Chissà, tra qualche secolo gli appassionati, di quel che resta del calcio, non solo ricorderanno i tempi in cui milioni di persone di accanivano ancora intorno al destino di un pallone di cuoio. Ma anche qualche suo indimenticabile interprete.
E magari ricorderanno
frasi come questa. Che ci raccontano non solo di un uomo diventato
allenatore, ma che in questa veste ha rappresentato un'icona
inconfondibile. Quella di un padre per i giocatori, di uno zio
affettuoso per i tifosi, di un irresistibile fonte di aneddoti per un
giornalista.
Vujadin Boskov se ne è
andato a quasi 83 anni. In punta di piedi, perchè non era solito
alzare la voce. E certamente con quel sorriso ironico e quella
leggerezza con cui aveva interpretato lo schizofrenico mondo
pallonaro. Una mosca bianca in una giungla fatta di arrivismo e
risultati a tutti i costi, logiche che spesso anche lui ha finito per
pagare. Ma certamente lo ha fatto ridendoci su. "Perchè l'allenatore è padre ma anche poliziotto".
Fu un passaggio veloce,
repentino, quello di Boskov in Umbria, ma che lasciò traccia, perchè
ancora oggi quei giocatori, i Giovanni Tedesco, i Cristian Bucchi,
gli Ze Maria, ne ricordano il carisma, la simpatia irresistibile, le
gag, come le frasi indimenticabili.
“Pallone entra quando
Dio vuole” ripeteva dopo le azioni più sfortunate. Arrivò due
volte in finale di Coppa Campioni, con Real Madrid e Sampdoria, ma
perse in entrambe. Ora forse lassù qualcuno starà sorridendo. Certo
che non solo le vittorie, o almeno non solo quelle, a rendere
indimenticabili gli uomini.
A rendere memorabile uno
come Vujaidin Boskov.
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