglie ridotte all'osso). Dall'altro che si finga di dimenticare alcune “opere urbanistiche” che proprio il decennio precedente – ancora senza crisi - ci ha lasciato in eredità: dall'eco-mostro di San Pietro, al complesso strutturale di via Perugina (ex Sebastiani), dall'ex ospedale (per 8 anni ignorato pur sapendo che si sarebbe trasferito e senza alcuna partecipazione alle scelte per il futuro e la destinazione dello stesso), fino ad un centro storico in progressiva desertificazione, e più in generale al concetto di sviluppo della città di domani, di cui non si è mai avuta traccia. Si sono tamponate molte buche, è vero. Ma si è aperta un'altra “voragine”.
 
Un particolare della mostra dei dinosauri (2010-2011)
a Palazzo dei Consoli di Gubbio
Questioni che certo non possono essere addebitate né ad un Commissario prefettizio (entrato in azione da 5 mesi e con il problema impellente di chiudere un bilancio comunale disastrato) né ad una Fondazione bancaria, che nell'ultimo decennio ha fatto pervenire ad associazioni, onlus e enti pubblici cittadini oltre 10 milioni di euro e ha sostenuto progetti culturali ed eventi, come la mostra dei Dinosauri, “osteggiata” alla vigilia per una presunta incompatibilità con la Sala dell'Arengo, e poi rivelatasi straordinaria (e finora irripetibile) opportunità di richiamo.

"Cercate di lasciare il mondo, migliore di come l'avete trovato".
Beato chi potrà dire di esserci riuscito...


Da editoriale "Gubbio oggi" - ottobre 2013