Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

giovedì 25 febbraio 2016

Il sorriso di Teresa... e un pomeriggio speciale al Residence Chianelli

C'è un momento nel quale l'emozione, interiore e contenuta per quanto possibile, può avere il sopravvento.
Giovedì scorso ero a Perugia, nella prima delle tante sortite di questi ultimi 10 giorni (c'è chi dice che dovrò abituarmici... Vedremo). 
Di sicuro è stata la più intensa e coinvolgente.
Un intero pomeriggio al Residence Chianelli, a due passi dall'ospedale del capoluogo. Dove Franco e Luciana da 25 anni accolgono e sostengono le famiglie costrette a combattere una propria guerra: quella contro la malattia peggiore.
Una guerra in cui la paura maggiore non è nel nemico - che purtroppo si conosce - ma nel rischio della solitudine, nel timore di non essere abbastanza forti, nell'angoscia di non sapere cosa di aspetta. Insomma una di quelle condizioni che se non ci passi, non serve neanche provare a descriverle.
E allora via con interviste e testimonianze, dall'appassionata narrazione di Franco Chianelli, artefice di un cammino di solidarietà che per un quarto di secolo ha reso possibile quel che forse neanche le istituzioni preposte avrebbero fatto; agli straordinari protagonisti del mondo scientifico, il prof. Brunangelo Falini, un premio Nobel in pectore per le storiche conquiste nella ricerca sulle leucemie, e il dr. Maurizio Caniglia, del reparto di oncoematologia pediatrica (uno di quei posti che ti fanno piombare addosso diversi punti interrogativi parecchie sul perchè un bambino debba subìre destini così truci). E poi le assistenti, psicologhe, psicoterapeute dello staff interdisciplinare, affiatate ed entusiaste di lavorare "in un luogo unico, per umanità e calore". 
Se ci sono però delle parole che mi hanno lasciato scolpito qualcosa di unico, quelle sono di Teresa.


Non so quanti anni abbia. Non l'ho potuto neppure capire, nascosta com'era dietro una mascherina che è la sua corazza antibatterica dopo che ha subito il trapianto del midollo, donato da sua madre Belinda. Viene dal Lazio, credo Ciociaria. Ma in fondo che importa da dove viene?
E' magra, il colore della pelle dice tutto della battaglia che sta combattendo, i capelli corti e in fase di ricrescita sono la cifra estetica del delicato iter di decorso della terapia che sta attraversando.
Quando Luciana, infaticabile animatrice di tante iniziative di volontariato legate al Comitato, mi ha accompagnato nella sua stanza, un mini appartamento di una trentina di metri quadri, diviso in due piccoli vani, non sapevo francamente come muovermi. E neanche da dove cominciare.

In queste situazioni il timore è di usare le parole sbagliate. E perfino i silenzi sbagliati.
Come spesso mi accade, ho lasciato fare a loro: all'istinto - che dopo quasi 30 anni di interviste comincia ad incresparsi lungo il versante dell'esperienza - e la sensibilità - o quel che interpreto come tale, che è quell'insieme di sensazioni che ti fanno procedere in punta di piedi, tra migliaia di uova disseminate per terra, con l'abilità di chi riesce a schivarle senza incrinare neppure un guscio.

Poi ha fatto tutto lei, Teresa. Con le sue parole, il suo spirito, la sua energia, la sua voglia.
Già, la voglia di farcela, di reagire, di giocarsela fino in fondo. Fino ai supplementari, e se dovessero servire, anche ai rigori. Lei sì che ce l'ha questa forza. 
Qualche sua frase mi è rimasta tatuata nell'anima: perchè spesso sono le persone che attraversano il guado della lotta per l'esistenza, quelle che ti fanno capire quanta energia puoi avere e puoi dare (e 
magari sottovaluti per primo).

"Lottare sempre, tutti i giorni - mi ha confidato all'inizio dell'intervista - Ho vissuto bene la mia malattia, e per la verità' non mi sono mai sentita una persona malata. Mi sono sempre definita una paziente non malata, sempre consapevole del mio stato.
Quando sono arrivata qui ho potuto capire che stavo reagendo bene e questo mi ha dato sempre più forza per affrontare la fase del percorso più dura. Non è stata una passeggiata, lo so, ma grazie al supporto di mia mamma ho riscoperto ad esempio la voglia di colorare, dipingere, l'avevo sotterrata da quando avevo 11 anni. Quando ero ricoverata, invece, non vedevo neppure l'arteterapista ma guardavo i colori. Non vedevo l'ora di colorare. E ho cercato di dipingere la mia storia. E mi piace. Mi piace stare qui, ormai questa è la mia casa. 
E' fondamentale una persona che ti stia vicino. Quando si vive una situazione del genere, ti scatta qualcosa dentro che ti cambia tutto, una rivoluzione. 
Si apprezza la semplicità delle piccole cose, anche vivere in un piccolo appartamento. Ma a me va bene così, non abbiamo bisogno di avere tante cose. Ci sono io, c'è la mamma, ci sono gli amici del Chianelli. C'è la mia nuova vita".

Teresa ce la può fare. Sa che dipende dalle persone che la circondano, prima di tutto i medici. Sa che 
ci vorrà anche fortuna, e per chi la sente, anche fede. Ma sa che dipende anche da lei. 
Un viso sottile ma tenace, due occhi che raccontano il suo volto. E un sorriso che non potuto vedere, per quella mascherina, ma che Teresa mi ha trasmesso. Il sorriso di chi ama la vita. E riesce a dirtelo, sorprendendoti.
È' stato un pomeriggio speciale. Dove le tante litanie quotidiane per le quali dedichiamo fin troppi pensieri, hanno lasciato spazio alle cose semplici. Alle cose belle. Alle cose vere.



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