Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 11 marzo 2016

Perchè intervistare Sollecito? Io la penso così...

"Vorrei esternare la mia indignazione per lo scempio andato in onda giovedì sera... dove siamo arrivati...Adesso facciamo parlare anche Sollecito?
La trasmissione di questa sera è lo specchio di una nazione che si merita tutto ciò che ha.
Spero che questa mail di protesta non sia l'unica...
"

Di solito chi fa il mio mestiere - e chi va in video a fare informazione, più di ogni altro (compresi i colleghi che non fanno tv) ci mette la faccia - tende a crogiolarsi nei complimenti, nelle congratulazioni, nei "like" e nelle faccine col sorriso che arrivano, per strada, al telefono come dalla rete o sui social.
Fa piacere, è gratificante, inutile nasconderlo. Non ne sono affatto indifferente.

Per una volta, però, comincio questa mia riflessione con una e-mail di protesta che mi è arrivata, insieme ad altri commenti che invece, ancor prima che andasse in onda la trasmissione di "Link" con ospite in studio Raffaele Sollecito, esternavano la propria indignazione.

Rispetto pienamente queste opinioni. Ma visto che ho un blog, vorrei dire la mia su questa scelta che certamente non è stata superficiale o senza riflessioni a priori, perchè nessuno di noi vive su Marte. E sapevo bene che un'intervista di 90' con Raffaele Sollecito - per altro la prima in uno studio televisivo nella regione in cui è avvenuto quanto avvenuto il 1 novembre 2007 - non sarebbe passata inosservata.

Innanzitutto partiamo da un assunto: se da Montesqieu in poi esiste un sistema giudiziario - separato da legislativo ed esecutivo - in cui dobbiamo riconoscerci (criticabile o meno, è un altro discorso), secondo questo sistema l'ospite della trasmissione invitato come autore di un libro autobiografico, è innocente.
Ognuno di noi può avere la sua verità, le sue convinzioni e la trasmissione non aveva la pretesa (l'ho pure detto in presenza dell'ospite) di orientare nessuno. Ne' tra i colpevolisti nè tra gli innocentisti. Sarebbero rimasti tali anche dopo la trasmissione, ci mancherebbe.
Nè è compito di chi fa informazione, giornalismo e televisione, trasformare il mezzo di cui dispone in un'aula giudiziaria di quarto grado (visto che i gradi di giudizio sono tre) anche se esistono format che prendono proprio questo nome e chissà, magari hanno pure questa ambizione: ci sono Tribunali, Corti d'Appello e Cassazioni chiamate a decidere (magari un po' più in fretta di quanto attualmente gli riesce). E' loro compito.
Mi è bastato laurearmi in Giurisprudenza per capire che non era quella la mia strada...
Il giudizio morale invece resta qualcosa di personale: che chi fa informazione dovrebbe cercare di separare da quello che è il proprio ruolo. Come è doveroso separare la notizia dall'opinione.

Ho intervistato migliaia di persone in questi 28 anni di mestiere (la scrivo con orgoglio, la parola mestiere, anche se oggi il termine assurge sempre più ad un'accezione negativa... peccato).
Migliaia di persone sui più svariati argomenti.
E non è che sempre fossi d'accordo con tutti loro su quanto facevano o dicevano, o anche su quel che rappresentavano; nè avevo la medesima valutazione morale su ognuno di essi.
Il mio mestiere però non è giudicare: ma nell'informare, è anche fornire gli strumenti più completi - per quanto possibile - a chi ci segue, per potersi fare un'opinione su una vicenda o un personaggio.

E allora - quando tramite la casa editrice Longanesi, che ha pubblicato il libro, contattata attraverso l'amica Anna Maria Romano (che ringrazio) si è creata la possibilità di realizzare questa trasmissione, mi sono detto: se ho l'opportunità di informare, approfondire e conoscere più da vicino una storia o un personaggio al centro di un clamoroso fatto di cronaca nella nostra regione - certamente il più grave e anche il più mediatico di questi 16 anni di nuovo secolo - dovrei esimermi dal farlo, magari per obbedire ad una mia ipotetica riserva morale?
Forse è proprio non facendo la trasmissione, per una mia personale convinzione, che tradirei quel ruolo che deve essere invece proprio di chi opera "al servizio di tutti": di quelli che la pensano in un modo e di quelli che la pensano al contrario.

Sempre con un principio di base: su vicende come questa, il presupposto è il rispetto per le vittime. E i fatti accertati (con sentenze).
Tradotto: rifuggire dal gossip giudiziario che ha invece condito per 8 anni tutta la vicenda, con plastici, fiction animate, ricostruzioni spesso folcloristiche, contorni improbabili, retroscena "sparati" ed esclusive fini a se stesse.
Che piaccia o no, la storia oggi è cristallizzata da una sentenza passata in giudicato.
E solo dopo il verdetto conclusivo (e inappellabile), ci siamo occupati di questa storia.

Come sono solito fare anche su altri versanti - per fortuna meno cruenti - senza lasciarmi incantare magari da frenetici botta e risposta di comunicati, prese di posizione, campagne di propaganda, "crociate morali" o presunte tali: tutte materie buone per ingolfare la rete, ma che prima o poi, ad un bivio si ritrovano.
Quello dei fatti.
Ecco, è a quel bivio (e non un metro prima) che chi fa informazione, deve farsi trovare pronto. Possibilmente con le domande giuste.


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