Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 27 agosto 2013

Due o tre cose che ho imparato su Berlino: viverci è ancor meglio che visitarla...

L'orologio del mondo: Alexander platz
Di ritorno dalla Germania - dopo una quattro-giorni liofilizzata ma di enorme intensità e interesse - mi sorge qualche altra considerazione su Berlino. Del quale tutto si potrà dire, ma non che non rappresenti un sistema di riferimento per l'Europa (e soprattutto noi "baldanzosi" popoli mediterranei).
Fermo restando che i tedeschi, storicamente, non fanno nulla per risultare simpatici, vittime inconsapevoli di un retaggio storico-popolare che li rende epidermicamente ostili a tutti i propri "vicini" (con la inconfondibile cadenza vocale "da porcospino" come fanciullescamente la descrive Molesini nel suo ultimo romanzo)
Da queste parti non è solo bello venire e visitare, toccare e assaggiare, scoprire e incuriosirsi. Berlino - ma forse può valere anche per altri lidi tedeschi - offre l'impressione, il suggerimento, la sensazione... che sia ancora più interessante viverci. Con una valigia sufficientemente capiente per sè e i propri cari - ma senza troppo ingombro perchè sorprendentemente i prezzi visti in vetrina non sono da metropoli - e con un buon bagaglio di inglese che, a dispetto dei nazionalismi di ieri e di oggi, è seconda lingua universale anche intorno al Check point Charlie.
Un paio di flash per capire e capirci.

La linea S (treni di superficie) che si distingue dalla linea U
(metropolitana): in comune hanno la puntualità...
"A Berlino non puoi perderti. E se usi l'automobile, vuol dire che sei uno sfigato". Le parole non sono mie, ma di una ragazza di San Benedetto del Tronto, conosciuta domenica sulla metro e che vive a queste latitudini da qualche tempo. Una tizia un po' alternativa, di quelle che - pur non giudicando mai dalle apparenze - qualche "tara" nelle parole e nelle considerazione gliela devi pur dare. Ma non solo sembra sincera, è pure convincente quando ti dice: "Qua nessuno ti rompe l'anima, di sera giri come vuoi e quando vuoi, non devi guardarti intorno, perchè è difficile, molto difficile essere disturbati o peggio ancora temere per qualche aggressione".
E devo dire che è proprio così.
Pur sui binari di una breve esperienza di 3 giorni, Berlino appare davvero come la "città da bere" del XXI secolo (parafrasando un popolare spot anni 80 che reclamizzava Milano). Puoi berla con la cannuccia o senza, Berlino, e perfino tirare su quando ormai la lattina è quasi vuota, provocando quella sorta di "ruttino" fastidiosissimo e un po' equivoco, con la cannuccia, che fa pensare che tu stia morendo di sete. E che sicuramente non hai studiato galateo.
Perchè Berlino sembra fatta su misura per tutti: per chi ha voglia di fare, per chi ha idee, per chi ha fantasia, ma anche per chi vuol farsi la sua vita tranquilla. Sapendo che a quell'ora, qualunque cosa accada, qualunque cosa ti attenda in quella giornata, il treno o la metro arriveranno sicuramente. Senza sgarrare di 1 minuto.

Giri la città che è una bellezza con una decina di linee metropolitane tutte collegate tra loro e tutte diramate in modo capillare - che a guardare, più che la cartina logistica di una capitale europea, sembra di vedere un sistema nervoso altamente sofisticato. E dopo 2 giorni sai già i tuoi percorsi a memoria.

La città non ha storia, di per sè. I residui, o meglio le vestigia superstiti dai bombardamenti del '45, sono rari e custoditi gelosamente. Ma spesso si confondo con ciò che è stato ricostruito (lo stesso Bundestag, con una cupola di vetroresina che riproduce quella attuale). La storia recente, quella del trentennio nel muro, è tutta nei "casermoni" stile Ddr che ancora sopravvivono, mimetizzandosi tra l'avvenirismo di Postadmer plaz - dove il neo senatore a vita, Renzo Piano, ha superato se stesso - e i resti (restaurati) dei palazzi sette-ottocenteschi del viale dei Tigli.
La storia, quella vera, ti attende nei musei di Berlino (ci vorrebbe una settimana solo per visitarli tutti). Mi sono limitato al più stupefacente, la visita al Pergamon, con i tanti e preziosi resti di una delle Sette Meraviglie dell'antichità e della fantastica porta di Babilonia - tutto frutto degli scavi archeologici di fine XIX secolo. L'attualità è quello che invece ti circonda nel resto della città.

Il futuro? Di quello non ci si dovrebbe preoccupare.
Per averne una visione, basta salire - dopo un paio d'ore di attesa, spesa bene nel riedificato quartiere medioevale di Nikolaiviertel - in cima alla cosidetta Torre della televisione: e abbagliarsi della vista di tutta la capitale tedesca, di questo girovagare tra architettura di regime e post-moderna, di reticula medioevali e di quartieri dormitorio (in estrema periferia) andando a riconoscere, come in un plastico in scala, i luoghi conosciuti e quelli che nascondono chissà quale storia. Chissà quale Berlino.
Sapendo di aver vissuto il suo volto migliore. E di aver preso contatto con un luogo che, retaggi a parte, prima o poi mi rivedrà... O almeno lo spero...

sabato 24 agosto 2013

A Gardelegen con Peter, Franca e... Guglielmina...

Sto in treno, nel cuore della Germania. Ed ora tutto è più chiaro.
Ho capito cosa voleva dirmi Guglielmina Roncigli. L'ho capito oggi, a qualche buon centinaio di chilometri da casa, a dieci anni da quella frase. E dopo una giornata che avrei difficoltà a descrivere. Per aspettative, sensazioni, rivelazioni. E che ora mi sento di definire... semplicemente bella!

"Non voglio sciupare quello che c'è stato, raccontandolo in poche battute".

Così mi disse, Guglielmina, nel 2004, riferendosi all'incontro che aveva avuto qualche giorno prima a Pomezia, nel cimitero militare dei tedeschi, con Peter Staudacher, il figlio dell'assistente medico ucciso a Gubbio il 20 giugno 1944. Morte che provocò la terribile rappresaglia e il dramma dei 40 Martiri.
Non ne aveva parlato con nessuno, in quei giorni, Guglielmina. Non per vergogna, ma perchè aveva bisogno di capire. E una volta trovata quella serenità che le sventure del destino non le avevano concesso, si era aperta. Ma non con tutti. Proprio per evitare di intaccare l'intimità emozionale di quell'incontro.

Il loro incontro, maggio 2004, a Pomezia
Oggi, a Gardelegen - 150 km a ovest di Berlino, in una terra che sa cosa significhi guerra con i bombardamenti a tappeto del '45, e sa cosa sia il muro dell'isolamento con l'esperienza della DDR - ho capito cosa intendesse.
L'ho capito conoscendo Peter, un signore distinto di 70 anni. Medico in pensione, viso sorridente, ironia a portata di mano. Un tedesco enorme, per statura e ospitalità. Che è venuto a prenderci alla stazione di Magdeburgo (a metà strada tra Berlino e Gardelegen) per evitarci il cambio treno. E lì ci ha riportato alla sera, regalandoci anche un tour veloce per la città.

Ho ascoltato il suo racconto, ripercorrendo la sua vita. L'assenza di un padre con cui ha condiviso appena due foto e del quale ha sempre sentito parlare per quello che sarebbe potuto essere (ma non è stato). Una giovinezza reclusa dal muro della guerra fredda, che gli ha impedito di coronare le aspettative di qualsiasi ragazzo che abbia l'idea della libertà, che gli ha negato un sogno professionale (essere medico in Austria, la terra prediletta del padre) e non gli ha concesso nemmeno di studiare l'inglese.
Ho appreso del suo contatto, quasi fortuito, con Gubbio a 60 anni di distanza. La scoperta deflagrante compiuta nella nostra città, dopo decenni in cui aveva ignorato cosa fosse veramente accaduto. Ho compreso dalle parole di sua moglie lo choc interiore vissuto e affrontato nei pochi minuti di sosta in quello che era il luogo in cui era stato ucciso suo padre. E in cui aveva improvvisamente scoperto esserci tante persone che come lui avevano pesantemente pagato il dramma di quelle ore.
Ho cercato di focalizzare i motivi, i sentimenti, i valori che hanno fatto nascere "questa storia", questo ponte impensabile tra Gubbio e la Germania.
E quel filo profondo di umanità autentica che rende tutto questo semplicemente unico e universale.

Franca, Peter... e il cactus - 24.8.13 - Gardelegen (D)
Guglielmina non c'è più. Ma era come se ci fosse. Perchè c'era sua figlia Franca. Che ha sentito forte e intensa questa eredità morale, tanto da voler essere presente a tutti i costi, per conoscere Peter, abbracciarlo, parlarci. E riportare un segno paradossalmente simbolico di questa storia: un cactus.
Era come se Guglielmina ci fosse, perchè nell'intervista che Peter ha volentieri rilasciato - più che intervista, una piacevole e intensa conversazione - Guglielmina è stata la grande protagonista di quanto accaduto. "E' come aver lasciato un messaggio in una bottiglia - ha detto Peter - E quella bottiglia l'ha raccolta Guglielmina".

Un giorno spero di poter e saper raccontare tutto questo. Nel modo più semplice e fedele. Non solo perchè ho avuto la fortuna di partecipare, di sapere, di condividere. Ma perchè tutto questo non è la sceneggiatura di uno splendido film o di un best seller letterario. E' tutto vero.

La futuristica Grune Zitadelle a Magdeburgo
Ed ora che sto tornando in treno, da Magdeburgo a Berlino, godendomi il paesaggio di una Germania inedita (anche per il clima mediterraneo, a dispetto della pioggia di questi giorni in Italia), dopo aver anche sbirciato un po' la capitale della Sassonia - con il suo Monastero di Nostra signora miracolosamente scampato ai bombardamenti e l'avveniristica Grune Zitadelle del bizzarro architetto post-moderno austriaco Hundertwasser - ripenso a quella frase di Guglielmina. E al senso vero che custodiva dentro di sè.
Certe giornate, come questa, vanno vissute fino in fondo. E non sciupate con un racconto breve, frettoloso e magari condizionato dalla ritrovata routine.

Se non saremo in grado di poterle rappresentare nella loro integrità, giaceranno nei nostri migliori ricordi.
Condividerle però, nel modo più giusto e più adeguato, sarebbe bellissimo.
E' una promessa. E anche una piccola grande sfida personale.

venerdì 23 agosto 2013

Due, tre cose che ho imparato su Berlino: 1) Ich bin ein Berliner...

Non mi era mai capitato. Di essere da poche ore in una città e di esserne già magneticamente stregato.
Questa è Berlino. La Berlino di oggi.
Ho messo piede nella capitale teutonica da poche ore, metà pomeriggio, il tempo di sistemarsi nell'Alsterhof hotel di Augsberger strasse (dovrò segnarmi bene questo nome perchè con la metro diventerà sicuramente molto familiare) che già mi sento attratto da questa piattaforma emozionale di passato, presente e futuro.
Il passato non puoi toccarlo. Se non nelle sue ricostruzioni. Della Berlino di 70 anni fa praticamente non c'è più niente.
Se il più sanguinoso conflitto della storia doveva avere il suo sacrificio finale, ancor più che Hiroshima, sembra Berlino esserne l'emblema. Basta fermarsi qualche minuto di fronte la Chiesa votiva dell'imperatore Guglielmo (o meglio, quel che ne resta): il suo campanile, volutamente lasciato diroccato, è un groppo in gola. Come gli interni spettrali che accanto ai resti di qualche suggestivo mosaico, mostrano le foto. Del prima e del dopo il bombardamento finale nel 1945. Che ha raso al suolo la follia nazista e un'intera capitale. E che oggi la chiesa sembra ricordare con le sue macroscopiche ferite architettoniche.
E' questo "prima e dopo" che ti insegue, a Berlino.
Prima e dopo il bombardamento. Prima e dopo la guerra. Prima e dopo l'olocausto. Prima e dopo il muro.
Lentamente capisci che questa città è tanto aperta, tollerante, cosmopolita, generosa, funzionale, accattivante oggi. Quanto temibile, invisa e agghiacciante si è rivelata per anni.
Con il mondo, prima. Con se stessa poi.
Non puoi non innamorarti di una creatura così. Certamente non ti lascia indifferente. Se non la adori, finirai per detestarla. Non certo per ignorarla.
Questa è la sensazione delle primissime ore.

Inaugurate con un cupo e silente ondeggiare tra i pannelli della Topografia del Terrore, nell'area che ospitò i primi passi del III Reich, dove si consumarono i prodromi del regime più nefasto, dove si ideologizzò scientificamente lo sterminio di massa per antonomasia.
Mi fermo ad osservare. Non solo le foto in gigantografia che ritraggono storia e traducono angosce. Ma anche i volti dei passanti che come me non possono non restare fermi, fissi e contratti, a leggere (o interpretare nel mio caso, la traduzione inglese) quella storia che già si conosce. Ma che lì - dove tutto ha avuto origine - ha un altro senso ripercorrere.
Quando appoggi il tuo piede su quelle pietre capisci che la storia, anche la più tragica, non è un libro che si sfoglia. E' l'aria che si respira, e' la luce che rifrange su un angolo, è il colpo di tosse imbarazzato che ti giunge su un'immagine inquietante. E' il pensiero delle vite distrutte. E della cieca violenza.
E pensare che lì, a due metri, c'è ancora un pezzo di muro. Il Mauren Berliner, come lo chiamano qui. Come vedi scritto anche per terra, in quel perimetro che taglia la città, cicatrice inviolabile fino all'89, incancellabile anche negli anni a venire. Che ancora oggi un segmento di mattoni continua a delimitare. Per non dimenticare. Per non far finta che sia solo un'altra pagina di storia.
Questa è la sensazione delle prime ore. Di Berlino. Teatro di Storia.
Ore coltivate passeggiando fino a Check point Charlie. Quel lembo d'asfalto su cui per 30 anni si sono giocate, quasi a dadi, le sorti del pianeta. Dove un colpo di fucile sparato per sbaglio, avrebbe rischiato di scatenare un'incursione nucleare dall'altra faccia della terra.
Oggi Check point Charlie è un luogo turistico, con un Mc Donald's davanti e qualche figurante che per 2 euro ti sorride in divisa per una foto: meglio scorrere in un museo ti ricorda la durezza del regime DDR, la fatiscente idea di una prigione spacciata per uguaglianza, l'utiopia di una libertà negata in nome di un inesistente principio. Che in realtà era solo un feticcio. Sgretolatosi con la sua nomenklatura ipocrita insieme ad un muro.
Chiedere per credere. Parlare con un berlinese - o un tedesco dell'est - per farsi raccontare quei 29 anni. In cui non solo pensare, ma perfino  ristrutturare la propria casa significava essere controllati dal regime, che imponeva quali materiali utilizzare, quali forme assumere, cosa fare della propria vita. Perchè in quel regime le vite fossero tutte uguali.
Ecco, Berlino è stata questo. Regime prima, contro il mondo. Regime poi, contro se stessa.
E l'impressione, dopo appena mezza giornata vissuta e respirata come un soffio intenso, è che oggi la Berlino moderna, terrazza sul mondo, avanguardia di artisti, poeti e filosofi, stia riscattando quel ruolo di "matrigna" che per troppi anni la storia le ha assegnato.
Forse ancora un po' indigesta, ancora oggi, all'Europa. Ma magari anche in questo caso, basterà aspettare qualche giorno: qui si vota, a fine settembre. Caso mai non lo sapessimo, ce lo ricordano i pannelli elettorali... Cdu o Spd.
Che bello, penso per un attimo, mentre torno in albergo, dopo aver assaggiato la porta di Brandeburgo illuminata. Qui non si parla di Magistratura. Non ci si snerva con i conflitti di interesse. Non c'è più la Storia, gli ideologismi, le chiusure mentali, le barriere, con cui dover fare i conti.
Per questo, per tutto questo. E tanto altro... Hic bin ein Berliner...
 

Il passaggio saliente del celebre discorso di JF Kennedy pronunciato il 26 giugno 1963 (esattamente 50 anni fa) sulla porta di Brandeburgo, concluso con l'immortale frase: "Ich bin ein Berliner" (Io sono un Berlinese). Questo il passaggio finale del suo discorso, fatto a due anni dall'innalzamento del muro con cui l'Urss e la Ddr vollero segnare l'isolamento dall'Occidente.
« Duemila anni fa l'orgoglio più grande era poter dire civis Romanus sum (sono un cittadino romano). Oggi, nel mondo libero, l'orgoglio più grande è dire 'Ich bin ein Berliner.' Tutti gli uomini liberi, dovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso delle parole 'Ich bin ein Berliner!' »
JFK

sabato 17 agosto 2013

Tra un pensiero e l'altro... tra l'Isola del Giglio e Giannutri... tra il II sec. dopo Cristo e oggi

Come appare dal porto dell'Isola del Giglio,
il relitto del Costa Concordia
Può una nave in avaria, semirovesciata, incagliata, irrimediabilmente arenata, diventare una sorta di scoglio turistico e di meta voyeuristica?
Provate a fare un salto all'isola del Giglio e vi accorgerete che, a distanza di 20 mesi da quel gennaio 2012, è ancora così. Anche se l'apparenza, alla fine, inganna.
E quel che potrebbe sembrare uno stucchevole escamotage per attirare curiosi, in realtà - scavando e raccogliendo notizie (come è del resto, proprio, del nostro mestiere) - si scopre verità ben diversa.


Isola del Giglio, 16 agosto. La curiosità era tanta, inutile negarlo. L'aliscafo che ci ha portati da Castiglione della Pescaia al lembo di terra marina incastonato nel Tirreno e "più chiacchierato" dell'ultimo anno e mezzo, si sta avvicinando.
E' una giornata calda ma leggera. Attraversare il promontorio dell'Argentario (nome di origini latine, perchè da queste parti anche allora erano i banchieri a dettare legge, e si comprarono la penisola con i profitti del proprio mercantaggio di monete, appunto argentee) significa godere del vento e delle correnti di questo spicchio d'Italia. Spontanee e vibranti come il dialetto maremmano - lasciato a riva dopo un paio di giorni vissuti placidamente a due passi da Follonica - profondo e intenso come il blu cobalto che ci circonda.


Riuscite a intravederla sullo sfondo sfocata? E' lei,
l'isola di Montecristo
Dovrebbe essere l'isola di Montecristo - appena intravisto nella leggera foschia che ci scorta nei 90' di traversata - la vera attrattiva. Se non altro perchè, ho appena appreso dalla puntuale e brillante guida a bordo, per metterci piede bisogna prenotare almeno 8 anni prima: le porte dell'isola si aprono infatti un solo giorno all'anno per pochi eletti.
No, non è lo scoglio che rimanda la mente al misterioso personaggio di Dumas, il motivo saliente di questa gita.
Inevitabile che lo sguardo e la curiosità siano travolti dal fatto di cronaca. Dall'istintivo senso della "notizia" (che notizia ormai non è). E che non appartiene solo a chi della notizia ha fatto mestiere ma un po' a tutti.

Sull sfondo, i due scogli dove ha cozzato la chiglia
della nave da crociera del com. Schettino
Se è vero che non appena spunta alla vista il porto dell'isola del Giglio, è l'intero gruppo passeggeri seduto ordinatamente sul ponte dell'imbarcazione, ad alzarsi in piedi e cominciare ad armeggiare con i-phone e macchinette digitali.
Perchè quel pachiderma bianco, incurvato, quasi chino, di fronte al porto, appollaiato su se stesso e un po' macabro nel suo immobilismo - solo a pensare che ancora qualche vittima non è stata ritrovata, un brivido corre nitido - diventa l'ineluttabile "monumento" da immortalare. In una sorta di museo della cronaca che non ha biglietto di ingresso. Ma solo di silenzio.

Lo splendido scorcio della spiaggia delle Cannelle
E dopo una rapina occhiata ai due scogli sui quali si è incrinata la reputazione del comandante Schettino e una buona fetta del fatturato della Costa Crociere, si scende a terra. Lì, l'enorme imbarcazione sembra quasi osservarti. Algida e poderosamente inutile. Fa da sfondo ad altre foto, diventa una sorta di soprammobile rispetto all'isola - quella vera - che finalmente ti travolge. Con i colori delle sue piccole abitazioni, con i meandri dei vicoli nei quali si dimena, con il fascino delle insenature nelle quali ci si può perdere. Con lo sguardo prima, con le membra, immersi nel verde e nell'azzurro, poi.
Chiacchierando poi con qualche isolano - la regola d'arte è che basta un taxista per sapere tutto di dove ti trovi -  si scopre che in realtà la Costa Concordia è stata una iattura per l'Isola del Giglio: primo perchè il turismo della "curiosità", morboso ed effimero, si limita a un paio d'ore e non lascia traccia. Secondo, perchè la Costa Concordia occupa da mesi quello che era il molo di approdo di scafi e yacht d'alto lignaggio, insomma quei turisti che non hanno il problema dell'Imu o della Tarsu, per i quali fermarsi e lasciare un 500 euro a cena, non dà problemi ma alza il Pil dell'isola.

Giannutri: e sullo sfondo, le colonne della villa
romana del II sec. d.C.
Insomma i flash, ancora una volta, nascondono la realtà.
Meglio allora godersi la spiaggia delle Cannelle, una baia fiabesca che sorge a due chilometri dal porto, con una passeggiata di mezz'ora, infastidita dal sole cocente, ma ripagata da una vista mozzafiato e da un mare semplicemente paradisiaco. Che, detto da un fan della montagna, è un bel voto...
Meglio godersi la successiva nuotata nelle acque di Giannutri, minuscola isola che concludeva il tour della giornata, dove il relax sensoriale di un mare d'altri luoghi, è arricchito dalla lussuria emozionale di un luogo d'altri tempi. Praticamente l'unica isola dove poter nuotare accanto a delle colonne del II secolo d.C.
Resti di una civiltà che non aveva tecnologie e informatica, e non ha lasciato scafi incagliati ai propri posteri...

mercoledì 7 agosto 2013

Mestieri in via d'estizione? Aboliamogli tutte le tasse...

Sono tanti gli antichi mestieri che lentamente, ma progressivamente, vengono spazzati via dalla società moderna. Senza tirare in ballo la "cantilena" del consumismo, dell'usa e getta, dell'hi-tech che ha appiattito tutto, dai cellulari al cervello.
Ci ripensavo nei giorni scorsi quando si è parlato a Gubbio dell'Arte della Liuteria, presente un artigiano modenese che ha portato la sua testimonianza di come, l'attività che ha appreso proprio nelle nostre mura grazie ai preziosi insegnamenti e ai consigli del mai dimenticato maestro Spataffi, siano stati la base di una formazione professionale e artistica che oggi gli permettono di vivere, guadagnare e, quel che più conta, svolgere il lavoro che si ama di più (vedi servizio da Trg, nel link in basso).
http://www.trgmedia.it/playYouTube.aspx?id=4550

Quello che era un semplice pensiero - coltivato nei ritagli di tempo di un'estate soffocante - è diventato qualcosa di più concreto quando mi sono imbattuto in una e-mail tra il provocatorio e il propositivo. L'estensore è un avvocato leccese, Giovanni D'Agata, fondatore di uno "Sportello dei diritti" con cui avanza campagne di informazione e sensibilizzazione alla legalità. Ma offre anche spunti interessanti e intelligenti, come quello di cui vi parlerò.
Che spero qualche amministratore - a partire dai parlamentari, ma andrebbe bene anche un consigliere regionale o provinciale - possa fare proprio.

La proposta provocatoria è semplice. Non esistono più i mestieri di una volta. Sempre più rari gli artigiani, certosini creatori di una manualità sempre più rara, con i polpastrelli nostri e dei nostri figli quasi indelebilmente condannati ad essere semplice pertinenza di un touch screen.
E allora, per incentivarne il recupero, direi quasi il risveglio, si potrebbe puntare ad una politica di defiscalizzazione totale per quegli operatori che - attraverso l'impegno a conservare e tramandare l'arte antica - tengano anche in vita un centro storico.

Pensiamo a Gubbio: non esiste più uno scalpellino - e parliamo di una tradizione legata ad una Università di Arti e Mestieri plurisecolare - di ciabattini, calzolai, sarti, se ne contano sulle dita di una mano. E siamo sempre nel campo di Antiche Università. Resiste qualche falegname in più e per fortuna, l'Arte Muraria, la regina almeno nella comunità eugubina, sopravvive - salvo in questo caso i fendenti pesanti della crisi economica.
Il D'Agata in questione porta dalla sua l'esempio dei calzolai.

"La categoria presa in considerazione, scrive il fondatore dello Sportello dei Diritti, si é più che dimezzata negli ultimi anni ed attualmente alcune statistiche parlano di solo due calzolai ogni cinque comuni. La colpa sta ovviamente, come già detto nella mentalità "usa e getta" che ha prevalso da tempo, provocando inevitabilmente un netto declino della professione. Anche i corsi di formazione per un mestiere che in passato si tramandava di padre in figlio, da maestro ad apprendista, sono rarissimi. Un aspetto che sorprende però é che la crisi, paradossalmente, potrebbe portare anche maggior lavoro ai calzolai che ancora resistono ad abbassare definitivamente le saracinesche anche perché la gente ci pensa due volte prima di buttare le proprie calzature danneggiate o che hanno bisogno di una revisione".

Se la crisi globale potrebbe essere un toccasana per questo tipo di artigianalità, sono altre le cause che incidono sul declino della professione: il caro – affitti che sino a poco fa imperversava nei centri urbani aveva reso, un sistema bancario ormai chiuso e sempre meno flessibile. Per non parlare poi del costo del lavoro, della difficoltà ad assumere apprendisti ed in genere personale e del proporzionale aumento della tassazione negli ultimi anni, sia centrale che degli enti locali, ma, soprattutto, di un sistema economico ultra- consumeristico che ha favorito la grande distribuzione e produzione, a discapito della piccola impresa, e che ha progressivamente allontanato la piccola produzione ed il piccolo commercio al di fuori dei centri urbani sino a quasi cancellarlo.

Una serie di concause che, dovrebbero essere arginate con interventi mirati del Governo centrale ma anche delle Amministrazioni locali (a cominciare dalla Regione) che dovrebbero, in questo momento di grave crisi, detassare le attività di quegli artigiani che hanno scelto o che sceglieranno i centri urbani quale loro sede e che contribuiscono, in questo modo a ravvivare il tessuto economico e sociale dei Comuni spogliati dalle antiche tradizioni.
Ma anche i Comuni potrebbero contribuire con una generale riduzione o sospensione della tassazione locale nei confronti di quelle aziende artigiane che abbiano individuato nei centri urbani la sede della propria attività.

Il sogno? Quello di veder rivivere una vera e propria Via dei Mestieri - o Palazzo dei Mestieri - che in una città gravida di storia, arte e architettura come Gubbio sarebbe straordinariamente coerente. A suggerirmela proprio uno dei pochi calzolai rimasti attivi nella nostra città, con la sua mini bottega suggestiva e profumata, sotto l'arco di S.Lucia.
Se pensiamo che per 10 anni - nonostante si sapesse che se ne sarebbe andato in quel di Branca - nessuno ha avuto la bontà di pensare cosa fare del contenitore dell'ex ospedale (ad oggi ignoriamo cosa ne sarà, con il Puc2 destinato a finire nel cestino come un paio di ciabatte consumate) si può capire come la lungimiranza non appartenga a chi ha amministrato negli ultimi anni da queste parti.

Questo è un modesto imput. Chi avrà la bontà di raccoglierlo, magari per migliorarlo - penso al neo presidente del Rotary Club, sensibile come pochi a questi temi, l'amico Giampietro Rampini - può star sereno: non chiederò voti di scambio nè copyright...

lunedì 5 agosto 2013

Bentornati al Sud... E nel nuovo cast della I Divisione c'è anche Miccoli

Diciamo la verità. Le speranze, coltivate da molti, di finire al Nord erano già al lumicino. Il ripescaggio della Carrarese le aveva rinfrancate. Ma è bastata la mattinata di oggi per capire che la Lega Pro non si sarebbe inventata nulla di strano nella composizione dei gironi di I Divisione.
Niente più Trapani e Lecce al Nord, per capirci. Niente toscane tutte insieme appassionatamente, a dispetto dei chilometri. Niente separazione tra le due uniche umbre presenti.
E così per Gubbio e Perugia vale la metafora del fortunato film di Bisio e Sini. Nel loro caso "Bentornati al Sud".

Bucchi insieme al capitano per antonomasia,
Alessandro Sandreani
Che sia poi una buona notizia per il Gubbio di Cristian Bucchi, è tutto da dimostrare. Perchè il girone meridionale di I Divisione somiglia maledettamente ad una serie B camuffata. Stando almeno al parterre di pretendenti ai play off (che quest'anno si apriranno alle prime 9 in classifica), visto che poi di play out e retrocessioni non ce ne saranno.

Il Lecce è inevitabilmente il primo nome "pesante" che balza all'occhio. Neanche due anni fa la squadra salentina aveva rischiato di "far saltare" la festa scudetto a Buffon, vittima del celebre infortunio con Bertolacci allo Juventus stadium. Appena due mesi fa i tifosi più facinorosi del club giallorossi hanno sfogato la propria rabbia su panchine e terreno di gioco dopo aver fallito il ritorno in B a beneficio del Carpi.

Ora il Lecce sarà l'avversaria da battere nel girone B, dall'alto di un organico di categoria superiore e di un gioiello, quel Fabrizio Miccoli tornato alla "casa madre", che ancora, all'età di 34 anni, in I Divisione appare come un marziano.
L'ultimo precedente tra Gubbio e Lecce risale agli anni 80, quando la squadra pugliese, guiidata da Fascetti, scelse Gubbio per alcune stagioni come sede di ritiro. Ma quelle erano amichevoli di prestigio, con i vari Barbas, Pasculli e un ragazzino promettente cresciuto nel vivaio di nome Antonio Conte. Quest'anno si farà sul serio e dalla sua, il Gubbio, potrà fregiarsi di un altro stadio d'elite da mettere in bacheca in questi anni.

Non ci sarà però solo il Lecce tra le pretendenti al titolo. Lo sa bene il Perugia che - nonostante il low profile scelto da Santopadre - non può presentarsi ai nastri di partenza senza qualche comprensibile ambizione. E che certo non esulta per essere tornata sotto la linea romana.
A proposito di Grifo, tornerà il derby con i rossoblù anche quest'anno e chi scriveva su uno striscione lo scorso 20 gennaio che era solo "una perdita di tempo", dovrà perderne anche quest'anno.... Chissà, quella strana sensazione che non avremmo dovuto attendere un altro quarto di secolo per sfidare il Perugia (confidata in questo blog) è stata profetica...

Giallombardo, ora al Gubbio, insegue Bazzoffia
incontenibile in quel Gubbio-Grosseto 4-0
Oltre a Lecce e Perugia, due nobili decadute: Ascoli e Grosseto, che rinfocolano ricordi di una B neanche troppo lontana. Ricordi di cocenti delusioni (le due inopinate sconfitte con l'Ascoli penalizzato, una propiziata proprio da Falconieri, attuale puntero rossoblù) e di illusorie goleade (il 4-0 ai maremmani che rappresenta l'apice dell'intera esperienza in serie cadetta).
E le "solite" favorite, come il Benevento - rafforzato dall'arrivo del perugino Campagnacci - la neopromossa ma sempre ambiziosa Salernitana - che certo di Gubbio non dovrebbe serbare fragranti ricordi, con il 3-1 del dicembre 2010 firmato dalla doppietta di Briganti (l'unica nella sua carriera) e dall'eurogol di Juanito Gomez.

Falconieri, oggi al Gubbio, infila di testa
la porta rossoblù: è il 90' di Ascoli-Gubbio gennaio 2012
E poi a scorrere, il Frosinone che presenta Ciofani in prima linea, l'immancabile Nocerina - ridimensionata economicamente, tanto da rischiare di non iscriversi, ma sempre brutta "gatta da pelare" - il redivivo Catanzaro e la neopromossa L'Aquila di Giovannino Pagliari, altras new entry tra le avversarie dei rossoblù.

Non ci sarà certamente da annoiarsi, con le prime due gare di campionato che si giocheranno i n notturna e con un turno di riposo forzoso dovuto al fatto che le squadre saranno dispari (17).
Semmai ci sarà da verificare, e accuratamente, la regolarità dello svolgimento del campionato soprattutto nella fase finale. Quando è vero che con i play off aperti fino al nono posto i motivi e gli stimoli resteranno allargati, ma è altrettanto vero che l'assenza di retrocessioni e play out finirà fisiologicamente per svuotare di interesse il campionato per alcune delle partecipanti.
Che si rischi di falsare il torneo? Lo capiremo solo da marzo in poi.

E in attesa dei calendari, che arriveranno in diretta tv solo venerdì prossimo, un ripassino della nuova formula play off, lasciando stare la scaramanzia.
I play off saranno aperti alle squadre classificate tra il secondo e il nono posto. Nei quarti di finale, si sfidano:
  • La seconda contro la nona classificata;
  • La terza contro l'ottava classificata;
  • La quarta contro la settima classificata;
  • La quinta contro la sesta classificata.


Come recita il regolamento, tali gare si disputano in gara unica in casa delle squadre meglio classificate. In caso di pareggio al termine dei minuti regolamentari, verranno disputati due tempi supplementari da 15 minuti e a seguire, in caso di ulteriore parità, i calci di rigore. Le vincitrici dei primi quattro incontri si sfidano nelle semifinali, in gare di andata e ritorno. La gara di andata viene disputata sul campo della squadra in peggior posizione in classifica al termine del campionato. Le due squadre vincitrici si affrontano in finale,ancora una volta in una gara di andata e una di ritorno. La squadra vincitrice è promossa in Serie B.
Nel caso delle semifinali e della finale, a conclusione delle due gare, in caso di pareggio, per determinare la squadra vincente, si tiene conto della differenza di reti; verificandosi ulteriore parità, verranno disputati due tempi supplementari da 15 minuti e a seguire, in caso di ulteriore parità, i calci di rigore.

Speriamo di dovercene occupare...

sabato 3 agosto 2013

Finisce un ventennio. Ma ora, mentre il Paese rischia il crollo, PD e PDL hanno un'occasione unica...

Chi ha buon senso lo usi, recitava un antico adagio. 
E spesso la saggezza pura sta confinata in frasi come queste, sentite ripetere da un nonno durante qualche chiacchierata intorno ad un tavolo in una sera d'estate.
Chi ha buon senso lo usi, potrebbe essere anche il leit motiv di questi giorni nei Palazzi della politica romana, dopo la sentenza di condanna del Cavaliere che vede tramontare, a poco meno di 20 anni dall'annuncio della sua discesa in campo (gennaio 1994), la sua parabola politica. Come dire che parlare di "ventennio", nella nostra penisola, non porta granchè bene...

Ci sarà tempo per dare un giudizio, trovare una definizione, individuare un motivo saliente di questi 20 anni (che comunque la si veda, nei libri di storia, saranno etichettati come "era Berlusconi").
Per adesso c'e da capire quel che accadrà. E se il Paese - per dirla col direttore de "La Stampa" Calabresi - debba pagare il prezzo di questa sentenza. E del continuo braccio di ferro tra Berlusconi e la Magistratura. "Quando il sasso rotola a valle" scrive Stefano Folli sul "Sole24 ore", finisce per combinare comunque disastri. E il sasso che e' stato fatto rotolare dal Palazzaccio (sede della Consulta) e' di quelli che faranno anche l'eco.
Dopo le prime reazioni di sostanziale "bon ton" istituzionale, improntato a dichiarazioni soft e di circostanza, la temperatura in 24 ore e' schizzata a livello di febbre virale. Le frange "estreme" del PDL - ormai prossimo a tornare a chiamarsi Forza Italia con un'operazione che probabilmente si rivelerà una Salo' del centro destra - hanno alzato i toni e chiedono "giustizia", a loro modo di vedere, sotto forma di grazia da parte di Napolitano. Che ovviamente non la concederà (perchè dovrebbe?).

Non conosco la vicenda giudiziaria Mediaset nei suoi dettagli, e quindi giudizi di merito sono da evitare. Certo e' che, da un lato, se tutti i procedimenti pachidermici del nostro sistema giudiziario, conoscessero il fenomeno di accelerazione registrato per evitare la prescrizione di questo caso, staremmo decisamente messi meglio. Chi insomma sostiene che in certi casi è il nome dell'imputato a dettare i tempi dei processi, non ha tutti i torti.
Al tempo stesso appare ormai stucchevole l'ìnsofferente litania del Cavaliere e dei suoi seguaci nei confronti del tema Giustizia. Che va sì riformata, e ce n'è bisogno da decenni, ma i fautori della sua "rivoluzione copernicana" non possono essere i tolemaici della politica italiana.

Insomma la verità - tra chi chiede a Berlusconi di far pagare il conto di una condotta politica e imprenditoriale spregiudicata e chi si difende accusando la Magistratura di fare a sua volta azione politica - forse sta in mezzo. Senza rischiare generalizzazioni. Nel centro destra ci sono anche politici carichi di senno che in queste ore si adoperano per non far saltare il banco, nella Magistratura ci sono pm esemplari che non guardano etichette e partiti, nè sono mossi da strategie persecutorie. E' un problema di percentuali differenti, semmai.

Ma in questo momento una nuova crisi di governo, una crisi dell'esecutivo Letta che in Europa come tra gli italiani sta godendo di crescente fiducia, sarebbe deleteria. Come se il dietologo riempisse di nutella il paziente in cura. Temendo che sia anche affetto da diabete.
Piuttosto l'uscita di scena del Cavaliere (fragorosa o meno sarà comunque un'uscita di scena), rappresenta una storica opportunità per i due partiti di maggioranza del Paese, che ancora oggi - a meno che non sia smentito nel giro di poche ore - sostengono il governo, unico possibile, in grado di non far precipitare il Paese.
Il PDL ha l'occasione per dimostrare di poter camminare con le proprie gambe, anche se inevitabilmente la non candidabilità di Berlusconi si pagherebbe in termini elettorali (sul breve ma non è detto che sia così anche a medio termine se si individuasse nelle forme giuste, un suo successore che certo non può chiamarsi Santanchè o Verdini).
Il PD ha l'occasione per dimostrare di poter fare politica, avere strategie, candidarsi anche a guidare il Paese senza dover agitare lo spauracchio del "nemico" berlusconiano, che ne ha tormentato i sonni e condizionato i programmi nell'ultimo Ventennio.

Detta così, sembra facile. Ma il groviglio è assai complesso. E il rischio del caos resta dietro l'angolo. Con i vari estremismi (Lega, Grillo, Vendola) pronti a far cedere l'asse portante del Governo.
Per un successo effimero. E un futuro del Paese senza alcuna prospettiva.

Per orara l'Italia continua ad averne poche di prospettive (di sicuro, una si chiama Enrico Letta). Ma su quelle poche va costruito il domani...

giovedì 1 agosto 2013

Perugia-Ancona: e se fosse davvero la volta buona?

"La direttrice Perugia – Ancona non può più subire ritardi".
Almeno su un punto sembrano essere tutti d'accordo. Regione Umbria e Marche, Anas, Quadrilatero e perfino il commissario straordinario di Impresa spa.
Che poi l'unita' di intenti portera' a risultati davvero concreti e' tutto da vedersi. Ma almeno non bisognera' attendere ad oltranza, visto che dal vertice romano che ha visto riuniti intorno allo stesso tavolo gli attori protagonisti della vicenda Perugia-Ancona, e' uscita una data. Ottobre 2013.

E' il termine entro il quale Anas, Quadrilatero e soprattutto Impresa spa si sono assunti l'impegno di ripartire per portare a compimento un'opera che per la complessita' burocratica nella quale e' da anni invischiata, rischia di passare alla storia come la vera "araba fenice" della viabilita' nazionale.
Già perchè mentre il Palazzo e la politica regionale si dibatte - tra campanilismi e miopie - su raddoppi ferroviari o varianti (quest'ultime palesemente più opportune ma purtroppo poco finanziabili), il paradosso è che la Perugia-Ancona è interamente finanziata.
E parliamo di 1,5 miliardi di euro. E parliamo di un segmento del cosiddetto "Quadrilatero" il cui lato inferiore (per geografia ma non per capacità di divenire concretamente arteria viaria), ovvero la Foligno-Civitanova, è molto più avanti negli step realizzativi.
 
Le disavventure di Impresa spa si sono ritorte contro le sorti di questa direttrice che da 40 anni ormai ha preso le mosse e che, sulla carta, dovrebbe tagliare il fatidico traguardo nel giugno 2014.
Se fosse davvero così, per il comprensorio eugubino si spalancherebbero storicamente le porte di quel limbo nel quale da decenni è prigioniero, vittima di un isolamento che per taluni è perfino una risorsa, ma che di questi tempi diventa un valore ancor più deprimente.

Stavolta sembra davvero quella buona: Impresa spa - attraverso il suo commissario, Saitta (una donna tutta d'un pezzo, a dimostrazione che il gentil sesso in questi ruoli garantisce molto più pragmatismo) ha fatto sapere che romperà finalmente gli indugi, Anas e Quadrilatero che affiancheranno e non torneranno latitanti sul piano finanziario, procedendo attraverso i cosiddetti SAL (step avanzamento lavori) che garantiranno liquidità e continuità operativa.
 

Per quanto riguarda noi, continueremo a verificare che i buoni propositi espressi intorno ad un tavolo capitolino, siano davvero tali. E che ottobre 2013 non rappresenti l'ennesima data da aggiornare col bianchetto. Ma quel punto di svolta che questa direttrice - e i territorio che vi insistono intorno - attendono da qualche decennio.