Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 11 giugno 2014

Quel rito esoterico chiamato... Mondiali


Il Mondiale di calcio. Un rito esoterico che ogni quattro anni contagia milioni di persone.
Non vedo l'ora che arrivi. Non solo perché per un 2/3 settimane funziona da splendido anestetico della monotonia estivo- quotidiana. Quanto piuttosto perché i Mondiali di calcio rappresentano una sorta di pellicola della memoria che vedi correre lungo il cammino della tua vita.
Può apparire esagerato, ma in realta' la frase del libro di Paolo Rossi (Pablito, non il comico), ovvero che puoi non ricordare che poche date della tua vita, ma non dimenticherai mai dove e con chi ti trovavi il giorno in cui l'Italia vinse i Mondiali, e' sacrosanta.

In questi giorni mi diverto alla sera a fare un po' di zapping (per carità, pochi minuti, roba di mezz'ora al massimo) nei canali tematici che si divertono a riproporre dai propri archivi le immagini dei Mondiali del passato. A parte i capolavori narrativi di Federico Buffa su Skysport e SkyArte (un nuovo genere di linguaggio per raccontare lo sport oltre lo sport, andando anche oltre le emozioni capaci di essere evocate da un format come "Sfide"), ogni tanto spunta un filmato in bianco e nero, qualche spruzzata di amarcord, qualche gol da far scappare le corde vocali, qualche rigore a groppo in gola impossibile da digerire.

Tra le analogie di questo Mondiale con i primi ricordi infantili, c'e il fuso orario. Il mio primo Campionato da telespettatore/tifoso cosciente fu quello di Argentina 78: avevo solo 7 anni ma già il calcio era un bel diverticulum, soprattutto perché in quell'occasione - con le partite che si giocavano da mezzanotte in poi senza che il calcio fosse legato a doppio filo alle esigenze tv - significava andare a letto a notte fonda. Roba da grandi!
E se le palpebre non reggevano, la mattina ci si svegliava precipitosamente per andare a chiedere risultato e marcatori al babbo in camera da letto. Non esisteva nè Sky active, nè le finestre tematiche che se vuoi, ti rimpinzano di gol per 24 ore al giorno.

I vaghi flash che porto ancora nelle meningi mi accendono qualche fioca luce (ovviamente in bianco e nero) sulla partita degli Azzurri di Bearzot con l'Argentina, vista a casa dei nonni materni a San Martino, sul gol di Bettega (un nome quasi mitologico per me bambino, sentendolo nominare almeno ogni domenica, come fosse il prete sull'altare), sull'inevitabile mio crollo tra le braccia di Morfeo (non quello dell'Atalanta).
O qualche rimembranza nella quasi semifinale con l'Olanda (allora c'erano i gironcini di semifinale, studiati ad hoc per catapultare l'Albiceleste di Menotti in cima al mondo) vissuta a cavallo tra l'autogol iniziale degli Orange che sembrava spianare la strada e una partita giocata per strada con mio cugino Ettore interrotta dalle notizie che arrivavano dal terrazzo di casa (prima il pareggio e poi il vantaggio della squadra dei mitici gemelli VandeKerkof, con questo nome che ricordava le scatole di cioccolatini di una vecchia zia).

Tasselli di un passato che non può tornare: con le sintesi di telecronaca di Nando Martellini, le cravatte gigantesche degli inviati con basette improponibili, quei numeri sulle maglie fino al 21 che sembravano trasformare il calcio in qualcosa di diverso, quelle maniche lunghe e quel freddo così inusuale di giugno (ma in Argentina era inverno pieno) che sembravano trasmettere emozioni davvero dall'altro mondo (espressione banale, ma che un Papa, guarda caso proprio argentino, 35 anni dopo, avrebbe trasformato in un'epigrafe indimenticabile).
Chissà dov'era nel '78 Bergoglio. Io, nel mio piccolo, ero in casa a sognare che gli Azzurri vincessero. Non accadde, almeno per quel '78, anche se resto dell'idea che quella Nazionale fosse più forte di quella che 4 anni dopo avrebbe alzato la Coppa, rendendo indimenticabile il 1982 e forse un intero decennio.
Ma si sa... le grandi vittorie nascono anche da qualche sconfitta. E nella fattispecie, dalla testardaggine di un signore friulano che puntò su un blocco (quello Juventus) e alla fine ebbe ragione...

Tasselli di un passato che non può tornare. Ma che ogni 4 anni alimenta l'album dei ricordi. E un altro capitolo della vita. Parrà banale, parrà retorico. Ma per milioni di persone, non solo in Italia, l'esoterismo del Mundial, sta proprio in questo...

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