Ci sono sfide che sembrano impari. Non solo per il valore dell'avversario, ma soprattutto per il contesto nel quale si disputano. Lo sport è pieno di pronostici ribaltati - il più celebre venne ribattezzato "Maracanazo" ed è datato 1950 - ma per chi quelle sfide le vince il sapore è davvero di un'impresa incredibile.
Quel sapore che arricchisce la terza medaglia d'oro di queste Olimpiadi azzurre. Perchè ottenuto nel Tempio della Scherma - quel Grand Palais a Parigi, che è uno dei teatri più suggestivi di tutta la rassegna, con una gradinata infinita, una scalinata sensazionale dalla quale scendono i protagonisti dopo essersi affacciati da un balcone davvero olimpico e in un clima irripetibile (se non nelle polverose distese della stessa Olimpia). E lo sceneggiatore di questa pagina di sport azzurro ha deciso di renderla immortale per la dinamica, la collocazione temporale e anche la sua unicità tecnica.
Un confronto, Italia-Francia, che assegna la medaglia d'oro della Spada femminile a squadre: l'Italia non ha mai vinto questa medaglia alle Olimpiadi (la specialità è stata introdotta "solo" nel 1996), se la gioca sul campo delle proprie avversarie, le Francesi a Parigi. Se la gioca a 24 ore da uno dei più clamorosi "errori arbitrali" della storia olimpica della scherma, proprio ai danni di un atleta azzurro. Con un pubblico di oltre 8.000 tifosi che le remano contro. Le quattro protagoniste azzurre (tirano in tre ma la riserva Navarria entrerà a gara in corso al posto della deludente Fiamingo, rivelandosi decisiva) partono bene, vanno sotto di 4 stoccate, riescono a ricucire lungo la strada, e si ritrovano addirittura in vantaggio di uno stoccata all'ultimo assalto. Finisce in parità nel boato generale e si va al minuto supplementare: tutto lascia pensare che se c'era una chance di prendersi quell'oro, il treno era quello appena passato. E invece no, si comincia l'overtime, per altro con il fardello ulteriore che in caso di parità la vittoria sarebbe andata alle francesi (da regolamento, pensate un po', per sorteggio... assurdità del regolamento olimpico). C'è la catanese Alberta Santuccio in pedana che prima infila due tiri contemporanei alla dirimpettaia francese. Poi indovina il colpo della vita, andando a lambire l'avambraccio dell'avversaria, in un frangente impercettibile, tanto basta da far accendere quella luce verde che segnala la stoccata. 30-29, un risultato surreale.
Ammutolisce il Grand Palais e le uniche urla che rieccheggiano sono quelle della eroica spadista siciliana che impazzisce in ginocchio, mentre una addetta dell'organizzazione impedisce - anche qui da regolamento inetto e insensibile - alle altre tre di catapultarsi in pedana a gioire. Questioni di formalità - che nella scherma ancora è dominante - e una volta dichiarata la vittoria, l'abbraccio può sciogliersi nel tripudio di milioni di persone rimaste incollate davanti alla tv per una gara che in qualsiasi altro mese dell'anno avrebbero beatamente ignorato nello stanco zapping di fine luglio.
Un'impresa che mi ha ricordato altre pagine dello sport azzurro, fatte di "vittorie contro tutto e contro tutti": ne ricordo un paio a memoria, per averle viste dal tubo catodico. Lo strepitoso 3-2 in semifinale Mondiale nel 1990 che l'Italia di Velasco stampò in faccia al Brasile nella bolgia di Rio de Janeiro (preludio al primo Mondiale della generazione di fenomeni, vinto poi contro Cuba). Qualche anno dopo, nel 2006, l'esaltante 2-0 degli Azzurri di Lippi nel catino di Dortmund, con le due reti nei supplementari di Grosso e Del Piero - anche qui preludio al trionfo di Berlino dagli 11 metri (fino a quel giorno maledetti) contro la Francia. Tanti altri capitoli si potrebbero rispolverare. Ma vincere nel Tempio della Scherma una finale olimpica contro la Francia, assume quella stessa inebriante sensazione di impresa titanica. Che raggiungi quando con la forza di volontà, la desiderio di superare te stesso prima ancora che gli stessi avversari, ti porta a compiere qualcosa in più di quanto avresti mai immaginato.
L'impresa delle spadiste incornicia una giornata già entusiasmante per lo storico argento delle Fate (le ginnaste) che mancava appena da 96 anni nella bacheca azzurra, e il bronzo di un intramontabile Greg Paltrinieri, che sa parlare non solo della Senna ma soprattutto in vasca, sulle lunghe distanze, diventando il primo atleta azzurro del Nuoto a vincere una medaglia in 3 edizioni olimpiche (cosa mai riuscita neanche alla divina Federica Pellegrini).
Peccato le eliminazioni di Jasmine Paolini e Irma Testa, quest'ultima ancora per decisioni arbitrali molto discutibili: due possibili atlete da medaglia, fermate praticamente all'inizio del loro percorso. Le Olimpiadi sono anche in questi sguardi abbassati, ancora increduli di fronte ad un verdetto avverso. Perchè come sempre accanto agli allori, ai successi scolpiti nella memoria, alle imprese memorabili, convivono anche infinite delusioni di chi - esattamente come chi trionfa - ci mette giorni, mesi, o addirittura anni di preparazione e di sacrifici. Sognando di indossare al collo una medaglia. E piombando, d'un colpo, per terra...
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