Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

sabato 24 agosto 2013

A Gardelegen con Peter, Franca e... Guglielmina...

Sto in treno, nel cuore della Germania. Ed ora tutto è più chiaro.
Ho capito cosa voleva dirmi Guglielmina Roncigli. L'ho capito oggi, a qualche buon centinaio di chilometri da casa, a dieci anni da quella frase. E dopo una giornata che avrei difficoltà a descrivere. Per aspettative, sensazioni, rivelazioni. E che ora mi sento di definire... semplicemente bella!

"Non voglio sciupare quello che c'è stato, raccontandolo in poche battute".

Così mi disse, Guglielmina, nel 2004, riferendosi all'incontro che aveva avuto qualche giorno prima a Pomezia, nel cimitero militare dei tedeschi, con Peter Staudacher, il figlio dell'assistente medico ucciso a Gubbio il 20 giugno 1944. Morte che provocò la terribile rappresaglia e il dramma dei 40 Martiri.
Non ne aveva parlato con nessuno, in quei giorni, Guglielmina. Non per vergogna, ma perchè aveva bisogno di capire. E una volta trovata quella serenità che le sventure del destino non le avevano concesso, si era aperta. Ma non con tutti. Proprio per evitare di intaccare l'intimità emozionale di quell'incontro.

Il loro incontro, maggio 2004, a Pomezia
Oggi, a Gardelegen - 150 km a ovest di Berlino, in una terra che sa cosa significhi guerra con i bombardamenti a tappeto del '45, e sa cosa sia il muro dell'isolamento con l'esperienza della DDR - ho capito cosa intendesse.
L'ho capito conoscendo Peter, un signore distinto di 70 anni. Medico in pensione, viso sorridente, ironia a portata di mano. Un tedesco enorme, per statura e ospitalità. Che è venuto a prenderci alla stazione di Magdeburgo (a metà strada tra Berlino e Gardelegen) per evitarci il cambio treno. E lì ci ha riportato alla sera, regalandoci anche un tour veloce per la città.

Ho ascoltato il suo racconto, ripercorrendo la sua vita. L'assenza di un padre con cui ha condiviso appena due foto e del quale ha sempre sentito parlare per quello che sarebbe potuto essere (ma non è stato). Una giovinezza reclusa dal muro della guerra fredda, che gli ha impedito di coronare le aspettative di qualsiasi ragazzo che abbia l'idea della libertà, che gli ha negato un sogno professionale (essere medico in Austria, la terra prediletta del padre) e non gli ha concesso nemmeno di studiare l'inglese.
Ho appreso del suo contatto, quasi fortuito, con Gubbio a 60 anni di distanza. La scoperta deflagrante compiuta nella nostra città, dopo decenni in cui aveva ignorato cosa fosse veramente accaduto. Ho compreso dalle parole di sua moglie lo choc interiore vissuto e affrontato nei pochi minuti di sosta in quello che era il luogo in cui era stato ucciso suo padre. E in cui aveva improvvisamente scoperto esserci tante persone che come lui avevano pesantemente pagato il dramma di quelle ore.
Ho cercato di focalizzare i motivi, i sentimenti, i valori che hanno fatto nascere "questa storia", questo ponte impensabile tra Gubbio e la Germania.
E quel filo profondo di umanità autentica che rende tutto questo semplicemente unico e universale.

Franca, Peter... e il cactus - 24.8.13 - Gardelegen (D)
Guglielmina non c'è più. Ma era come se ci fosse. Perchè c'era sua figlia Franca. Che ha sentito forte e intensa questa eredità morale, tanto da voler essere presente a tutti i costi, per conoscere Peter, abbracciarlo, parlarci. E riportare un segno paradossalmente simbolico di questa storia: un cactus.
Era come se Guglielmina ci fosse, perchè nell'intervista che Peter ha volentieri rilasciato - più che intervista, una piacevole e intensa conversazione - Guglielmina è stata la grande protagonista di quanto accaduto. "E' come aver lasciato un messaggio in una bottiglia - ha detto Peter - E quella bottiglia l'ha raccolta Guglielmina".

Un giorno spero di poter e saper raccontare tutto questo. Nel modo più semplice e fedele. Non solo perchè ho avuto la fortuna di partecipare, di sapere, di condividere. Ma perchè tutto questo non è la sceneggiatura di uno splendido film o di un best seller letterario. E' tutto vero.

La futuristica Grune Zitadelle a Magdeburgo
Ed ora che sto tornando in treno, da Magdeburgo a Berlino, godendomi il paesaggio di una Germania inedita (anche per il clima mediterraneo, a dispetto della pioggia di questi giorni in Italia), dopo aver anche sbirciato un po' la capitale della Sassonia - con il suo Monastero di Nostra signora miracolosamente scampato ai bombardamenti e l'avveniristica Grune Zitadelle del bizzarro architetto post-moderno austriaco Hundertwasser - ripenso a quella frase di Guglielmina. E al senso vero che custodiva dentro di sè.
Certe giornate, come questa, vanno vissute fino in fondo. E non sciupate con un racconto breve, frettoloso e magari condizionato dalla ritrovata routine.

Se non saremo in grado di poterle rappresentare nella loro integrità, giaceranno nei nostri migliori ricordi.
Condividerle però, nel modo più giusto e più adeguato, sarebbe bellissimo.
E' una promessa. E anche una piccola grande sfida personale.

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