Non avremmo mai immaginato di avere un tennista numero 1 al mondo, capace di vincere 2 tornei Slam nello stesso anno, di trascinare gli Azzurri alla conquista della Davis dopo 47 anni. Ma se nei sogni di pochi forse albergava tutto questo, negli incubi di nessuno poteva palesarsi il nome del peggior avversario di Jannik Sinner.
Che non è l'ormai famoso clostebol, il farmaco da cui è risultato positivo lo scorso mese di marzo per due volte. Sostanza contenuta in una pomata che il suo fisioterapista aveva assunto prima di massaggiarlo e inevitabilmente trasmettere una porzioni infinitesimale di questo prodotto vietato agli sportivi.
Il nemico peggiore di Sinner in questo momento non è Alcaraz, e neppur un possibile redivivo Djokovic. Ma si chiama Wada. Un organismo che abbiamo imparato a conoscere, tristemente, nella storia tormentata di un altro altoatesino, Alex Schwazer, il marciatore azzurro campione olimpico 2008 e squalificato per doping prima nel 2012 e quindi nel 2016, guarda caso sempre alla vigilia dei Giochi Olimpici. Nel secondo dei due casi, venne dimostrata la manipolazione delle urine comprovanti il presunto doping, ma la Wada tirò dritta e portò il caso davanti al Tas - proprio come oggi - che comminò una squalifica tombale sulla carriera di Schwazer. Non sarà stata una vita irreprensibile, la sua, con il coinvolgimento anche in fase giudiziale di un'altra altleta, la sua ex compagna Kostner, ma certo le istituzioni del mondo doping hanno messo lo zampino e la firma sul suo epitaffio sportivo.
E' la stessa Wada che - quando il caso sembrava chiuso - oggi impugna una pronuncia inequivocabile della ITIA (l'International Tennis Integrity Agency) tribunale indipendente, che aveva assolto Sinner in quanto "non aveva alcuna colpa o negligenza" per le due violazioni delle norme antidoping. Per la cronaca la quantità della sostanza rilevata era talmente infinitesimale che solo uno stolto da ricovero avrebbe fatto uso di questo prodotto in quelle quantità risibili per averne beneficio. Sinner lo ha spiegato, ha licenziato il fisioterapista che incautamente non ha indossato un banale paio di guanti sapendo che aveva "tra le mani" una pomata ad orologeria, e ha continuato a giocare (e vincere) quasi come nulla fosse. Quasi. Perchè oggi il caso si è sorprendentemente riaperto. Svelando un burrone davanti.
E' lo spettro della Wada. Che ha chiesto tra 1 e 2 anni di stop per il ragazzo di Sesto Val Pusteria. Gettando un'ombra di quelle pesanti anche sui suoi prossimi impegni tennistici: quelli individuali in Oriente e soprattutto Master a Torino e Davis a Malaga nel mese di novembre. E sì che il TAS (la Cassazione dello sport mondiale) non si degnerà di decidere nulla prima di Natale o forse addirittura a gennaio. Lasciando questa spada di Damocle sulla testa di Jannik. Destinato almeno in queste settimane, a giocare contro tre avversari contemporaneamente: quello dell'altra parte del campo, se stesso e soprattutto quello nascosto in un clima diffidente (da cui non sono estranei neppur alcuni suoi colleghi che in questi giorni hanno rilasciato dichiarazioni equivoche) contro il quale è condannato a confrontarsi. Siamo certi che sarà più forte di tutto questo. L'interrogativo resta appeso alla sentenza del TAS.
Una eventuale e non auspicabile condanna non è da escludere. E sarebbe - diciamolo - un'ignominosa pagina destinata non a "dare l'esempio" (colpiscine uno per educarne 100, alla Mao) ma a delegittimare ancora di più della poca credibilità rimasta, il sistema giuridico intorno al fenomeno doping.
Una storia che lascia amaro in bocca, a prescindere. L'impressione è di un "film già visto". Non solo con Schwazer (che un precedente comunque lo portava sulle spalle) ma anche 26 anni fa, con Marco Pantani: un numero 1 assoluto, come lo è oggi Sinner, sulle due ruote di una bici. Vincitore di Giro e Tour e pronto a bissare con la maglia rosa. Scaraventato giù dall'Olimpo in una mattina di inizio giugno a Madonna di Campiglio, dove fu prevelato come un criminale (alla "Enzo Tortora" per capirci) davanti a telecamere e divise dei Carabinieri. Chiudendo in poche ore una carriera (e una vita) per vicende torbide e dai contorni ancora rimasti indefiniti, in cui si intrecciano presunte scommesse camorriste e alterazioni di provette. Sinner non farà "la fine di Pantani", perchè appare più solido e meno vulnerabile. Ma mai come nei prossimi mesi la sua carriera vacillerà. E questa - al netto della vicenda che già doveva essere chiusa e sepolta per evidente innocenza - è già una cocente sconfitta.
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