Che 15 maggio è stato in questo 2021?
Beh se non sapevamo come ricordarcelo ci ha pensato il monte Foce a lasciare il segno.In fondo quello sciame sismico neanche troppo vistoso, nell'intensità (scossa massima 3.9) e speriamo nella durata (tocchiamo ferro) ha attenuato i rimorsi per un secondo anno di assenza. Chissà, magari, in condizioni pre Covid, questo fenomeno tellurico, unito alle misure di sicurezza ormai aumentate fin dal 2018, avrebbe potuto consigliare a qualche autorità di intervenire. Mentre eravamo tutti a S.Lucia pronti a partire per la sfilata (l'ora della scossa maggiore più o meno è stata quella).
Stavolta a differenza di altri anni, non voglio raccontare cosa sia stato per me questo 15 maggio.
In fondo non ho neanche messo gli stendardi.
Pigrizia? Un po' anche per questo. Ma è stato più che altro un istintivo rinviare quel piccolo intimo rito, che lo scorso anno avevo avuto impazienza di rinnovare appena il 1 maggio (così presto che neanche in precedenza mi accadeva).
Quest'anno no. Nell'aria avvertivo qualcosa di più ammorbante, una sensazione di torpore piatto, quasi il riflesso di una rassegnazione diffusa. Un appannamento delle menti e forse anche dei cuori che altrimenti non si spiega se non con una sorta di assuefazione all'assenza. Non è elaborazione del lutto. È consapevolezza che ciò che di più prezioso si aveva da "toccare", ancora per un bel pezzo sarebbe rimasto lontano. È dura da digerire. Lo è ancor di più oggi, qualche giorno dopo.
Ho utilizzato una metafora prettamente ceraiola per descrivere questo 15 maggio: lo scorso anno eravamo come quel ceppo che "tribola" ma intravede da lontano la muta che gli darà il cambio; quest'anno ci si sente come quello stesso ceppo che, si', ha superato la muta... ma il cambio non gliel'hanno dato. E non sa per quanto ancora dovrà stringere i denti...
Una città stravolta, dalla fatica di attendere il suo "Capodanno dell'anima", senza il brio che ti dà una prima volta (l'anno scorso in fondo lo era) ma solo la certezza di essere condannati a rinunciarvi ancora.
Per quanto ancora?
La domanda è legittima.
Eppure proprio in questi giorni si avverte sempre più diffuso un desiderio. Lo scorso anno appariva più una provocazione. Ora assume una veste più concreta. Perche' necessaria, e sempre più diffusamente sentita.
Parlo della Festa dei Ceri a settembre.
Un'utopia?
Pensiamoci insieme per un attimo.
Abbiamo bisogno, per tanti motivi, per tante rinunce, per tanti sacrifici attuali e futuri, che i nostri cuori tornino a pulsare.
E una cosa è certa: nessun defibrillatore emotivo potrebbe funzionare meglio della Festa dei Ceri.
Se ne parlerà nelle prossime settimane? Sembra di sì (i capodieci hanno accennato questa consultazione ai ceraioli, non meglio precisando in quale forma, spero nei toni più sereni e condivisi possibili). L'importante è fare presto. Per decidere prima che diventi un tormentone estivo, come quelli che ballavano beatamente fino a 2 anni fa.
Qui provo a utilizzare il mio spazio per condividere con voi quel che penso.
Da ceraiolo, ceraiolo santantoniaro, ceraiolo che non ambisce più (ahimè) alla spallata, ormai a 32 anni di distanza dalla prima (un pezzo da punta dietro sui Pinoli, improvvisato, buttato nella mischia nonostante i rimbrotti di un poco convinto Enzino Menichelli). Ma che desidera come tanti altri, tornare a respirare "l'aria dei Ceri". Che per chi è come noi è meglio di un vaccino.
Già, l'aria dei Ceri. Che è vero, è un'aria di primavera. E questo sarebbe un punto a vantaggio dei "tradizionalisti", quelli che non sentono e non vogliono sentire parlare di Ceri a settembre. Che l'anno scorso avevano pure le loro ragioni, legittime, ma che stavolta non mi sento di condividere.
Soprattutto chi parla di "frutto fuori stagione".
Basta. I Ceri non sono una sagra. E poi, diciamoci la verità: gli ultimi Ceri a primavera risalgono a 7-8 anni fa. Nelle ultime feste vissute avevamo tutti il pile sotto la camicia, altro che rito di primavera. Il monte pareva il Col di Lana, nebbioso anche a maggio.
A parte le battute meteo, le vere motivazioni per cui mi piacerebbe prendere in considerazione l'ipotesi dei Ceri a settembre sono altre. Con una premessa doverosa: nessuno vuole "votarsi al massacro", ci devono essere le condizioni per festeggiare come sappiamo la nostra Festa. Nulla però fa pensare che tra poco meno di 4 mesi (tanto ci separa da settembre) il quadro epidemiologico e soprattutto vaccinale non arrivi a consentircelo. Specie dopo che 30 mila persone in piazza a Milano, quasi un mese fa, hanno prodotto zero contagi.
Ci sono 3-4 motivi che fin dall'anno scorso mi hanno spinto a pensare a settembre.
Il primo è proprio la situazione di settembre 2020, quando senza vaccini, l'estate ci aveva portato al livello minimo di contagi e diffusione del virus. Il che fa pensare che quest'anno con la vaccinazione in corso, tra 4 mesi il quadro possa essere ben più favorevole (certezza che non possiamo avere invece per maggio 2022).
A parte le battute meteo, le vere motivazioni per cui mi piacerebbe prendere in considerazione l'ipotesi dei Ceri a settembre sono altre. Con una premessa doverosa: nessuno vuole "votarsi al massacro", ci devono essere le condizioni per festeggiare come sappiamo la nostra Festa. Nulla però fa pensare che tra poco meno di 4 mesi (tanto ci separa da settembre) il quadro epidemiologico e soprattutto vaccinale non arrivi a consentircelo. Specie dopo che 30 mila persone in piazza a Milano, quasi un mese fa, hanno prodotto zero contagi.
Ci sono 3-4 motivi che fin dall'anno scorso mi hanno spinto a pensare a settembre.
Il primo è proprio la situazione di settembre 2020, quando senza vaccini, l'estate ci aveva portato al livello minimo di contagi e diffusione del virus. Il che fa pensare che quest'anno con la vaccinazione in corso, tra 4 mesi il quadro possa essere ben più favorevole (certezza che non possiamo avere invece per maggio 2022).
Per chi invoca l'atto di devozione al Patrono, non dovremmo neanche ricordare che a settembre c'è una data strettamente legata al culto Ubaldiano: 11 settembre.
Molto prima che questa fosse marchiata con l'attentato delle Torri gemelle, molti secoli prima fu il giorno nel quale gli eugubini decisero di condurre il corpo del Patrono (morto da 34 anni ed eletto a santità da appena 2) in cima al Colle poi definito non a caso, Eletto.
Percorrendo quell'itinerario che da allora sarebbe divenuto il cammino della Luminaria e quindi nel corso dei secoli, della Corsa dei Ceri. Non proprio una data estranea al rito Ubaldiano a cui è dedicato il 15 maggio.
Quale miglior giorno per onorare un omaggio eccezionale al Patrono?
Inoltre, l'eccezionalità di quanto accaduto giustificherebbe l'eccezionalità di questa data: primo perché la cosa più eccezionale è già avvenuta (15 maggio senza Ceri, per ben 2 volte); tutto il resto, per quanto eccezionale sia, lo sarà comunque di meno.
Secondo perché nella storia dei Ceri ci sono gia' stati episodi eccezionali per i quali la Festa non si è celebrata il 15 maggio. Giusto 100 anni fa, per non andare troppo indietro, la Festa del 1921 si svolse il 22 maggio (il 15 c'erano le elezioni politiche) e i tremendi scontri tra socialisti e fascisti crearono il caos tanto che furono le donne a portare i Ceri in cima al monte arrivando a notte fonda.
Ma soprattutto: i Ceri a settembre sarebbero un segnale di risveglio straordinario per un'intera comunità, uno sbocciare pre autunnale (ma in realtà di una "nuova primavera"), che tutta Gubbio attende con ansia dopo un anno e mezzo di restrizioni.
Lo scorso anno era logico tenere duro, e dire che la "nostra spallata era la rinuncia" (lo scrissi proprio in questo blog).
Quest'anno non più. Rinunciare per questo secondo 15 maggio ci stava. Ma i Ceri vanno fatti appena sarà possibile.
Perché sono l'unico vero segnale, anzi l'unica vera "scossa", che le nostre coscienze e la nostra anima potranno cogliere nel cammino verso il ritorno alla normalità.
Un ultimo dettaglio, da non sottovalutare, mi fa pensare a come siano auspicabili i Ceri a settembre: sarebbe una festa vera, e al tempo stesso una vera festa.
Perché sono l'unico vero segnale, anzi l'unica vera "scossa", che le nostre coscienze e la nostra anima potranno cogliere nel cammino verso il ritorno alla normalità.
Un ultimo dettaglio, da non sottovalutare, mi fa pensare a come siano auspicabili i Ceri a settembre: sarebbe una festa vera, e al tempo stesso una vera festa.
Senza i preamboli, le impalcature procedurali, le infrastrutture burocratiche (con i conteggi sottaciuti su elezioni di capodieci e giri di manicchie), i tanti appuntamenti che hanno sempre più appesantito la lunga vigilia e che, intendiamoci, nessuno demonizza, ci possono stare, ma quando si tornerà a festeggiare normalmente a maggio.
L'11 settembre (o qualcuno dice il 10, o qualunque altra data nei pressi) sarebbe da se' un'esplosione di gioia, nella sua interezza, nella sua unicità, che è anche eccezione essa stessa. Niente cene preliminari, penne e pennoni, senza troppi fronzoli ma solo con la voglia di Cero. Di vederli sbucare dal portone di Palazzo dei Consoli, o di intravedere la mantellina gialla spuntare in cima al Corso.
Quel desiderio. Nudo e puro. Che è anche voglia di stare insieme, se serve con dovute prudenze, ma esclusivamente quel giorno. Si può rinunciare alle taverne, alle aggregazioni importanti ma che sono la cornice, non il quadro.
Sarebbe come riassaporare una festa più essenziale e non per questo più povera di emozioni.
Anche perché, e così chiudo, nessuno ci garantisce che poi il 15 maggio 2022 si faranno i Ceri.
Quella certezza, che ci apparteneva, quasi indissolubile (i Ceri il 15 maggio), ora non l' abbiamo più. E' svanita.
Teniamoci stretta l'unica certezza che ci resta: di avere ancora la festa più bella del mondo
Da custodire ma anche da condividere e tenere viva prima che diventi un'abitudine.
Un'abitudine pensare che sia la festa stagionale tra la Pasqua e le vacanze estive.
E un'abitudine il non poterla rivivere al di fuori di quella data anche in situazioni, speriamo, non più ripetibili.
Il 15 maggio in realtà non è una casella di un calendario. Non è una semplice data, pur impressa nei nostri cuori.
Ma uno stato d'animo.
Che in casi eccezionali può esprimersi anche in momenti diversi, distanti ma che ci permetterebbero di riappropriarci dell'atmosfera del Quindicimaggio più autentico.
Se parlerà da qui a fine giugno: coinvolgendo mute e ceraioli (nelle forme consentite). E magari anche la voce di chi non prende più il cero o ancora non può farlo, o mai lo farà. Degli anziani che non sanno quanti 15 maggio avranno ancora. Dei bambini che non ricordano neppure cosa sia la Festa dei Ceri. Delle donne, che non soffrono meno di noi l'assenza della Festa.
Di un'intera comunità che sembra smarrita, spaesata e disorientata, dietro alibi di esigenze più importanti. Tutti i pareri hanno diritto di cittadinanza.
Purché si dia una motivazione e non semplicemente si gridi al "15 maggio e basta".
Quando nel passato, con molta più indigenza, meno finta ortodossia e maggiore laico pragmatismo, gli Eugubini seppero prendere decisioni più risolute e che sarebbero diventate fondamentali (una per tutte, l'alzata a Piazza Grande), nessuno ne uscì traumatizzato. E oggi quelle novità le diamo per scontate.
Noi tutti sentiamo il bisogno di ritrovare energia, vitalità, voglia di riprendere e di ripartire. Come dopo una caduta. Quella ripresa, quella ripartenza, per noi eugubini, può esserci soprattutto quando rivedremo i Ceri.
Appena possibile, e se possibile, proprio il prossimo 11 settembre: condividendo il desiderio di tornare alla normalità e l'amore per questo rito. Che sa essere se stesso anche nell'eccezionalità degli eventi. E delle date.
Evviva i Ceri, evviva Gubbio.
PS forse l'ho capito solo ora perchè gli stendardi non li ho messi. L'anno scorso erano un segno di speranza. Quest'anno, solo di tristezza e nostalgia. In realtà, forse, inconsciamente non l'ho tirati fuori perché spero di farlo prima che finisca questo 2021...