Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 15 ottobre 2014

Il mio ricordo di Ermete, quando spuntava alle 5 e tre quarti...


Ho intervistato due volte Ermete Bedini. E in tante altre occasioni abbiamo parlato. Di Cero e non solo. Perchè lui aveva una vita da raccontare. A 20 anni la campagna (e la ritirata) di Russia. Il doloroso rientro, il dramma dell'eccidio dei Quaranta Martiri che lo aveva colpito pesantemente negli affetti. E poi la vita, quella di tutti i giorni, quella più spensierata, condita da aneddoti gustosi. Raccontata con passione, con tenacia, con un incorruttibile senso del dovere.
Solo chi non conosceva Ermete, poteva descriverlo come burbero. La sua era schiettezza distillata, come le migliori grappe venete: bruciano chi non sa apprezzarle, ma vanno già che è un piacere. E danno calore. Punto.

L'immagine che conservo del dottore è speciale. E' personale. Quasi intima, se non fosse che in questo flash ci sono dentro, in realtà, migliaia di persone. Ma tutte (o quasi) ignoravano quello che passava per la nostra testa, per la pelle, per il cuore, in quei momenti. Lui no.

Lo vedevi arrivare alle 5 e tre quarti, in giacca e gilet.
Lui i Ceri li viveva così. Ti guardava negli occhi. E mentre il brusìo che circondava il Corso e penetrava nelle orecchie, finiva per assuefarsi con il respiro impastato e il battito cardiaco intermittente, il dottore ci chiedeva chi fossero le punte, chi i ceppi. E voleva sapere dei bracceri. Li squadrava, in un paio di secondi, e li battezzava a modo suo: "Boni... basta che 'n ampicciono".

Poi, una volta controllato tutto, come fossimo la sua pattuglia speciale, si voltava di nuovo verso di noi e fisso, si scioglieva in un sorriso di incoraggiamento e in un abbraccio, uno ad uno.
Guardavo quel signore, pensando a quante volte mi era apparso in fotografia accanto a mio padre, che a sua volta aveva "battezzato", con Furio braccere, sulle girate della sera parecchi lustri prima.
50 anni di differenza tra noi e lui. Ma in quel momento, a parte il Lei doveroso, era come fossimo coetanei. Era come se il tempo e l'anagrafe non contassero.
Occhi lucidi che incrociavano altri occhi lucidi. E una stretta forte. Meglio di una cintura di sicurezza.
Un'iniezione di coraggio e di fiducia che nessuna bevanda energetica avrebbe saputo eguagliare. Ermete, per la nostra "muta", era qualcosa più che un semplice doping.

Se ci sono degli istanti che conservo incancellabili delle Sei meno Cinque, tra questi c'e la comparsa improvvisa, ma indispensabile, del dottore su da Barbi. Quando arrivava lo sentivi. Sentivi che era ora.
E che quello che avresti dovuto fare (e che fino a quel momento ti angosciava), era trasformato improvvisamente in una sostanza intangibile ma che evidentemente Ermete sapeva trasmettere con qualche sconosciuta formula alchemica: l'orgoglio.
In quel momento sarebbe potuto arrivare anche un tornado. Non ci saremmo spostati di un millimetro.
Perché quello che stavamo per fare, l'avremmo fatto anche per ceraioli come lui...

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