Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

domenica 21 luglio 2013

Il tempo? Non è soltanto una lancetta che gira...

Il tempo non è una lancetta che gira attorno ad un cerchio di 60 tacche.
Quella è un’invenzione dell’uomo.
Il tempo siamo noi.
E tutto quello di importante che riusciamo a costruirci e viverci dentro...

La frase non è granchè ma m’è spuntata dentro mentre rincasavo, stasera, un po’ stancamente.
Me l’ha ispirata una riflessione, condivisa con un amico: e la canzone di Jovanotti (appunto “Tempo”) ha fatto il resto. Mi era capitato di canticchiarla, ieri, forse come retaggio di qualche zapping radiofonico captato passivamente in auto mentre aspettavo al semaforo qualche ora prima. Mi succede così, quando ho la testa immersa nei pensieri, ma non abbastanza perché non si lascino filtrare da qualche nota. La musica non la ascolto, ma mi passa, mi lascia qualche traccia, quasi che il cervello e l'anima musicale (che ognuno di noi ha dentro, ma che utilizza in dosi diverse) riescano a drenare frasi e si bemolle. E a distanza di ore, mi torna in superficie, mentalmente, sotto forma di strofa da fischiare o canticchiare in silenzio, da solo.

Gioco oziosamente con i tasti dell’autoradio, mandando avanti le stazioni, senza accorgermi neanche che frequenza mi capiti. Preferisco la ricerca manuale, a quella dei canali pre-selezionati. Non so perché, forse perché dopo tre-quattro “passate”, mi ricordo a memoria la sequenza delle radio, le voci, i conduttori e i jingle. Invece con la ricerca manuale, non sai mai cosa ti capita: una specie di slot machine radiofonica, che può serbarti liete sorprese (qualche pezzo anni ’70) o una disastrosa caduta emozionale (qualche litania da una chiesa sconosciuta o un improbabile conduttore con accento “donca” che ti spiega la ricetta del giorno, presa da un copia incolla su google).

Il tempo, già. Cos’è il tempo? Quante volte ce lo siamo chiesto? Forse poco, forse mai. Magari perché non avevamo tempo.
Poco fa mi sono letto, sulla pagina "Nova" del Sole 24 ore, che è pronto in rampa di lancio il nuovissimo I-watch, la nuova frontiera della interconnessione informatica. Un pc-orologio che, stando agli esperti, finirà per cambiare le dimensioni del nostro "tempo".
Ma come? mi sono detto,. Già non abbiamo tempo di fare quel che stiamo faticosamente realizzando? Che ora esce fuori un marchingegno infernale che ci cambia tutto?
Ma davvero qualcosa o qualcuno (Steve Jobs o un suo discepolo) potrebbere cambiare il significato e la dimensione del nostro tempo?

Talvolta, domande così “banali” - così tipiche di una domenica estiva, trascinata in un felice otium tra una passeggiata, una lettura sul divano e un tuffo nella piscinetta dei bimbi - andrebbero fatte.
Se non altro a se stessi. Non tanto per riempire il foglio di un blog. Ma perché è dalle risposte a queste banalità che spesso si ricava la chiave o la risposta ai quesiti più nodali della nostra esistenza. 

Cos'è davvero tempo? A vederlo e sentirlo, così, mi sembra quella dimensione che diamo ai nostri pensieri: un’unità di misura degli impegni quotidiani, gli appuntamenti, le scadenze, i ritardi (soprattutto questi, nel mio caso). Un lento susseguirsi di rintocchi silenziosi con cui scandisci la tua giornata.
Se dovessi (dovrei ma non riesco a farlo) elencare fin dalle 8 di mattina la mole di faccende che in quella giornata mi ritrovo a dover sbrogliare, finirei per ritrovarmi alla sera in preda al panico, non avendo potuto risolverle tutte… E perchè?

Mancanza di tempo, mi rispondo io. Almeno in apparenza.
In realtà in quell’enorme serbatoio di energia – che viene a mancarti – chiamata tempo, ciò che viene meno è ciò che conta davvero. Lo spazio per le persone più care, per i gesti più semplici, per riscoprire emozioni lontane e dimenticate, fatte di una passeggiata, un profumo, una foto di qualche anno fa, una routine dismessa.

Il tempo, lui, in fondo, resta imperturbabile. E’ sempre lo stesso. Mica non si muove, lui, il tempo. Non cambia ritmo, non modifica i suoi passi. Un secondo segue l’altro ma non è mai quello di prima. Procede impassibile. Senza problemi di rughe e di "panza".
Puoi fermarti, o correre. Puoi pensarci o mettere la testa da un’altra parte.
Il tempo fa la sua strada. Autonoma e incessante. C’era prima che ci fossimo, ci sarà dopo che noi finiremo di esserci.

Penso al tempo, e al suo inflessibile incedere, senza pause, senza rilassamenti, quando mi trovo in un locale antico – può essere una soffitta o magari un taverna, come quella che ho riscoperto qualche giorno fa nei bassifondi di un palazzo nobiliare del centro storico eugubino: mura cariche di muffa, oggetti impolverati, umidità inossidabile. Avverto tutto questo con un senso di apprensione, tra qualche domanda sciocca e uno sguardo incantato: da quanto quella polvere sta infoltendosi, quanti giorni, quanta strada, quante emozioni si sono accavallate nella mia pellicola personale, mentre quel baule o quella cornice, quel pezzo di ferro macerato dalla ruggine, lentamente deperivano.

Risposta non ce n’è, ma è sufficiente chiederselo per capire che in quell’atmosfera immobile è corsa via una vita (invisibile ma esistente) che pur limitandosi a qualche granello di sabbia, è proceduta di pari passo con la tua, di vita.
La stessa sensazione che percepisci dando uno sguardo alle suppellettili di una nave affondata (tra qualche giorno sarà il centenario dell’affondamento del Titanic), pensando che gli anni sono corsi via, ma quegli oggetti sono rimasti lì, incagliati in un abisso marino, ma capaci di resistere.
E di vivere, anche loro, in quell'abisso, il proprio tempo.






1 commento:

  1. “Il tempo siamo noi”, scrivi a ragione come inizio dei tuoi pensieri. Il tempo è una bolla sospesa nello spazio e allo stesso modo lo incorpora. Il tempo trattiene l’uomo e gli dà origine. Ma cosa è il tempo senza l’uomo? Forse null’altro che un divenire costante…
    E se mi concedo la bontà di tale risposta scopro che questo divenire costante è diverso in ogni parte della terra: il suo conteggio, la scansione, la sua importanza, la sua durata. E se da una parte riusciamo a fare innumerevoli cose durante la giornata, più cose insieme nel minor tempo possibile, cercando affannosamente il significato di “pazienza”, c’è chi da un’altra parte della sfera terrestre vive, quella che noi definiremmo “lentezza”, senza sospettare che esista una definizione di “lentezza”. E, a parere nostro, hanno tutto “quell’enorme “serbatoio di energia” per le persone più care, per i gesti più semplici, per riscoprire emozioni lontane e dimenticate, fatte di una passeggiata, un profumo, una foto di qualche anno fa, una routine dismessa”. Riflettendo ritengo che si possa concentrare tutto in un’unica parola: possibilità… intesa come opzione, alternativa, scelta. Concordo con quanti scrivono che siamo noi a scegliere a quali esperienze della vita sottoporci. Ovvero non proprio noi nella nostra consapevolezza, bensì noi nella nostra essenza primaria, l’anima; dunque ritorna “il tempo siamo noi” e magari riusciamo a giustificare, quasi a farci una coccola, tutte le volte che non riusciamo ad avere il tempo per un gesto semplice, per chiamare un amico, per soffermarci a godere la luce di uno sguardo e nutrirci della sua familiarità, della sua saggezza, del suo affetto. O solo per concederci del tempo.

    Michela

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