Capiamoci subito. Parliamo di calcio, parliamo di partite a gironi nelle competizioni internazionali piu' importanti.
La seconda partita e' diventata un incubo, a prescindere dal nome dell'avversario. Anzi piu' e' esotico e improbabile, più e' facile che gli Azzurri siano in vena di prestazioni memorabili. Memorabili alla rovescia.
Che cosa accadrà ora martedì, alla solita ora di pranzo (in Brasile) contro l'Uruguay?
Ci giochiamo il futuro del Mondiale 2014 con quella che in fondo e' la squadra piu' italiana dopo l'Italia, non solo perché 1/3 dei suoi 3 Milioni e mezzo di abitanti (poco piu di Roma) ha cognome o sangue italico; non solo perché quasi tutti i componenti della Celeste sono calcisticamente maturati nei nostri club; ma soprattutto perché da sempre l'Uruguay e' la piu europea delle sudamericane, nel gioco, nell'agonismo, nella forza di non mollare mai. E di non tradire le attese. Di solito.
Ci giochiamo il futuro del Mondiale 2014 con quella che in fondo e' la squadra piu' italiana dopo l'Italia, non solo perché 1/3 dei suoi 3 Milioni e mezzo di abitanti (poco piu di Roma) ha cognome o sangue italico; non solo perché quasi tutti i componenti della Celeste sono calcisticamente maturati nei nostri club; ma soprattutto perché da sempre l'Uruguay e' la piu europea delle sudamericane, nel gioco, nell'agonismo, nella forza di non mollare mai. E di non tradire le attese. Di solito.
"Se l'Inghilterra e' la madre del calcio, l'Uruguay e' il padre", si diceva un tempo. Mentre i presuntuosi sudditi di Sua maestà rifiutarono di giocare il Campionato del Mondo fino al secondo dopoguerra (perché da ideatori del gioco del calcio si consideravano il dream team planetario che non poteva sporcarsi i parastinchi con italiani e austriaci), proprio Italia e Uruguay - quasi come sorella e fratello - vincevano i primi 4 Mondiali (2 a testa) tra il 1934 e il 1950 compreso il celebre Maracanazo, ovvero l'imprevedibile 2-1 uruguagio firmato Ghiggia e Schiaffino (poi naturalizzati italiani, guarda un po'...) inflitto al Brasile niente meno che nel tempo del calcio carioca davanti 200 mila persone.
Tutto questo conterà qualcosa martedì sotto il sole cocente di Natal, e all'umidità tropicale così invisa ai giocatori di Prandelli? Forse.
Perché in certe partite non conta solo come ti metti, chi gioca, che schema adotterai. In certe gare, da dentro o fuori, conta soprattutto CHI SEI. Chi sei davvero, chi senti di essere e rappresentare.
E anche quale storia porti alle spalle e quale storia intendi onorare. E magari continuare a scrivere.
Un peso, tutto questo, quando davanti hai Costarica, Corea (Nord o Sud e' indifferente) Slovacchia, Croazia, tanto per citare qualche nome a caso delle "Caporetto" calcistiche degli ultimi anni (spesso alla seconda giornata). Uno straordinario stimolo, invece, quando davanti ti ritrovi un altro monumento ideale della storia del football. Che conosci a memoria (anche per averci giocato non piu tardi di 12 mesi fa per il terzo posto della Confederation) e che in fondo ti somiglia parecchio.
Certo e' che la seconda giornata di un torneo di quelli pesanti, comincia a diventare indigesta alla maglia azzurra. L'ultima volta che l'Italia ha vinto una "seconda giornata" Mondiale comincia ad avvicinarsi alla maggiore età: era il 1998 e la Nazionale di un altro Cesare (Maldini), trascinata da un'altra ariete ex interista (Vieri) travolgeva il Camerun 3-0, dopo aver sudato non poco per rabberciare un prezioso 2-2 al debutto contro il Cile di un emergente Salas.
L'ultima volta in assoluto - a parte il 4-3 dell'anno scorso alla Confederation rifilato al Giappone di Zac - e' in realtà a cavallo tra i due secoli: risale al 2000 quando un Belgio anni luce lontano da quello attuale (che senza timore di smentita potrei pronosticare come probabile semifinalista) cedette di schianto all'Italia di Dino Zoff, forse la Nazionale piu' qualitativa dell'ultimo decennio, non a caso il gruppo base che poi trionfo a Berlino: Totti prima e Fiore poi infilarono i fiamminghi. Fu anche l'ultima Italia che chiuse la prima fase a punteggio pieno (9 punti in 3 gare) andando a battere ed eliminare anche la Svezia nella terza ininfluente partita in barba a qualsiasi sospetto di "biscotto". Gli scandinavi ci "ringraziarono" 4 anni dopo rifilandosi il piu clamoroso dei frollini in coppia coi danesi, unico caso nella storia del calcio in cui una squadra con 5 punti (Italia del Trap) fu eliminata al primo turno. Tra arbitri corrotti (2002 Byron Moreno) e vichinghi felloni il povero Trap dovette ingurgitare due supposte beffarde e colossali.
Spesso, molto spesso, insomma, e' accaduto che gli Azzurri si siano giocati il tutto per tutto alla terza gara. Quasi sempre.
Quando sarebbe stato necessario vincere, qualche volta siamo tornati a casa (come agli Europei inglesi, con il rigore di Zola abortito coi tedeschi; o come 4 anni fa con i carneadi slovacchi), altre volte e' bastato un pari - proprio come contro l'Uruguay. Uno di questi mi costo' una corda vocale, sull'incornata di Del Piero alle spalle di un portiere messicano con la faccia da pusher (2002) in una gara surreale vissuta da solo in un'abitazione che non era mia, mentre i figli giocavano nel giardino con alcuni amichetti ignorando che il loro papà stava friggendo.
Qualche volta il pari e' bastato. E qualche volta, come nell'82 o nel '94 da un pari anonimo, e quasi discusso, c'e' scappato il Mondiale memorabile...
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