La vicenda non era certamente delle più clamorose ma è esemplare di come da un lato la Festa dei Ceri sia ormai diventata di patrimonio comune ovunque. E al tempo stesso, come sia facile poterne “disporre” per gli usi più disparati.
Ci riferiamo al servizio apparso sul mensile “Focus” nel mese di novembre: un accattivante racconto su come il culto “fallico” sia diffuso in tutto il mondo da sempre, sia sinonimo di virilità e potere, sia l’emblema di una supremazia. Tanto da ispirare non solo riti religiosi ma anche manifestazioni storico-folcloristiche come i Gigli di Nola e i Ceri di Gubbio.
Ci risiamo. I Ceri come espressione di una falloforia, come manifestazione arcaica di un rito che in fondo non avrebbe, secondo “Focus”, nulla di più e di meno di altre manifestazioni (legate ad esempio alla primavera o ai riti propiziatori per una stagione fertile). Sappiamo che ci sono studi frequenti e prestigiosi a riguardo. Ma per quel che ne sappiamo – e per quel che ci piace ritenere – a prescindere dalle origini più remote, i contenuti o meglio i valori attuali e autentici della Festa sono quelli di un “rito” in onore del Patrono. Di un rito religioso. Con buona pace di chi ama laicizzare tutto, specialmente oggi.
Non siamo gli unici a pensarlo, se è vero che il presidente dell’Università dei Muratori (finalmente) ha preso carta e penna e ha scritto al direttore del mensile in questione, ricordandogli (o forse, informandolo) della vera origine e connotazione della Festa dei Ceri.
Rispetto alle “magnesie” e agli strafalcioni del passato è già un bel passo avanti. La vicenda singola in sé, come detto, è cosa relativa. Ma ci dà spunto per riprendere la questione legata al famoso inserimento della Festa dei Ceri nell’elenco Unesco, di cui da un paio di mesi non si sente più parlare.
A Foligno, ad esempio, hanno continuato a parlarne anche in queste settimane. Pur non correndo il rischio che qualcuno possa scambiare la Quintana per un’espressione di falloforia (visto che ha 60 anni di vita). Però ne parlano, e spingono forte.
Dalle nostre parti sarebbe opportuno riprendere in mano il bandolo della questione: e mettere intorno ad un tavolo (operativo) Comune, Università e le famiglie ceraiole, che tra l’altro hanno da poco rinnovato le rispettive presidenze.
E’ bene confrontarsi su quel che si vuole e su come si vuole tutelare la Festa dei Ceri. Da tutto. Anche da un semplice turista sfortunato (e sbadato) che ha “beccato” il cero mezzano di Sant’Ubaldo in testa lungo la Callata dei Neri. Ma ha visto bene di sporgere denuncia contro il Comune (forse non sapendo che ad una signora bolognese, in analoga situazione, la causa era andata male).
E’ vero, ci sono problemi più importanti. Ma se in questa città c’è più gente a votare un capodieci che un difensore civico, non è neanche colpa nostra. Parlare, confrontarsi, cercare di capire di più sul futuro della Festa, non può far male. Anzi.
martedì 11 dicembre 2007
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