Di solito il 31 dicembre l'atmosfera ha un sapore diverso.
Impaziente e nostalgico al tempo stesso.
Quest'anno no.
È stato un anno di silenzio. Il perchè non me lo chiedo neanche. Non saprei rispondermi.
Ci penso e in queste ultime ore mi dico che non ho grande nostalgia di questo 2015.
Non perché non abbia riservato esperienze speciali, giornate da ricordare. Anzi, ripercorrendolo posso trovare momenti di quelli da incorniciare e adagiare sulla mensola centrale dei miei ricordi.
Ad esempio il 2015 ha i colori del tramonto di S.Vito Lo Capo. Di un sole che sembra quasi appoggiarsi sulla cima del faro più a ovest della Sicilia. Che è stata una delle scoperte (o meglio, riscoperte) più esaltanti di questi ultimi 12 mesi. Una vacanza dall'aroma mediterraneo, capace di deliziarti con le spezie di un pane cunzato assaggiato su una delle calette della Riviera dello Zingaro e con la dolcezza di un gelato al pistacchio gustato nelle passeggiate serali nelle viuzze del centro storico.
Il 2015 è anche la corsa affannata per aprire una porta. Un venerdì santo che non sarà mai come gli altri. La porta e' quella di ingresso a est della città, la porta di S.Agostino, dove a un'ora e poco più dalla processione, sono riuscito a far passare l'auto con a bordo mia sorella e soprattutto mia nipote Caterina, che aveva una gran fretta di venire al mondo. Il sorriso che mi regala ogni volta che la vedo, come quello dei mii figli, e' uno spot alla vita. E alla voglia di viverla con l'impazienza che appartiene ad ogni capodanno.
Le luci, i colori, il caotico caleidoscopio vissuti per due volte ad Expo - l'evento dell'anno, nel quale una volta tanto la nostra piccola grande Italia ha fatto la sua gran bella figura con tutto il mondo - fanno da contraltare alla quiete silente di tante passeggiate intorno alla mia Gubbio, o lungo i tratti del sentiero francescano che l'intelligente vena organizzativa di Maggio Eugubino e Piccolaccoglienza hanno scelto come tappe delle proprie iniziative.
E poi il 2015 e' stato un anno insolitamente ricco di teatri: La Fenice, con la serata della finale del Campiello e il fascino da Rondò di una Venezia sublime e un po' ruffiana di inizio settembre, capace di stregarti anche solo con una indimenticabile colazione in terrazza.
E la Scala di Milano, perlustrata in una domenica mattina grazie alla complicità dell'amico Max che ci ha aperto un dietro le quinte inaspettato, finendo per ritrovarci all'interno dell'enorme regia luci che sovrasta il lampadario maestoso della platea.
Il 2015 è stato un anno da dimenticare per chi ama come me il rossoblu': dagli altari alle polveri e' quello che la nostra Gubbio calcistica ha toccato con mano nel breve volgere di 4 anni. 4 anni luce quelli che ci separano da un 2011 che forse proprio per questo resterà irripetibile.
Ma quest'anno si era aperto con la personale sfida impossibile alla brocca, ritrovandomi ancora a incrociare la strada insieme a due amici, stavolta sottoposti al giudizio dei ceraioli. Giudizio che ho accettato, che mi ha comunque riservato soddisfazioni e gratificazioni, che non mi ha allontanato dalle persone con cui sono cresciuto sotto la stanga e mi ha avvicinato ancora di più a me stesso. Se il cero e' una straordinaria metafora di vita, le delusioni che il cero ti riserva sono solo delle sfide per capire dove puoi ancora arrivare. E cosa puoi ancora apprezzare, a 44 anni, del tuo cammino sotto la stanga: ad esempio un altro 20enne che si affida a te per la sua prima Callata dei Neri.
Ecco, il 2015 e' anche quella corsa infinita (nei pressi c'è sempre la porta di S.Agostino) il rumore degli scarponi (giuro di averli sentiti) che filtra nella spessa coltre del boato in cui ti immergi, quasi tuffandoti da una delle piattaforme che poi avrei calpestato nelle tonnare di Sicilia. E l'abbraccio alla fine, di quegli abbracci che non si raccontano. Nascono da soli, e non sono ripetibili.
Dopo tutto questo verrebbe da chiedersi allora perché questo anno che se ne va non lascia impronte nostalgiche.
Semplicemente perché avrei voluto che accadessero delle cose. Ma non sono accadute. Che cambiassero delle situazioni, che non si sono modificate. Che il 2016 potesse avvicinarsi sotto certi auspici... Ma ho la sensazione che non sarà così.
Eppure... Continuo ad essere fiducioso.
L'anno si è chiuso con un'intervista-chiacchierata (come mi piacer definirle) con una persona che ho conosciuto quest'anno. Un imprenditore un po' filosofo e un po' sognatore. Di quelli che però alcuni sogni hanno saputo anche realizzarli. Non è Cucinelli (che pure ho intervistato un paio di volte quest'anno), del resto non è l'unico ad avere buone idee e a sognare un futuro migliore.
Donare e stupire: sono due dei punti cardinali che ha provato a spiegarmi l'interlocutore di pochi giorni fa, su una panchina del Teatro Romano.
Ecco, mi sono chiesto quanto ognuno di noi - e soprattutto la nostra comunità - abbia difficoltà a donarsi, a donare. E a regalare stupore.
Per certi versi ho l'impressione che la nostra Gubbio non sia più capace nemmeno di saperli ricevere e capire certi doni (spero di sbagliare), troppo occupata spesso a coltivare invidie e polemiche, disfattismo e apatia.
Ci sono le felici eccezioni (penso alle 100 ramazze e al tanto volontariato che pullula da queste parti), ma c'è anche la netta sensazione che troppe potenzialità restino inespresse: perché non sappiamo unirci. Ma sappiamo benissimo quale è la formula algebrica per dividerci. Su tutto.
Non voglio farmi un augurio per il 2016. Può sembrare banale.
Forse l'unico - oltre alla salute per me e i miei cari - è di trovare un po più tempo e maggiori stimoli anche per tornare qui, su questo blog. Per fare una delle poche cose che mi gratifica davvero... Scrivere. Ecco, il 2015 è stato strano anche per questo. Ho scritto meno del solito. E allora, tanti saluti 2015...