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mercoledì 30 gennaio 2019

La "Giornata della Memoria" riporta la mente a Berlino, quartiere Mitte: una dei tasselli del puzzle di storia in questa straordinaria città

La Giornata della Memoria se ne è appena andata: da alcuni anni questo è un periodo in cui crescono quei momenti in cui ci si abbandona alla riflessione. Un po' perchè la spensieratezza degli "enti" e degli "enta" è un lontano ricordo; un po' perchè più si matura e più si conoscono storie che ci rimandano, come in un flashback, a quello spicchio di Storia che - se non fosse salutare riverberare nelle menti dei più giovani - meriterebbe l'oblio eterno.

Non sono mai stato ad Auschwitz, o in qualche altro luogo di dolore: icona di quanto l'uomo possa imbarbarirsi oltre ogni limite ontologico, oltre ogni barriera ideologica, oltre ogni deriva bestiale.
Di Auschwitz l'Europa è piena e non solo in Germania. Per raccontare il Novecento, l'epoca che i nostri nipoti studieranno sui libri di Storia come la più sconvolgente, evoluta ma anche drammatica nell'era moderna. Mai in nessun altro periodo dell'evoluzione umana, si sono compiute scoperte rivoluzionarie come quelle che hanno cambiato la vita nel XX secolo. Al tempo stesso, nessun altra parentesi umana è stata cosi tanto devastata da morti, ingiustizie, stragi di massa.

Verrebbe quasi da chiedersi se l'Uomo abbia bisogno di toccare il fondo, il proprio fondo, per poi vedere davvero la luce, per capire quanto possa essere più elevata, più nobile, più civile la propria esistenza.
Immerso nel monumento alla Shoah di Berlino - agosto 2013
Che è un po' la sensazione che mi ha ispirato passeggiare in silenzio tra i cubi del Monumento alla Shoah di Berlino, nel cuore del quartiere Mitte: questo enorme dedalo scandito da blocchi di cemento grigio scuro, inquietanti nella loro pesantezza, volutamente opprimenti nel messaggio che l'autore ha voluto imprimere al proprio linguaggio. Quel rigido e immobile carosello di spigoli parla oltre ogni commento, sa scavare più a fondo di un'iperbole, riesce ad esprimere più emozioni di un affresco. In quei parallelepipedi rivedi tutto, i lager, le camere a gas, i forni, ma anche il silenzio, l'ipocrisia, la storia non raccontata, i milioni di morti ebrei e non solo, le tragedie consumate al di là di ogni cortina, e magari occultate per decenni solo perchè perpetrate da chi "non stava dalla parte del torto". Penso ad esempio ai lager di Tito, nella ex Jugoslavia.

Difficile trovare lo spazio di un sorriso, pensando a quel Novecento. Dove la vita, e il suo stesso senso, non valevano lo spazio di un respiro. Dove sopravvivere - almeno nei primi 45 anni di quel secolo - era questione tanto labile quanto perdersi nel passeggiare tra memorie fosche e inquietanti. Perfino al Museo di Anna Frank, sempre nel Mitte, dove ad accoglierti c'è proprio il suo sguardo, un sorriso accennato, innocente, incosciente. Quello della ragazzina simbolo della Shoah, il cui diario vale più di un trattato di storiografia.
All'interno trovi una biblioteca, una serie di aule illuminate, chiare, positive. Che ispirano uno sguardo al futuro. Che fanno respirare, ancor più dei blocchi del monumento di Peter Einseman, l'architetto newyorkese di chiare origini ebraiche che in quel labirinto color cenere sembra fare il verso alle creazioni mastodontiche del nostro Burri, con il suo "Cretto" in terra di Sicilia.
La luce sopravanza le ombre, non c'è dubbio. Grazie anche alle parole di Anna, questa piccola vittima. Perfino inconsapevole di poter fissare, nella memoria dei posteri, una "pietra d'inciampo" così nitida e profonda - la sua testimonianza - da non poter essere più dimenticata.

Di Berlino conservo decine di immagini che mi hanno scolpito nella memoria rilievi indelebili: una città che ci racconta il Novecento come pochi altri luoghi.
Che ci rivela come quello tedesco sia un popolo che ha deciso le sorti drammatiche di un secolo, ma che ne ha pagato appieno le conseguenze. E che non potrà che portarne addosso le cicatrici anche in futuro.
Lo racconto spesso agli alunni a cui parlo del mio libro, della storia di Guglielmina e di Peter, che nella sua vita ha inciso come un tatuaggio, il tortuoso percorso del Novecento teutonico.

Il Nazismo, ma anche il Muro di Berlino, la cortina invalicabile della DDR. Una gita a Berlino varrebbe più di decine di lezioni teoriche per un ragazzo. Lo è stato per me, che non ero neanche più un ragazzo quando nel 2013 ci sono capitato, proprio per andare a trovare Peter Staudacher, conoscerlo, intervistarlo e mettere le prime fondamenta sul lavoro che poi si sarebbe intitolato "Nel segno dei padri",
Oggi, da lontano, quella Germania per molti ha le sembianze di una madre-matrigna per un'Europa che non riesce a trovare un briciolo di identità politica, di posizione strategica, di dialogo comune.

Quasi che il Novecento non sia servito a nulla. Non abbia insegnato cosa fare. E soprattutto cosa evitare.

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