Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

sabato 15 novembre 2014

Rileggere il passato? Può servire, ma solo se si resta in piedi...

Quando ti fermi a rileggere il passato, devi farlo in piedi. E' un po' come un messaggio che dai a te stesso. Una terapia inconsapevole.

Se ti guardi indietro, se rileggi i tuoi giorni, i tuoi scritti, i tuoi pensieri che hai lasciato alle spalle, non puoi farlo seduto in poltrona. O sdraiato su un divano - come in questo momento, mentre rielaboro strani fluidi di memoria, mescolati col presente sibillino.

Ieri, un mese fa, un anno fa, sono tutti momenti importanti. E' stato importante viverli, e' importantissimo immortalarli - magari con una foto, con un video, con un pensiero scritto in un blog. Ma e' fondamentale non fermarcisi dentro.
"E' un peccato non leggerti più sul blog" mi dice qualcuno.
E scopri il volto di chi ti segue, di chi condivide quei pensieri. Non e' per questo che lo fai, non e' - o non dovrebbe essere – voyeurismo di se stessi.
Ma forse se in questo cammino ti sei fermato, forse c'e un perché.

Non mancano gli argomenti su cui riflettere, gli spunti, la stessa aneddotica (ad esempio, i 25 anni della caduta del Muro da soli bastavano a suggerire una miriade di collegamenti).
Non mancano i personaggi su cui mi piacerebbe scrivere (uno, anzi Uno, l'avevo pronto da settimane e l'ho postato solo oggi).

Forse il problema e' un altro. C'e una sorta di limbo, di attesa che qualcosa accada, di Forche Caudine da superare, nelle quali si sono arenate molte delle energie che c'erano. O magari le migliori.  Il fermarsi per la verita' e' un concetto teorico.
La quotidianità non ti consente l'immobilismo in giacca a cravatta, almeno quello degli impegni, delle "beghe" da risolvere, dei servizi da prevedere, dei palinsesti da riempire.
C'è però un'altra dimensione che sembra quasi essersi cristallizzata in quella parte di te che stava qui dentro. Che e' ora concentrata in un progetto ambizioso e prezioso. Sul quale si condensano aspettative e silenzi. Potrebbe essere finito, ma forse bisognerà rimetterci le mani. Potrebbe essere piaciuto, ma forse sarà necessario ritoccare qualche sua parte. O intervenire radicalmente. Il dubbio in questo caso, e' un compagno di viaggio che ti ritrovi tuo malgrado. E tutt'altro che gradito.

Un po' come quei tizi che ti si siedono davanti in treno, quelli che fanno cose che ti infastidiscono, invadenti, ingombranti, magari con un cane al seguito o parlando al telefono a voce alta, in malo modo, insomma insopportabili ma dai quali non puoi staccarti: se ti alzi a cercare un altro posto sei tu che finisci per fare la loro stessa figura. E allora te ne stai li'. Silente. A sopportare e sperare che alla prossima fermata quel tipo si alzi e se ne vada.

Ieri una persona, una semplice conoscente, in un convivio dal quale tutto mi sarei aspettato men che di finire a parlare del blog, mi ha confidato che lo segue e gli piace. E indirettamente, che gli manca.
Ed e' un po' come se avesse interpretato, inconsciamente, il desiderio di "ripartire" che covavo dentro. Non so se ci riuscirò. Ma intanto comincio da qui.
Comincio dal ringraziarla. Per le parole che ha riservato ai miei pensieri, per quell'iniezione di stima che, senza neanche saperlo, ha saputo trasmettermi. Con un tempismo eccellente. Perché caduto in una giornata in cui avevo bisogno, come poche altre, di quelle parole.

"Non ti chiedi mai che una persona potrebbe aver bisogno anche solo di una parola, di un "ciao come va?", di un semplice saluto?".
Me lo sono sentito ripetere a iosa. Ma finche' non ci passi, sopra quel sentiero, un po' solitario, un po' disorientante, non lo capisci.
Scrivo ergo sum. Anche solo per il piacere di farlo. Ma se si tratta di farlo al passato, meglio in piedi. Perché non ci si siede, non ci si ferma, non si interrompe quel desiderio di guardare avanti che deve spingerci sempre, crisi o non crisi, sul lavoro, in famiglia, con le persone care. O anche con un semplice conoscente che in pochi secondi riesce a trasmetterti quell'aspirina di motivazioni che mancava.

Sembra quasi di sentirla ancora sciogliersi effervescente nell'acqua. L'ho mandata giù volentieri. Oggi va già meglio...

1 commento:

  1. E’ sì. Quando non si scrive più per un lungo periodo (deltutto relativo e personale), tornare a farlo ti fa domandare perché mai sia successo. Scrivo ergo sum. Appunto. Un qualcosa di noi stessi si ferma ad osservare, uno stand-by (in piedi) che ci dà il tempo di capire, riflettere e…ripartire. Talvolta nemmeno senza meta. Si imbocca la strada a destra del bivio e tutto prende forma. Il nostro Essere ritorna in noi e si ricomincia a scrivere. Pure senza firma, pure senza titoli o pubblico. Scrivere. Scrivere, interpretando emozioni, così come farebbe un musicista, allo stesso modo dello scultore col marmo, con la stessa fluidità di una ballerina. Scrivo ergo sum. Ma Essere è anche la stessa pausa, lo stesso silenzio che assorda. La stessa terra che si tocca perché sbattuti dal disorientamento. Il limbo, come lo chiami tu, è lo spessore che si mette tra l’Essere e il Divenire. E si ricomincia con energia rinnovata, forse anche deltutto nuova. Personalmente non credo mai che manchino gli argomenti, penso anzi che manchino le emozioni, che restano come sopite in un angolo in attesa che anche un vento leggero le sollevi. Io ho letto una poesia di Vincenzo Cardarelli “Alla Deriva”, poesia intensa e bellissima… Nella poesia c’è una strofa che dice “Fin dove il cuore mi resse arditamente mi spinsi” e… ho ricominciate a scrivere….

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