Mi è capitato di ricevere questa lettera, in modo del tutto casuale. E' interessante leggerla, proprio in questi giorni. Non solo perchè ha esattamente 61 anni, ma soprattutto perchè ispira una riflessione molto attuale. Per i suoi contenuti straordinari (ma non sorprendenti) e soprattutto per il suo firmatario.
Il presidente del Maggio Eugubino al Sindaco.
“Oggetto: Ripetizione Corsa dei Ceri 11 Settembre.
Ill.mo Sig. Sindaco di Gubbio
Nella sua riunione in data 7 corr. il Consiglio Direttivo di questa Associazione, facendosi interprete del desiderio di molti Concittadini ha espresso parere favorevole in merito all’oggetto. Si ritiene infatti che la manifestazione stessa potrebbe richiamare su Gubbio un notevole afflusso di turisti in Italia per le Olimpiadi.
Il pensiero ed il parere di questa Associazione è puramente indicativo; infatti l’autorevole parola definitiva deve essere data della S.V. e dall’Università dei Muratori. Si desidera conoscere cortesemente il pensiero dell’Amministrazione da Lei presieduta dopodiché, in caso favorevole, sarà indetta da questa Associazione una riunione di tutti gli Enti Cittadini allo scopo di fissare un programma e precisare quanto sarà ritenuto idoneo al successo della manifestazione stessa.
In attesa di cortese urgente riscontro inviamo i più distinti saluti.
Gubbio, 8 agosto 1960
Il Presidente
Mario Rosati
Dunque, questo documento, rispolverato dall'amico ed eccellente ricercatore storico d'archivio Fabrizio Cece, ci dice alcune cose.
La prima è che non è stato così raro nel XX secolo pensare e proporre lo svolgimento della Festa dei Ceri al di fuori del 15 maggio.
E' avvenuto negli anni '20 come anche nel 1930. E' stato proposto anche dopo la guerra. Persino quando si aveva la fortuna - che fino a 2 anni fa davamo per scontata - che ogni 15 maggio "si facessero" i Ceri.
Questo precedente del 1960 è indicativo perché la data è legata ad un Centenario (quello della morte di S.Ubaldo) e anche ad un evento straordinario (le Olimpiadi in Italia) che pure nulla ha a che vedere con Gubbio e le sue tradizioni.
L'estensore della lettera però non è un eugubino qualunque: è il presidente e fondatore (insieme a pochi altri innamorati di Gubbio) dell'associazione Maggio Eugubino, tra gli esponenti più autorevoli di quella comunità operosa, intraprendente e innamorata della propria città che nel dopoguerra seppe interpretare il desiderio di "ripartenza" dopo la tragedia bellica (appesantita a Gubbio dalla drammatica pagina dei 40 martiri) e seppe dare uno slancio eccezionale e senza precedenti alla promozione di Gubbio in Italia e nel mondo. Privilegiando principi e valori legati alla nostra gente, a prescindere dalle priorità (anche economiche) del momento, dalle idee politiche, dai sentori momentanei e dagli umori della piazza (che allora non era sul web).
Un Eugubino, Mario Rosati, con la E maiuscola, cui non faceva difetto coraggio, intraprendenza, spirito di iniziativa, a costo di sembrare impopolare: la cui unica stella polare era il bene della città, era Gubbio. Al di sopra di ogni altro interesse ed esigenza contingente.
Lo scrivo per ricordarlo soprattutto a quei giovani che magari ne hanno solo vagamente sentito parlare. E che oggi si interrogano, giustamente, su tanti aspetti legati a ciò a cui si deve rinunciare. E soprattutto al perchè questa comunità è costretta a rinunciarvi.
La Festa dei Ceri rappresenta il momento più identitario della comunità eugubina. Almeno su questo, spero che ci sia una condivisione generale. Perfino su facebook (un "territorio" nel quale immagino che un Mario Rosati non si sarebbe mai avventurato, specie per trattare di questi temi).
La Festa dei Ceri, come scrissi qualche mese fa, rappresenta per questo l'unico vero "defibrillatore" sociale ed emotivo, che potrebbe finalmente scuotere la nostra comunità e farla sentire fuori dal tunnel dell'incertezza, della precarietà, dell'apnea di sentimenti, volontà e prospettive cui questa pandemia ci ha condannati. Il momento di Vita capace di riaccendere il senso di torpore generale che sembra aver pervaso soprattutto i più giovani.
La Festa dei Ceri, come noi la conosciamo, non tornerà presto. Bisognerà prenderne coscienza. Capire che sarà inevitabile aspettare ancora qualche anno (speriamo non troppi) per poter rivedere un'immagine come quella del 15 maggio 2019. Che ancora a lungo ricorderemo come l'"ultima festa prima della pandemia".
Dunque?
Bisogna semplicemente dire le cose come stanno.
Se la Festa dei Ceri è davvero il momento identitario di questa comunità, se davvero rappresenta l'espressione più alta del nostro essere eugubini, se costituisce quel "testimone" morale che le generazioni si tramandano l'una con l'altra, ebbene, richiede uno sforzo eccezionale per far sì che non possano trascorrere uno, due o addirittura tre anni senza che se ne riveda una traccia. Che non sia un filmato su youtube.
La Festa dei Ceri, se è tutto questo, deve essere fatta.
Nelle forme e nelle condizioni che il momento attuale consente. Come in fondo è avvenuto da sempre.
Se osserviamo le foto del passato (neanche tanto remoto, pensiamo solo al XX secolo), in qualunque decennio prima degli anni Sessanta-Settanta (per capire, prima del boom mediatico favorito proprio dall'opera di Mario Rosati e degli eugubini suoi coetanei, che contribuirono a rendere il 15 maggio celebre in tutto il mondo) notiamo scenari "desolatamente" vuoti e con pochissimo contorno di pubblico. La stessa Piazza Grande raramente è gremita in ogni metro quadrato.
Erano pochi i ceraioli ma erano pochissimi anche coloro che partecipavano alla Festa.
Eppure erano i Ceri anche allora. Quella era la Festa che tutti quegli eugubini conoscevano. Era meno affollata ma non meno appassionata e sentita, anzi.
La risposta in realtà è molto più semplice: i Ceri sono lo specchio di ogni epoca, non sono una mera rievocazione in costume, una parata artefatta ed estemporanea, ma sono l'essenza di quello che la società eugubina del tempo, sapeva esprimere, riprodurre, esternare. E oggi non potrebbero che essere la "Festa nell'epoca della pandemia".
L'unico comun denominatore è sempre stato il suo momento conclusivo. Che era anche la sua meta: l'arrivo ai piedi dell'urna del Patrono.
Cui si poteva arrivare anche a notte fonda, come accadde esattamente 100 anni fa, perchè a portare i Ceri, a proseguire quel rito, furono poche donne, forti e coraggiose, nonostante l'epoca non concedesse loro grande spazio di emancipazione, ma capaci di sopperire all'assenza degli uomini, nascosti a causa dei disordini politici del periodo.
Oggi, con la pandemia a farci da contorno, come potremmo però immaginarci la Festa dei Ceri?
Non è una risposta semplice. Ma forse, a pensarci bene, lo è molto più del groviglio di polemiche che si sono condensate negli ultimi mesi facendo perdere di vista a tutti il vero obiettivo.
Lo scenario di oggi - che è molto meno critico del 2020, soprattutto con numeri di ospedalizzazione e terapie intensive fortunatamente bassissimi - non cambierà a breve. Sarà, quello di oggi, più o meno lo stesso che avremo tra 8 mesi.
In quel 15 maggio 2022 quando, a detta di alcuni che oggi inorridiscono all'idea di una Festa organizzata e svolta al di fuori della sua tradizionale data, sono certi che il 15 maggio 2022 "li faremo a tutti i costi".
Magari esserne sicuri.
Invece probabilmente il timore è che non sarà così.
Perchè se li avessimo voluti fare "a tutti i costi", li avremmo già fatti.
Come?
Intanto abbandonando un atteggiamento passivo, attendista, fatalista. Ai limiti del masochista. Che ha portato in molti a pensare che la Festa dei Ceri o si fa come la conosciamo o non si fa.
Una presa di posizione che diventa non solo egoistica ("o se fa se ce so io o non se fa") ma ha il sapore di una condanna, proprio per quel che si diceva: la condanna a non farli per un bel pezzo.
Con la triste conseguenza che in tanti, soprattutto giovani ma anche meno giovani, finiscano per ABITUARSI all'assenza della Festa dei Ceri. E chissà un giorno, tra qualche anno, a rinunciarvi perchè c'è un acquazzone, o perchè è saltato un contatore elettrico (e magari si scongela qualche quintale di pietanze destinate a una taverna).
Se ho bisogno di qualcosa, se ne sento davvero la necessità, se per me è importante, sono disposto ad averla anche in forma ridotta. Dato che l'alternativa è non averla per niente.
Se invece per me è indifferente averla o non averla (perchè o c'è nella sua forma considerata "originale" o meglio non farla) significa che, in fondo, quella cosa non è poi così importante.
Non è egoismo. E' logica. E in questo caso, logica sentimentale.
Altre città (come Sassari, con i Candelieri) hanno scelto di tornare ad organizzare le proprie feste. Feste diverse, per carità, non paragonabili. Ma per ognuna di queste comunità, erano e sono le proprie Feste.
C'è stata una volontà forte e una coesione sinergica, favorita magari anche da una maggiore semplicità organizzativa, che ha saputo vincere le restrizioni normative. Trovando una soluzione compatibile con le stesse. Ma riuscendo a proseguire la tradizione. Che non sarà millenaria, e neppure secolare. Ma che nel 2021 (e in alcuni casi, perfino nel 2020) ha comunque trovato modo di esprimersi. E avere continuità.
Siamo davvero sicuri che non sia possibile farlo anche con la Festa dei Ceri?
Che non ci siano intelligenze, saperi, professionalità in grado di mettersi a disposizione della comunità per trovare una soluzione percorribile e accettabile, un sano compromesso, in grado di garantire la "continuità" della Festa?
Mi rifiuto di pensarlo. E infatti non è così.
E' stato presentato un progetto dettagliato, frutto di un lavoro certosino e qualificato. Ovviamente sui social si è scatenato di tutto. Ma questo ormai è il vero folclore del XXI secolo, che accompagna ogni novità del vivere quotidiano. Lo "sfiotto" libero, spesso privo di un qualsiasi basilare conoscenza sull'argomento, così come dell'uso della lingua italiana. Provare a rispondervi non è impossibile. E' inutile.
Ciò che invece sarebbe inaccettabile è rinunciare a priori a conoscere se c'è una via d'uscita dall'apatia attuale. Rinunciare a ipotizzare una soluzione.
Lo scorso anno l'alibi era la pochezza sostanziale di adesioni ad una Festa al di fuori di maggio. Quest'anno neanche tutto ciò può reggere: ci sono state oltre duemila persone che hanno espresso la volontà di celebrare il rito della Festa anche al di fuori del 15 maggio.
"Nella forma che tutti conosciamo", dirà qualcuno, quasi a voler annullare la valenza di quella manifestazione di volontà.
"Nella forma che l'attualità ci consente", è invece la definizione con cui dovremmo (e dovremo da qui in futuro) rapportarci.
E' quello di cui tutti, ma davvero tutti, debbono prendere coscienza.
Tutti quelli che amano la propria città, le sue tradizioni, il passato ma anche il futuro della nostra comunità.
E che non vogliono che questa epoca un giorno sia ricordata per quello che - nonostante il bagaglio di conoscenze, strumenti, saperi e tecnologie a disposizione (imparagonabile con qualunque era passata) - non si è avuto il coraggio o la volontà di fare.
PS Ho letto più di una volta questa lettera. E mi sono convinto che oggi un Mario Rosati non avrebbe alcun dubbio sul da farsi.
Una convinzione che, comunque vadano le cose, mi rende orgoglioso. Di quel che penso e di quel che sento. Anche dovessi ritrovarmi in una ristretta minoranza.
In fondo non credo che il primo soldato eugubino a cui sarà venuto in mente di organizzare la Festa dei Ceri sul Col di Lana sarà stato preso sul serio. Eppure alla fine ebbe ragione lui.
Ma anche in senso inverso, in quel 1960, quando la Festa a settembre, proposta da Rosati, in realtà non si fece (con la enorme differenza rispetto ad oggi che sarebbe stato comunque un doppione del 15 maggio, già svolto).
Nonostante questo, l'onestà intellettuale, la compostezza istituzionale, l'energia vibrante e il sentimento sincero che affiora dalle righe di questa lettera di Rosati, in una parola lo spirito di autentica eugubinità che ne traspare, sono la cifra che dovrebbe ispirare chi è chiamato ad assumersi responsabilità soprattutto in un periodo che richiede decisioni gravi e importanti. E dovrebbe ispirare gli Eugubini.
Ad una scelta di fondo:
PRESERVARE IL RITO, a costo di doverne prevedere una versione ristretta, o LA SUA PARTECIPAZIONE COREOGRAFICA, col rischio però di aspettare diversi anni?
Basta scegliere. E assumersi le conseguenti responsabilità.
Nel frattempo, mentre giunge notizia che nel 2022 il semplice ingresso a Venezia avverrà a numero chiuso, qualcosa mi dice che da qui a 8 mesi, quel protocollo così vituperato in queste ore, potrebbe tornare utile...
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