La vicenda non era certamente delle più clamorose ma è esemplare di come da un lato la Festa dei Ceri sia ormai diventata di patrimonio comune ovunque. E al tempo stesso, come sia facile poterne “disporre” per gli usi più disparati.
Ci riferiamo al servizio apparso sul mensile “Focus” nel mese di novembre: un accattivante racconto su come il culto “fallico” sia diffuso in tutto il mondo da sempre, sia sinonimo di virilità e potere, sia l’emblema di una supremazia. Tanto da ispirare non solo riti religiosi ma anche manifestazioni storico-folcloristiche come i Gigli di Nola e i Ceri di Gubbio.
Ci risiamo. I Ceri come espressione di una falloforia, come manifestazione arcaica di un rito che in fondo non avrebbe, secondo “Focus”, nulla di più e di meno di altre manifestazioni (legate ad esempio alla primavera o ai riti propiziatori per una stagione fertile). Sappiamo che ci sono studi frequenti e prestigiosi a riguardo. Ma per quel che ne sappiamo – e per quel che ci piace ritenere – a prescindere dalle origini più remote, i contenuti o meglio i valori attuali e autentici della Festa sono quelli di un “rito” in onore del Patrono. Di un rito religioso. Con buona pace di chi ama laicizzare tutto, specialmente oggi.
martedì 11 dicembre 2007
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