Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

lunedì 30 aprile 2012

Domani (a Empoli) è un altro giorno... e Il Gubbio non può permettersi di celebrare il 1 maggio...

Chapeau. Di fronte al Pescara di Zdenek Zeman, di fronte a questo Pescara, ad una squadra capace di coprire gli spazi come il blob cinematografico, a far girare palla come un flipper anni settanta, ad entrare nei sedici metri avversari come gli indiani nei film western in bianco e nero, c’è solo da alzarsi in piedi ed applaudire.
Il Gubbio ha resistito quasi 80’ dopo di che fort Apache è crollato, dopo il quarto palo di giornata e il tap in rabbioso ed inevitabile di capitan Sansovini, meno osannato dei baby terribili, Immobile e Insigne, ma più efficace davanti alla porta.

Marco Farabbi, all'esordio in B, per lui
prova maiuscola (foto Settonce)
Nell’occasione i rossoblù, oltre ad ammirare un avversario che per qualità e superiorità tecnico-tattica è parso di almeno due categorie superiori, hanno potuto scoprire – o meglio, riscoprire – le doti di un portiere che già la scorsa stagione si era rivelato prezioso nelle cinque giornate di assenza forzata di Lamanna. Chiamato in causa al volo, alla sua prima presenza in serie B, Marco Farabbi si è dimostrato non solo valido tra i pali e sicuro nelle uscite, con interventi a tratti prodigiosi, ma ha mostrato una personalità e una affidabilità che a posteriori, da un lato, sono la nota lieta della giornata, e dall’altro rischiano paradossalmente di lasciare spazio a più di un rimpianto. Senza nulla togliere al quasi coetaneo Donnarumma, ovviamente.

Ma il tempo di rimuginare sulla sconfitta "salomonica" con gli abruzzesi è durato lo spazio di una sigaretta post gara del sempre sorprendente tecnico boemo, uscito dal campo un quarto d’ora dopo tutti gli altri.
Apolloni negli spogliatoi ha spronato la squadra, evidenziando quello che è piaciuto – lo spirito, la voglia di “resistere” nonostante lo strapotere dei pescaresi – senza dimenticare quello che non è andato – troppi rilanci alla viva il parroco, centrocampo che non è riuscito a sostenere una fase di ripartenza degna di questo nome e non ha fatto rifiatare la difesa nei momenti di apnea quando il Pescara spingeva a mille e il Gubbio somigliava ad un pugile alle corde.
Domani è un altro giorno, recitava Rossella O’Hara in via col vento: senza riguardarsi il film, è la parola d’ordine della squadra rossoblù, già proiettata al “Castellani” di Empoli dove l’attende una delle cinque partite verità che mancano al traguardo.
Il tecnico romano recupera Lunardini per il centrocampo, farà stringere i denti a chi ha sofferto caldo e ripartenze pescaresi, finendo in preda ai crampi, come Almici o Nwankwo, e punta a ripetere sul piano tattico, la prova di Modena. Quanto al carattere, paradossalmente ci è piaciuto anche il Gubbio di sabato: che ha tenuto alta la bandiera fino a che ha potuto con uno spirito che in altre gare e con ben altri avversari, avrebbe sicuramente regalato qualche punto in più alla classifica.


La slide tratta da "Fuorigioco" dedicata
alla conferma di Apolloni per la prossima stagione
 La cattiva notizia della vigilia è che la Lega di B non ripescherà così facilmente chi dovesse beneficiare dello tsunami scommesse: il prossimo campionato sarà a 20 squadre. Motivo in più per crederci fino in fondo, e per cercare di salvarsi sul campo.
La buona notizia è la conferma di Apolloni per la prossima stagione: la società ha fatto tesoro degli errori di un anno fa. E comunque vada, sa già da dove e con chi ripartire. Intanto però c’è Empoli: e il Gubbio non può permettersi davvero di celebrare il 1 maggio…




Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 30.4.12
musica di sottofondo: "Say you'll be there" - Spice Girls (1996)

venerdì 27 aprile 2012

Gubbio: col Pescara alla ricerca dell'"effetto Chelsea"...

L’hanno già ribattezzato “effetto Chelsea”. La vittoria che non ti aspetti, l’improvvisa riscoperta della voglia di stupire, di dimostrare che non solo la corsa alla salvezza non è finita, ma che ci sono energie e qualità per potersela giocare fino in fondo. Anche contro il peggiore dei pronostici.

Il Gubbio arriva con questo stato d’animo alla sfida con il Pescara.
Diciamocela tutta, a inizio anno in parecchi aspettavano questo 28 aprile per vedere all’opera, dal vivo, la macchina da gol di mastro Zeman. Una squadra capace di trasformare in oro anche il rilancio più maldestro del portiere, con un tridente d’attacco che non più tardi di 3 giorni fa ha regalato 3 gol su 4 alla Nazionale under 21 di Ferrara, in Scozia, con la doppietta di Insigne e il gol di Immobile. Senza contare la sestina piazzata la scorsa settimana all’Euganeo di Padova, nell’incredulità generale.

Ma il Gubbio visto a Sassuolo ha mostrato una dote che di rado si è apprezzata in questa stagione da montagne russe: la calma olimpica di chi ha un’idea tattica ben precisa – non solo in testa, ma anche nelle gambe – la risolutezza mista a determinazione di chi sa cosa fare col pallone tra i piedi. Niente di sofisticato, per carità, ma concreto come può esserlo una semplice figura geometrica.
La domanda legittima è: dov’era nascosto finora questo Gubbio? Sono quegli interrogativi che il calcio pone, ciclicamente e ad ogni latitudine tecnica, e che difficilmente trovano risposta. Perché l’unico verdetto resta quello del campo e perché forse il bello del calcio sta proprio in questo.
Traslando il ragionamento in campo europeo, due mesi fa Di Matteo era un ex giocatore di Lazio e Nazionale azzurra, relegato a secondo di Villas Boas, oggi è l’allenatore della finalista di Champions con Mourinho e Guardiola a fare da spettatori.

Il Gubbio cosa c’entra? C’entra perché per fare il Chelsea della situazione, bisogna innanzitutto crederci e sorprendere se stessi, andando anche oltre l’ostacolo che sembra insormontabile. Il Sassuolo in trasferta come può esserlo il Pescara in casa.
Sapendo dei rischi che una squadra champagne come quella abruzzese comporta, quando passa la metà campo, ma anche le enormi opportunità che può offrire nella propria di metà campo.

I rossoblù ci proveranno, questo è certo. Anche perché la corsa alla salvezza – con il vagone dei play out distante 3 punti – ha ricevuto una di quelle spinte da Modena, che non si possono lasciare all’inerzia del campionato: vanno colte al volo, come una borraccia a metà dell’ultima salita, come un assist a pochi minuti dalla fine.
L’impresa era disperata, ora resta difficile. Ma il Gubbio sa che può e deve tentare, con la spinta di un pubblico che ancora una volta potrebbe essere l’elemento in più in questi 10 giorni decisivi ( prima il Pescara, Empoli il 1 maggio e Juve Stabia il lunedì 7) che faranno da semaforo alle ultime chance di permanenza in serie B.

Già domani sapremo se l’effetto Chelsea – se il miracolo Di Matteo – è applicabile anche in Italia, anche in una lontana periferia umbra…

 
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - 27.4.12
musica di sottofondo: "Love & Pride" - King (1984)

6)

martedì 24 aprile 2012

Anche la Giustizia... è in gioco. Peccato che abbia la coscienza corta...

Si dice che la politica sia distante dai problemi dei cittadini. E la tesi è difficilmente confutabile – specie di questi tempi, specie con questi protagonisti e con molti dei loro comprimari, che svolgono identitariamente il ruolo parassitario che si riconosce ad un termine come “portaborse”.

Quel che si dice, un po’ meno spesso, è che anche la giustizia del nostro Paese sia lontana anni luce dai problemi e dalle esigenze della società civile.
Non apriamo il capitolo dei “tempi giudiziari” : inoltrare una causa civile in Italia equivale ad un’impresa paragonabile alle spedizioni colombiane di fine ‘400 (“so che mi aspetta un’avventura, ma non so né quanto né dove mi condurrà”). Basta soffermarsi su alcune vicende e piccoli episodi di casa nostra, esemplificativi dell’astrattezza e del senso quasi metafisico col quale molti togati vivono la propria visione della realtà. Trincerandosi spesso dietro la forma, e dimenticando d’amblè la sostanza di ciò che viene chiesto di dirimere.

L’ultima perla del Tar dell’Umbria (Tribunale amministrativo regionale) riguarda il rigetto dell’ordinanza che il comune di Bastia Umbra aveva emesso alcuni mesi fa – vedi post del… sempre in questo blog – per regolamentare (e in alcune parti, anche proibire) la presenza e l’uso dei fantomatici videopoker in alcuni locali (di proprietà e gestione pubblica) frequentati da giovani e meno giovani.
Ordinanza respinta per vizi di forma (la disciplina in materia sarebbe di competenza dello Stato e non delle amministrazioni locali), e dunque sulla carta poco da eccepire.

Ma la lontananza siderale dell’organo giudiziario amministrativo dalla realtà dei fatti è lampante se si pensa alla “ratio legis” (al motivo) che aveva spinto un coraggioso sindaco di una periferia perugina a scendere in prima linea contro quella che ormai è una vera piaga sociale: l’abuso (se non la bulimia) da scommesse, lotterie e videopoker che la nostra società vive senza esclusione di aree e senza possibilità di via d’uscita. Nelle metropoli come nei piccoli borghi sperduti, non c’è bar, ricevitoria o locale pubblico che non offra anche al più sporadico avventore, la possibilità di “giocarsi” qualche euro di speranza per vincere qualche spicciolo in più (che in genere si trasforma in qualche nuova giocata a fondo perduto).
Per non parlare dell'invasione barbarica, ormai inevitabile, di sponsor e marchi - diffusi ovunque - che iniettano la passione per il poker, ormai in odore di diventare materia scolastica o sport olimpico.

La scena è sempre la stessa: che si tratti di un ragazzo sbarbatello, di un uomo attempato dallo sguardo spento, o donna di mezza età in cerca di diversivi (dalla menopausa?), basta dare un’occhiata all’ossessivo rincorrersi di dita, monete e speranze che si snocciolano via da sole, nel monotono inseguirsi di pochi minuti. E ogni tanto il tintinnìo di qualche inutile vincita interrompe quella litanìa silenziosa e pietosa (a vedersi).
Ognuno si rovina come meglio crede. E’ quel che vien da pensare, istantaneamente. Ma quel che è peggio, è questo il senso che si percepisce notando l’assenza di qualsiasi barriera, non dico di prevenzione, ma persino di cura contro il vizio e la malattia del gioco da parte dello Stato.

A pensarci bene, è proprio lo Stato che incentiva tutto questo, con forme e sistemi differenziati e sempre più allettanti che – nelle casistiche più deboli - si traducono in una vera induzione al fallimento: in fondo, le casse erariali si riempiono (e di questi tempi, è una vera manna) e, parafrasando un vecchio spot di una nota marca di caffè, il Palazzo ci guadagna. Poco importa se gli introiti crescenti di giocate, lotterie e macchinette diaboliche alimentano anche l’esercito di videopoker-dipendenti, sparsi per tutto lo stivale. Poco importa se la macchinetta o la lotteria diventa il surrogato della solitudine o peggio ancora dell’indigenza (in alcuni casi, anche la causa della stessa). E se i Sert – quei servizi socio-sanitari tristemente noti per avere in cura flotte di giovani smarritisi dietro una siringa o una pasticca di ecstasy – denuncino la crescente e preoccupante incipienza di “utenti” affetti da ludopatìa acuta, da vizio del gioco, da complesso di dipendenza da carte o da lotterie multimediali.

Al Tar tutto questo non interessa: è un organismo che giudica il profilo della forma, di un provvedimento amministrativo, non della sostanza. Men che meno, della morale. Quasi che si tratta di un problema di coscienza... corta.
Forse è per questo che ha impiegato più di un anno ad emettere una sentenza che definisce il Comune incompetente in materia: una deduzione – così evidente, così chiara, così banale - che poteva prendersi in un paio di giorni.

Ma forse la spiegazione è anche un’altra: è quella di un sistema (giudiziario, non meno di quello politico) che viaggia a velocità completamente diverse da quelle della quotidianità. E con sensibilità (intese come buon senso, grano salis per dirla proprio in termini giuridici) che si fermano al sorrisetto di un giudice che dovesse imbattersi in queste stupide righe che nulla pretendono se non una giustizia equa e magari anche solerte.

Ci conforta il fatto che un consigliere regionale, Sandra Monacelli, abbia annunciato su questo versante una proposta di legge a Palazzo Cesaroni: “Se disciplinare questa materia spetta al Parlamento, esistono comunque degli ambiti in cui la Regione può legiferare - scrive - La Regione dell’Umbria avrà così uno strumento idoneo, per ciò che attiene le proprie competenze, a contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e, di conseguenza, a prevenire forme di patologie legate a tale fenomeno. Non a caso l’assessorato regionale alla sanità ha previsto di attivare a breve nella Asl 1 dei percorsi di assistenza e riabilitazione per chi è affetto dalla dipendenza da gioco, che viene definita “problema di salute collettiva” e “handicap comportamentale””.
Come si vede, rispuntano fuori i costi sociali. Quelle spese nascoste, ma reali, che sono l’altra faccia della medaglia degli introiti statali derivanti da giochi e lotterie.

Ci si consenta, in chiusura – per quel che conta – un incoraggiamento al sindaco di Bastia Umbra, Ansideri: vada avanti, sindaco, non demorda. La sua cittadina avrà problemi più dozzinali (qualche buca, qualche stradina male asfaltata, qualche lampione che non funziona, la cui soluzione si traduce molto più immediatamente in voti e consenso) ma la lungimiranza e la bontà amministrativa si misura anche dalla sensibilità con cui un sindaco affronta anche quei problemi che sarebbe comodo definire “di competenza altrui”.

Che poi, alla fine, le sentenze – penali, come civili, come amministrative – anche se spiacevoli, vanno rispettate è altro conto. E di questo parleremo in prossimi post, magari sulle questioni (giudiziarie) che direttamente coinvolgono la nostra comunità (ma non tutti noi, come da qualcuno surrettiziamente insinuato).



lunedì 23 aprile 2012

L'ultima di aprile vuol dire "impresa": e ora crederci vale più di qualsiasi cosa...

L'abbraccio tra Apolloni e Graffiedi
(Settonce Photo agency)
Il sogno, quando meno te lo aspetti, può tornare ad affiorare. Riaprirsi, proprio come il bocciolo di una rosa, in una primavera ancora acerba: se non arriva un temporale o una grandinata, imprevista e improvvida, va a finire che il fiore può sbocciare davvero. Insperato ma forse per questo ancora più profumato.


Ha il senso di un risveglio, la vittoria a Sassuolo.
La prima perla esterna griffata Gubbio in un campionato apertosi esattamente 8 mesi fa con la scoppola di Grosseto - e in quella giornata già tanti sognavano il primo sigillo in trasferta, a 7 giorni dal fantastico 4-3 di Bergamo in Coppa. Invece è toccato aspettare quasi una gestazione, tre cambi tecnici, per stare solo ai primi allenatori, una valanga di rimorsi e bocconi amari, per esultare.

Alla fine contro l’avversario più temibile è sbucato un 2-0 classico come la tradizione del calcio inglese insegna, ma figlio di una condotta di gara e un’interpretazione tattica e caratteriale che sono forse ancora più confortanti dei tre punti stessi.
Come Caracciolo con Merino,
il Gubbio ha di nuovo affiancato la Nocerina


Perché se in classifica il Gubbio riacciuffa in un colpo solo la Nocerina e rosicchia 3 punti all’Empoli e 2 al Vicenza, la prestazione perentoria, sicura e paradossalmente tranquilla, messa in campo dalla squadra di Apolloni, è il messaggio più incoraggiante in vista del rush finale: 6 partite che definire 6 finali a questo punto è quasi pleonastico.

Il tecnico romano, ed emiliano di adozione, l’aveva detto alla vigilia: andiamo per vincere, ma alzi la mano, tra tifosi e addetti ai lavori, chi l’aveva preso sul serio. Sulle gradinate della curva modenese erano una trentina i fedelissimi, pervicaci e irriducibili. Saranno molti ma molti di più sabato prossimo per l’attesissima sfida alla banda di Zeman.

17 settembre 2011: Lunardini esulta dopo il gol a Modena
Ma torniamo al “Braglia”, ad uno stadio che è un piccolo portafortuna del Gubbio: qui a settembre la squadra allora affidata a Pecchia conquistò il primo punto del campionato, con l’eurogol di Lunardini – anche sabato tra i migliori, in campo - qui due stagioni climatiche dopo ha festeggiato la prima vittoria esterna. Peccato che al “Braglia” non si giocherà più, almeno per questo campionato.

Per gli amanti della cabala, anche l’ultimo weekend di aprile comincia ad essere caro alle sorti dei rossoblù: due anni fa la stoccata di Gomez a Portomaggiore – anche lì con un manipolo sparuto di tifosi al seguito – aprì la serie di 7 vittorie consecutive, play off inclusi, che culminò nel trionfo dei 3.000 a San Marino.
Daud trafigge il Lumezzane: è il 24 aprile 2011
L’anno scorso l’ultima domenica di aprile regalò la B virtuale, con il destro di Daud, ispirato dallo slalom di Gomez, nella soffertissima vittoria sul Lumezzane, che consentì di tenere a -7 il Sorrento.

Quale valore possa avere oggi il 2-0 sul Sassuolo ce lo diranno in realtà solo le prossime due settimane (tre gare, con Pescara, Empoli e Juve Stabia, obiettivo 7 punti). L’impressione, netta, è che il mister abbia le idee chiare, tattiche e di approccio agonistico, che la squadra lo segua a menadito e che i presupposti per cercare l’impresa ci siano.

Qualcuno dice che è troppo tardi, ma intanto sul binario il Gubbio ci si è rimesso. Ora c’è da pensare al Pescara (trascinato dalla coppia Immobile-Insigne), pessimo cliente reduce dal 6-0 trionfale di Padova. Paradossalmente potrebbe essere il miglior avversario per esaltare le caratteristiche della squadra eugubina. E per non rischiare un calo di stimoli che a questo punto sarebbe letale.
Comunque vada a finire, questo 2-0 resterà negli archivi. Ma la speranza è che ci resti come il primo passo di una straordinaria escalation finale. Sperare, in fondo, non costa nulla. E crederci, a questo punto, vale più di un nuovo acquisto...

 
Copertina di "Fuorigioco" - lunedì 23.4.12
musica di sottofondo: "Dreams" - Gabrielle (1994)

domenica 22 aprile 2012

La prima volta in trasferta... fotoracconto di un sabato inaspettato...

La festa di squadra e tifosi a fine gara al "Braglia"
Il sogno, quando meno te lo aspetti, può tornare ad affiorare. Riaprirsi, proprio come il bocciolo di una rosa, in questa stagione: se non arriva un temporale o una grandinata, imprevista e improvvida, il fiore può sbocciare davvero. Ormai insperato ma forse ancora più profumato.
Ha il senso di un risveglio, la vittoria a Sassuolo. La prima esterna di un campionato apertosi 8 mesi fa con la scoppola di Grosseto - e in quella giornata già tanti pregustavano il primo sigillo in trasferta, a 7 giorni dal fantastico 4-3 di Bergamo in Coppa. Invece è toccato aspettare quasi una gestazione, per esultare.
E farlo nel sabato più imprevedibile, forse ha un gusto più piacevole. Sperando che non sia però il canto del cigno.
Nella sequenza di immagini firmate Settonce Photo Agency - Andrea Vagnoli, alcuni flash di una gara che comunque vada a finire, resterà negli archivi. Ma la speranza è che ci resti come il primo passo di una straordinaria escalation finale. Sperare, in fondo, non costa nulla. E crederci, a questo punto, vale più di un nuovo acquisto.


Ingresso in campo: anche a Modena omaggio a Piermario...


... e le due squadre si abbracciano nel ricordo dello sfortunato collega.

E' arrivato da 3 settimane, ma sembra già
dirigere un'orchestra. E ad Apolloni riuscirà quello
che ai suoi precedessori era mancato...
E' subito partita vera, e il Gubbio è ben messo in campo.
Play maker è Lunardini, qui con l'ex compagno di squadra
alla Triestina, l'eugubino Ettore Marchi
L'altro ex, Magnanelli, non sembra in vena e fatica
a contenere un Guzman "irriconoscibile" rispetto
allo spento trequartista visto col Vicenza
Da un corner del paraguaiano arriva l'incornata vincente di Graffiedi,
festeggiato dai compagni. E' l'1-0.
Il Sassuolo  non ci sta, e non lo manda a dire
a Ciofani: per lui "trattamento speciale"
Padroni di casa evanescenti, e quando c'è l'occasione buona
Donnarumma risponde sempre presente. Per lui però
un "giallo" di troppo... Sabato non ci sarà.
Ripresa e arriva subito il raddoppio: il sinistro di Guzman
non è irresistibile, ma Pomini gli dà una mano. E' 2-0!
La prima vittoria in trasferta sembra diventare realtà:
Farabbi e Raggio Garibaldi travolgono il sudamericano
Pea invece è nervoso: la caduta, forse, non se l'aspettava...
L'unico vero brivido lo regala Gavillucci: prima
si infortuna, poi regala 8' di recupero agli emiliani...
Al fischio finale esulta Mengoni accanto al mister.
Apolloni sembra dire: "E' solo l'inizio...".
L'abbraccio tra Giammarioli e Ramacci
sa di liberazione... e speranza ritrovata...
In pochi a crederci e a godersela... ma sabato contro Zeman
si attende un nuovo pienone. E un Gubbio formato riscatto...

venerdì 20 aprile 2012

Quello che davvero il calcio deve a Morosini...

Il calcio glielo deve. Non è solo il minuto canonico di silenzio, prima del fischio d’inizio, di quelli che spesso passano intensi ma poi non lasciano traccia.

Il calcio deve qualcosa di più a Piermario Morosini, 26 anni non compiuti, centrocampista nato a Bergamo, cresciuto in quell’Università del calcio che si chiama Atalanta, e poi costretto a girovagare per varie piazze, l’ultima, da gennaio, la turbolenta Livorno.
Il calcio deve tanto ad un ragazzo che non ha vinto Champions o scudetti, ma che ha fatto il proprio dovere, da calciatore onesto. E ha visto spegnersi la sua vita sul campo, giocando.
E’ stato come tornare indietro di 34 anni, a quel 30 ottobre 1977, quando allo stadio Pian di Massiano, ancora si chiamava così, un altro centrocampista, un altro di quelli apparentemente anonimi, di nome Renato Curi, moriva durante un piovosissimo Perugia-Juventus.

Quando accadono tragedie come queste – ed è un duro ripetersi – si accendono le polemiche, si paventano cause tra le più inquietanti, insomma si scatena il bailamme. Che poi si quieta, lasciando spazio di nuovo ad ameni dibattiti su un fuorigioco millimetrico o su un gol non gol.
E intanto negli stadi italiani, anche quelli di A o B, per non parlare delle categorie minori, non si sa bene se ci sia un defibrillatore, se ci sia chi sa utilizzarlo, se ci sia una sorta di piano d’azione in caso d’emergenza.

Emblematiche le parole del direttore generale di Lega Pro, l’eugubino Francesco Ghirelli, che ha dichiarato: Non si gioca in uno stadio in cui non sarà assicurata ogni garanzia di immediato soccorso. Ricordate lo scorso anno Sorrento? Con il suo muro di cinta a due metri dal fallo laterale e con l’impianto elettrico a disposizione dei tifosi in curva? Bene, l’Italia è questo: filo del rasoio, indifferenza, almeno finchè non ci scappa il morto.
Ecco, quello che il calcio del Belpaese deve a Piermario Morosini, e alle altre vittime di questo straordinario ma contraddittorio circus: la fine della precarietà, che non è articolo 18 o contratti part time, ma un’organizzazione minimamente efficiente che eviti di avere almeno rimorsi quando di mezzo ci sono questioni di vita o di morte.

Ma c’è qualcos’altro che il nostro calcio deve a Morosini: si chiama chiarezza e onestà. Perché, anche a rischio di sembrare retorici, non si può sottacere che mentre ci sono giocatori che lasciano la vita in mezzo al campo, ce ne sono altri – e continuano a giocare – che in quello stesso tappeto verde hanno barato, si sono venduti per qualche prebenda, hanno scommesso o favorito scommesse sicure. Insomma hanno preso in giro migliaia di tifosi, anche le stesse società (non per forza consenzienti), e tanti colleghi che nel calcio credevano e continuano a credere.

La riflessione, oggi, può apparire gratuita ma in realtà è ancora più doveroso fare chiarezza e giustizia sul calcio scommesse (piaga da decupito del calcio nostrano, che riappare al ritmo di un lustro o al massimo due). Alcuni rumors vorrebbero risolto e seppellito con una specie di condono. Si deve una risposta netta a chi crede ancora, beato lui, in questo calcio. A milioni di tifosi che mettono mezzo stipendio in un abbonamento o anche in una sola trasferta. A dirigenti onesti che firmano fideiussioni vere per pura passione. A piazze che respirano ancora l’aria buona del football di una volta.

Lo si deve, anche questo, a giocatori come Morosini, e a tanti altri semisconosciuti, che hanno fatto di un gioco e di un sogno da bambini, il proprio mestiere, cambiando casacca, o colori sociali: ma non per questo svendendoli a qualsiasi costo.
Lo diciamo da amanti di questo sport. E non solo perché lo tsunami – o quello che dovrebbe essere tale – è partito proprio da qui. Dal coraggio di dire no, e dal coraggio, ancora più grande, di denunciare.
La speranza è di non dover pensare che un giorno si debba, anche solo per un minuto, dubitare, di aver fatto la cosa giusta.



A proposito. Domani c’è anche Sassuolo-Gubbio: che ci resta da dire? Pea, Magnanelli, Marchi, Apolloni, assenze forzate, vittoria a tutti i costi, salvezza appesa a un filo. Sembra tutto banale a confronto di quanto si è detto finora.
E forse a Morosini si deve anche questo. Il silenzio del calcio che fa e non proclama. Quell’ingrediente fondamentale che ha fatto le fortune del Gubbio nell’ultimo biennio. Ma di cui, purtroppo, si è persa traccia negli ultimi mesi…

 
Copertina de "Il Rosso e il Blu" - venerdì 20.4.12
musica di sottofondo: "Show must go on" - Queen (1991)
 

giovedì 19 aprile 2012

Nella giornata più grigia, ritrovarsi a Jesi... e scoprire il bello di una domenica di sport autentico

Sembrava una domenica triste. Inevitabilmente dimessa. Sarà stato per il clima plumbeo che si respirava dal giorno prima, per la tragedia di Piermario Morosini. Sarà stato per il grigiore generale, cui non faceva eccezione un meteo ben al di sotto delle temperature di stagione. Insomma uno di quei pomeriggi da meteopatìa acuta e apparentemente non curabile. Che neppure un mega torneo oceanico di burraco – da 3 mazzate più un giro danish (questa l’ho imparata da poco…) – avrebbe saputo riempire degnamente. Invece, quel che non ti aspetti, talvolta riesce a sorprenderti.

Accompagno mio figlio a Jesi, al Palasport Triccoli. Decisione quasi dell'ultim'ora. Mi risultava ci fosse un raduno tra 3-4 squadrette giovanili locali, una di quelle rassegne un po’ festose e un po’ caotiche che spesso si organizzano tra società (in questo caso, di basket) per far divertire un tantino i rispettivi pargoli.

Solo al Palasport jesino – dopo aver accompagnato Giovanni e tre suoi amici (mettendo a dura prova la poca pazienza di cui dispongo, durante il viaggio, in giornate uggiose come sembrava questa) e dopo aver ritardato qualche minuto (come da tradizione) per le bizze del tom tom e un pizzico di disorganizzazione di partenza – scopro che si tratta del “Family day”, un pomeriggio di festa e sana aggregazione organizzato dalla Fileni Jesi (la società ospitante, che milita in A2 di basket) con la presenza della prima squadra, beatamente immersa nel vociare gioioso di centinaia di ragazzini.
Grandi e piccoli, protagonisti e aspiranti tali, “idoli” e tifosi, insieme, in campo, con il gusto di festeggiare. Non una vittoria, non un traguardo. Ma il piacere di giocare insieme, di vivere e conoscere la pallacanestro.

Un flash, volutamente sfocato, di una delle partitelle
sul parquet del "PalaTriccoli"
Sembrerà anche l’uovo di Colombo, ma l’ho trovata un’idea geniale.
Intanto i piccoli atleti indossavano un’unica maglietta comune a tutti: una vistosa t-shirt arancione – colore sociale del sodalizio di casa – che dava l’impronta di un voler accomunare tutti in questa chiassosa kasba sportiva, senza distinzione di età, di sesso (c'erano anche ragazzine) e di appartenenza cittadina. Insomma non c’erano squadre o divisioni di maglia, di bandiera, di provenienza.
I ragazzini erano di Jesi, Ancona, Gubbio, Fermignano, ma, sotto quella magliettina arancio, lo sapevano solo loro.
E poi non c’erano vere e proprie partite. Ma negli spicchi di parquet allestiti a minuscoli campi da gioco (con i canestri opportunamente abbassati) gli istruttori imbastivano semplici esercizi, in cui il gesto tecnico (terzo tempo, tiro a canestro, palleggio) si mescolava al momento squisitamente ludico (passare intorno a dei birilli o sotto un ponte umano composto dalle gambe divaricate dei propri amici).
Insomma zero competizione e tanto divertimento, con un quid in più.

Ad un certo punto è entrata in campo, con la presentazione in passerella in perfetto stile Usa e altoparlante “a palla”, la squadra di Jesi: giganti resi ancora più mastodontici dal confronto con i loro piccolissimi fans.
E la sorpresa più piacevole è stato il sorriso e l’aria divertita con cui questi atleti – che appena 24 ore prima avevano imbucato una brutta sconfitta a Reggio Emilia, pessimo stop lungo la strada di una agognata promozione in A1 - si dilettavano a intrattenersi con i ragazzini, giocando con loro, mettendosi sotto canestro per aiutarli a tirare, indossando dei copricapi curiosi (di quelli realizzati con i palloncini lunghi, abilmente trasformati in qualcosa che somigliasse ad un cappello) e divertendosi con istrionici pagliacci che vagavano per il parquet tra trampoli e gag.

Il capitano dell'Aurora Fileni Jesi, Michele Maggioli
E l’immagine più bella, semplicemente più bella, di questo pomeriggio, era la gioia con cui tutti, dagli atleti ai bambini, riuscivano a godersi quello che di più intenso ed emozionante riserva il momento sportivo: il gioco.
Un quadro inaspettato, ma per questo ancora più appagante, perché spuntato, inatteso, in una domenica dove lo sport per eccellenza (il calcio) si era imposto lo stop. In un clima dove da tempo è costretto a guardarsi allo specchio, con non poca vergogna, per quello che ogni giorno finisce per vomitare, attraverso dichiarazioni e indiscrezioni sul caso del calcio scommesse.

Che distanza siderale - anni luce direi - tra l’autogol taroccato di un Masiello qualsiasi e l’entusiasmo spontaneo e ingenuo di questi bambini (ma anche dei loro idoli jesini) che hanno trascorso un pomeriggio di una domenica di aprile, giocando e divertendosi sotto un canestro, e sulle note di Jovanotti.

“Il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi”: a vederli dagli spalti, a gustarne il sorriso e l’autentica voglia di stare insieme, pareva quasi che il Cherubini di Cortona l’avesse scritta proprio per loro…

martedì 17 aprile 2012

Steve Mc Curry e quel flash, inconsapevole, sulla Festa dei Ceri...

E’ il giorno della presentazione a Milano:  a Fuorisalone 2012 va di scena il progetto dal titolo “Steve McCurry, Sensational Umbria”: in anteprima vengono proposti alcuni scatti del celebre fotografo statunitense - conosciuto principalmente per la fotografia dal titolo "ragazza afgana" pubblicata come copertina del National Geographic magazine nel giugno 1985, divenuta la più nota uscita della rivista.
Mc Curry è infatti il "narratore artistico" di una nuova campagna – articolata in 100 scatti - che l’artista americano realizzerà in esclusiva, per l’Umbria e sull’Umbria, nei prossimi mesi, e che per cinque anni potrà essere utilizzata dalla Regione per la sua comunicazione istituzionale.
La mia intenzione – ha detto Mc Curry, uno dei più grandi maestri del nostro secolo, premiato diverse volte con il World Press Photo Awards – è quella di cogliere l’Umbria nella sua totalità; due anni fa – ha detto – in occasione della mia mostra in Umbria, avevo provato il desiderio di approfondire i molti aspetti di questa regione, ed oggi posso finalmente cogliere questa opportunità".

Opportunità che diventa marketing emozionale per la nostra regione, attraverso lo sguardo di un viaggiatore e osservatore "privilegiante". Steve Mc Curry ha attraversato negli anni Settanta-Ottanta paesi impercorribili come Afghanistan e Pakistan, ancor prima dell'invasione russa, sotto mentite spoglie, andando a documentare, con flash immortali, il dramma della guerra. Ha rappresentato attraverso la fotografia vicende storiche come i conflitti nel Golfo, a Beirut, in Cambogia. Sterminato l'elenco di premi e riconoscimenti ricevuti nella sua carriera. Oggi, a oltre 60 anni, resta uno dei fotoreporter più famosi al mondo, capace di cristallizzare in un'istantanea, una vicenda umana, un sentimento, un messaggio.

E chissà se Mc Curry sarà a conoscenza del valore - emotivo, ancor prima che documentale - di una foto che fa parte proprio delle cento scattate in Umbria per l'operazione promossa dalla Regione. Dalle nostre parti, infatti, il buon Steve non c’è stato solo in occasione della mostra di Perugia, perché nel maggio scorso era presente a Gubbio per la festa dei Ceri mezzani: e lo scatto scelto in quella giornata - probabilmente appassionante, coinvolgente e di sicuro impatto anche per il noto fotografo americano - è stato in mostra per alcuni mesi, durante l’inverno, in un appuntamento di grande successo negli spazi espositivi del Museo di arte contemporanea di Testaccio a Roma: insieme ad altri 200 scatti che fanno parte della carriera pluridecennale di Mc Curry.

L'istantanea di Mc Curry a Gubbio: e in primo piano... Riccardo















Un flash che cattura la forza, l’impeto e la spregiudicatezza dei giovani ceraioli mentre affrontano la "Callata dei Neri". E immortala, in un istante, il senso di vitalità, di passione e di energia che contraddistingue la festa. Che in fondo, è anche simbolo di una tradizione, di una cultura, di una terra.
Un particolare, certamente sfuggito nei mesi successivi anche allo stesso celebre fotografo, sembra quasi scelto dal destino: protagonista in primo piano della foto di Mc Curry, punta davanti del cero di Sant’Ubaldo, è Riccardo Monacelli, lo sfortunato giovane eugubino deceduto appena un mese dopo, cadendo dal muretto di Piazza Grande.
Quel giorno a Gubbio deve averlo colpito la partecipazione, i colori e il senso di appartenenza dei giovani ceraioli: e al suo occhio, ai suoi scatti, ora la nostra regione si affida per valorizzare le sue eccellenze…

Mi piace pensare, però, ad un altro dettaglio. Quello di Riccardo.

Steve Mc Curry
Che uno dei più grandi geni dell'arte fotografica fosse a Gubbio quel giorno, nessuno lo sospettava. Tanto più che non si trattava del 15 maggio, ma dei ceri mezzani.
Questa foto ha un valore artistico notevole, grazie alla mano, all'estro, alla professionalità e alla sensibilità del suo autore.
Ma ha un valore emotivamente inestimabile per tanti giovani eugubini: che in questo flash d'autore rivedono, in uno dei suoi momenti più esaltanti, proprio Riccardo. Meno di un mese prima che se ne andasse.
Quasi che il destino abbia voluto scegliere il suo protagonista, silenziosamente, per lasciare un'impronta. Un segno. Un messaggio. Chi vuole, chi ha la sensibilità per farlo, può leggervelo. Anche attraverso queste parole:
"La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l'anima più genuina, in cui l'esperienza s'imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell'essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità".
Questo scrive Mc Curry, per descrivere quel che cerca da un semplice clic.
La sua arte, in questo caso, raggiunge qualcosa di più profondo. E di più autentico. Non solo il cuore. Ma anche l'anima...