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giovedì 12 settembre 2024

La Festa dei Ceri e il terremoto: con il compianto Sanio Panfili il ricordo di quel coraggio di 40 anni fa... - da "Il Bollettino" del Centro Documentazione Festa dei Ceri settembre 2024

Era una domenica mattina di fine aprile, il 29 aprile. Esattamente 40 anni fa: ore 7.03. Gubbio si apprestava a svegliarsi per vivere una normalissima giornata di inizio primavera, preludio di un lungo periodo di festa. Era domenica di cresime (alla parrocchia di S.Agostino), chi l'avrebbe invece trascorsa magari con una passeggiata a S.Ubaldo o al parco di Coppo. Chi semplicemente con una “vasca” sul Corso, che ancor di quei tempi era fulcro di ritrovo per i più giovani, soprattutto con il mese di maggio alle porte.

Nulla di tutto questo. Le 7.03 di quella mattina sconvolsero ogni programma, abitudine, routine. Perché in quell'istante la terra tornò a tremare, e lo fece pesantemente: epicentro a sud della città, in località Monturbino (nei pressi di Santa Cristina) tra i comuni di Gubbio e Perugia. Non si seppe la sala Richter di quella scossa – e dello sciame comunque pesante che ne seguì per molti giorni – perché allora il parametro di rilevazione era la “Scala Mercalli” (basato sulle conseguenze delle scosse e non sulla loro intensità scientifica): risultato, 8 gradi, in prossimità delle dimensioni più drammatiche. 

In pochi istanti molte famiglie si ritrovarono fuori casa, soprattutto nelle frazioni vicine all'epicentro (Belvedere e Scritto) ma anche della pianura eugubina, molte abitazioni presentarono evidenti danni. Fortunatamente senza vittime, senza crolli epocali. Ma si mise in moto una macchina organizzativa e dei soccorsi che fu tra le prime – dopo il terribile e sciagurato sisma in Irpinia – a sperimentare un innovativo sistema che l'allora ministro Zamberletti aveva fortemente voluto (sollecitato anche dal Presidente della Repubblica Pertini, scioccato dalla disorganizzazione delle operazioni in Campania di pochi anni prima): la Protezione civile. Fu allestita una tendopoli al campo sportivo San Benedetto, la città fu disseminata di roulotte dove trovarono ospitalità per diverso tempo le famiglie, spesso ubicandole accanto alle abitazioni rese inagibili dalle crepe visibili anche all'esterno. Fu anche la prima volta in cui l'informazione di una calamità fu seguita praticamente in diretta dalla popolazione eugubina, grazie ai servizi h24 di Radio Gubbio, l'emittente radiofonica nata appena 7 anni prima, ma che non aveva mai dovuto assolvere fino a quel momento ad un compito così importante e vitale, che non andasse oltre la dedica di una canzone o un quiz mattutino.

Il Sindaco di Gubbio dal 1975 era l'ing. Sanio Panfili, figura di spicco dell'allora PCI eugubino, che negli anni a seguire avrebbe maturato importanti esperienze anche in Provincia e in Regione (dove fu presidente dell'assise di Palazzo Cesaroni). Fu lui, ad appena 1 anno dalla fine del suo mandato, a dover gestire la difficile fase di emergenza (mentre la ricostruzione sarà guidata dal nuovo sindaco che gli subentrò un anno dopo, Paolo Barboni). Ma fu soprattutto Sanio Panfili – che in questa occasione vogliamo ricordare a quasi 2 anni dalla scomparsa (è morto il 9 gennaio 2023) – a prendere la decisione tutt'altro che scontata e pacifica, di organizzare la Festa dei Ceri 1984: quella festa che si sarebbe svolta ad appena 17 giorni dalla prima scossa sismica che sconvolse la città

Con Sanio Panfili ho parlato in un'occasione particolare di tutto questo: era il maggio 2009, nel corso delle puntate de “L'Attesa” (la fortunata trasmissione di TRG nata nel 2002 e dedicata alla lunga vigilia della Festa dei Ceri) lo contattai per ricordare con un'intervista quei fatti, sull'onda emotiva di un altro terremoto, molto più tragico in fatto di vittime, accaduto 1 mese prima (aprile 2009) a L'Aquila. C'era anche un sottile filo conduttore che univa le due città, oltre al destino del sisma. Era infatti di L'Aquila quel Giovan Battista Donati che nel 1869 fuse il Campanone che dal 30 ottobre di quell'anno troneggia sulla torretta di Palazzo dei Consoli. Un protagonista a suo modo anche di quanto avviene nel 1984, un protagonista tutt'altro che irrilevante. E così incontrai Sanio Panfili proprio a Piazza Grande, di fronte alla Residenza Comunale ma anche nel luogo che aveva maggiormente catalizzato emozioni e preoccupazioni in quei 17 giorni del 1984 in cui decidere cosa fare. Insieme a lui anche Loris Ghigi, storico campanaro, e nel periodo del sisma dipendente comunale.

In quella domenica di fine aprile, che ricordo anche piuttosto fredda, tutto aveva in testa meno che i Ceri – ha esordito Sanio Panfili nell'intervista – Gubbio aveva avuto altri terremoti in anni recenti, l'ultimo nel 1982, ma mai di quella intensità e gravità delle conseguenze. Eravamo in emergenza, la situazione di pericolo e paura era diffusa, ci arrivavano notizie di casi danneggiati nelle frazioni, incomiciammo subito a fare i conti con la necessità di sistemare famiglie, anche se in quantità minori rispetto a emergenze di anni successivi. Ma in quel momento tutto appariva molto grave, la situazione più grave che ci eravamo trovati ad affrontare sia come Giunta che come comunità cittadina. C'erano urgenze logistiche immediate (allestimento di tende, roulotte al campo vecchio, per le famiglie rimaste senza casa o con abitazioni lesionate), un quadro che faceva sentire lontano e quasi secondario il problema di cosa fare il 15 maggio”.

Ma bastarono giorni: “Il problema sorse nei giorni successivi – spiega Panfili – Intanto per la prima domenica di maggio, il 6. Poi soprattutto per il 15. Non potevamo far finta di niente, non potevamo neanche sottovalutare i pochi rischi a cui saremmo andati incontro. Anche perché lo sciame sismico successivo a quel 29 aprile durò diversi giorni. E nulla poteva escludere che il terremoto sarebbe proseguito anche a maggio”.

E allora?

Ragionammo con Giunta, Prefetto, Vigili del Fuoco sul da farsi, ne parliamo anche con il ministro Zamberletti della neonata Protezione civile. Posi un problema: c'erano dei rischi ma c'era anche uno stato di tensione che poteva essere superato solo pensando ad altro. I Ceri erano l'occasione per ridare fiducia alla città e un'immagine immediata di ripresa e reazione da parte della comunità. Quel problema si è rivelato nel giro di poche ore una priorità. Ma questo era facile a dirsi e meno facile a realizzarsi. Far capire a chi non era di Gubbio – a partire dai referenti istituzionali di Roma ma anche di Perugia - che i Ceri non si erano mai fermati, se non per la guerra, e che non potevamo assumerci le responsabilità di interrompere la tradizione, non era così semplice ”.

E quindi? “Pensai che non fare i Ceri avrebbe creato molti più problemi di quelli che si evitavano senza la Festa. C'era il rischio dell'assembramento, non tanto dei crolli. Ma cosa sarebbe successo se avessimo detto agli Eugubini: per quest'anno ha vinto il terremoto, la Festa non si farà. Non era possibile e soprattutto sarebbe stata una sconfitta per tutti. Decisi di andare avanti: dovevamo dare un segnale che questa città sapeva rialzarsi subito”.

E così si mise in moto una seconda macchina organizzativa, immediata e parallela a quella degli aiuti alle famiglie sfollate: “Fu messa in piedi una ministruttura di emergenza, con tecnici Prociv, professionisti privati, Vigili del Fuoco, per capire i problemi che ci sarebbero stati nello svolgere la festa – racconta ancora Panfili - responsabile di questa sorta di task force fu l'ing. Giuseppe Tosti, che coordinò un certosino lavoro di verifiche sulla Piazza, nelle volte sotto la Piazza, sul murello di Piazza Grande, furono controllate le pietre sporgenti, i tetti più incerti. Ovviamente furono fatti controlli approfonditi dentro Palazzo dei Consoli, e dove possibile in tempo record, furono approntati alcuni rafforzamenti. Tra gli obiettivi di verifica, furono controllati anche tutti i cornicioni degli edifici lungo il percorso dei Ceri. Ovviamente nei giorni antecedenti la Festa fu fatto un invito a non sovraffollare la piazza, con i mezzi informativi a disposizione (Radio Gubbio e quotidiani, da un anno era in edicola il Corriere dell'Umbria). Organizzammo riunioni con le Famiglie ceraiole, per sensibilizzare sulle difficoltà ma anche sull'importanza che si facesse la Festa. E molto dipendeva dal senso di responsabilità di ogni ceraiolo. Fu un momento di grande partecipazione in un periodo di grande emergenza e difficoltà: i Ceri aiutarono a superare l'emergenza.

Eravamo tutti coscienti che il problema non era tanto e solo delle strutture in sé, ma soprattutto era il rischio del panico che si sarebbe potuto scatenare in momenti particolari, come l'alzata. Ci fu molto coraggio, tanta organizzazione, molto senso di appartenenza (senza il quale questa “macchina” parallela non avrebbe funzionato) e anche un pizzico di incoscienza, diciamo calcolata. Per fortuna l'unico terremoto che sentimmo il 15 maggio 1984 fu quello emozionale”.

Raccontarlo oggi può sembrare semplice, ma furono davvero giorni complicati e carichi di preoccupazione. Nessuno immaginava neanche lontanamente che la Festa dei Ceri non si sarebbe svolta. Ma non si potevano sottostimare i rischi. E allora chiesi all'ing. Panfili: ma la sera del 14 maggio o durante la giornata del 15, si è mai chiesto “chi me lo ha fatto fare?

Sono stato abbastanza sereno. L'unico momento difficile è stato intorno alle 21 del 14 sera. eravamo consentiti alle Famiglie ceraiole di utilizzare le taverne, limitando l'accesso, le avevamo controllate nei giorni precedenti per quel che si poteva allora (non c'erano uscite di sicurezza, né i tanti sistemi di precauzione oggi in vigore) – e la sera della vigilia ci fu una piccola scossa, non grave ma avvertibile. Qualche preoccupazione ce la diede, ma andammo avanti. Molti non se ne accorsero continuando a festeggiare, e arriviamo al 15 maggio senza intoppi. La giornata poi scorse via tranquilla, l'unico problema fu il meteo, in Piazza Grande c'era meno gente degli altri anni ma la cornice fu sempre straordinaria. E arrivammo a sera felici tirando tutti un sospiro di sollievo, con un senso di appagamento ancora maggiore per quella Festa che ci aveva restituito una giornata di vita. Non ho mai avuto ripensamenti – confida Sanio Panfili - ero convinto che fosse fatta la Festa. E tornando indietro lo rifarei. Assolutamente”.

Infine una riflessione a posteriori in quel 1984: “ Quando pochi giorni dopo ci rivedemmo con il ministro Zamberletti, concordammo sul fatto che la Festa era stata la vera medicina per sanare la depressione di un'intera comunità, colpita dal sisma. Sarebbe stato più deleterio non farla. E proprio i Ceri ci aiutarono a ricostruire la fiducia nel futuro ”.

Ascoltare queste parole 15 anni dopo (l'intervista è del 2009) e ripensare a quanto avvenuto in quel 1984 che già a livello letterario evocava orwelliani destini di calamità, fa riflettere e non poco, su quanto accaduto poi tra il 2020 e il 2021. Quando un'altra calamità, il Covid, stavolta avrebbe avuto la meglio sulla Festa. Aggiungendo per altro l'inquilino ciclico (il terremoto) tornato a bussare proprio la mattina del 15 maggio 2021, intorno alle 10. Chissà se senza la pandemia, in quella mattinata, con i nuovi sistemi di protezione, cautela, sicurezza e security, l 'alzata l'avremmo vista comunque.

Un'ultima curiosità di quell'intervista a Sanio Panfili realizzata per “L'Attesa” la lasciò nei ricordi Loris Ghigi, con il Campanone a fare da protagonista. Perché fu proprio la “voce” del Campanone a 48 ore dal sisma, a ridestare la città dall'angoscia di quelle prime ore.

Fu la vera svolta, il 1 maggio – ricorda Ghigi insieme a Panfili - quando gli eugubini sentirono suonare il Campanone. Erano passate 48 ore dalla scossa più grande. Il messaggio era chiaro: Gubbio era ancora viva e forte. Decidemmo di salire sulla torretta il giorno dopo la scossa – ricorda ancora Loris Ghigi - e con Vittorio Baldelli il 30 aprile salimmo sulla torretta: il nostro fu un sopralluogo poco tecnico e molto pragmatico, per vedere come era la situazione. Non c'erano lesioni, nulla faceva pensare che la struttura aveva risentito. E anche sulla torretta non c'erano segni di danni. Insomma il Palazzo dei Consoli, che di terremoti ne aveva superati già tanti, aveva passato anche questa: decidemmo per una “sonata corta”. Ma salimmo il 1 maggio per rinnovare il nostro rito. Ricordo che nei giorni seguenti seppi che Callisto Ricci riuscendo a prendere la linea telefonica per chiamare la figlia in Francia e farle sapere come andava, si collegò proprio a mezzogiorno e le fece: “ Senti. Suona il Campanone. Siamo vivi! ”.


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