Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 27 luglio 2010

Il ritorno in un campo scout: e in un istante, il ritorno a 24 anni fa...

Ci sono immagini, profumi, essenze. Ci sono suoni, brusii e silenzi. Ci sono attimi. Quieti e immortali. Istanti che ti riportano indietro di oltre 20 anni. Come una macchina del tempo. Per l'esattezza 24. Tanti quanti ne dista l'ultima volta - 1986 -che ho indossato la divisa scout. Già, la divisa. Ricordo mia madre che stirava la camicia celeste, un po' consumata ai polsini, con bottoni a rilievo bianchi, costellata di stemmi: il Gubbio 1 (non esiste più), il logo Agesci, e le specializzazioni. Adesso non le ricordo tutte: mi torna in mente quella di fuochista (era la più facile da prendere, anche perché se non sapevi neppure accendere un fuoco restavi senza cena), o quella di interprete. Ma ne avevo una decina. Squadriglia Aquile: vice caposquadriglia nell'ultimo campo a Castelluccio di Norcia (capo squadriglia, Massimo Pannacci).
Con l'urlo di squadriglia facilmente riconducibile ad una ben nota epoca storica ("Un solo grido, vincere. E vinceremo!", l'aveva coniata l'amico Ubaldo Gini, non a caso denominato Aquila Pazza). Mi chiamavo "scoiattolo brontolone": anche perché a 15 anni è già intuibile quali saranno alcuni prodromi della tua indole. Ed evidentemente, oltre a rosicchiare noci, mi lamentavo un po' di tutto.
Ma non cambierei quell'esperienza con nient'altro.

Il giorno della promessa scout - 1984
Seconda cappelluccia monte Ingino
A 13 anni - dopo essere stato coccolato, viziato e cresciuto con ogni comodità, senza lussi eccessivi ma anche senza che ti manchi nulla - ti catapultano in una tenda, con ogni condizione atmosferica, un paio di bermuda di velluto e un pullover di cotone, se necessario. Una branda con sacco a pelo dove dormire, quattro fusti di legno con cui costruirti un tavolo, e il resto del legname da accendere (senza "diavolina") giusto per scaldarsi qualcosa. Il resto - se il fuoco non veniva - era in scatola: tonno, Simmenthal, ed altre amenità a lunga scadenza. Tutto questo per un paio di settimane, in mezzo a due dozzine di coetanei, tra l'incudine del "nonnismo" strisciante (accade in tutte le "migliori famiglie", anche le più insospettabili) e il martello della continua sfida verso se stessi. Mettersi in discussione: dalle 6.30 di mattina, alla sveglia (che esce dagli amplificatori sotto forma di "Al chiaror del mattin", canzone scout indimenticabile) alle 10 di sera, in cerchio, attorno ad un fuoco, a parlare del senso della nostra esistenza. A 13 anni. Infreddoliti ma carichi di adrenalina per una giornata vissuta in ogni istante, in mezzo a natura vera, a farsi "il mazzo" anche solo per il gusto di mettere qualcosa sotto i denti, o per l'orgoglio di raggiungere una meta, segnata su una mappa, seguendo le sole indicazioni di qualche bussola o un riferimento naturale. Scalare il monte Vettore in gruppo e toccare la neve a luglio, a due passi dal lago di Pilato; o raggiungere Cascia da Norcia, passando per i boschi, con la tua squadriglia, riuscendo a coprire il percorso prima degli altri: piccole imprese per le quali, lì per lì, pagheresti oro. E a distanza di anni, ci metteresti pure l'argenteria di famiglia.

Nostalgia. Ma anche gioia interiore. Profonda. Perché anche se tutto questo dista un quarto di secolo, è qualcosa che ho comunque vissuto. Toccato.
Tutto questo mi è tornato in mente (ma sarebbe meglio dire, mi è tornato sulla pelle) oggi pomeriggio: per un servizio a TRG (andrà in onda domani, e uno speciale venerdì sera) sono andato a dare un'occhiata all'inaugurazione del campo scout regionale a Monte Alago, a due passi da Nocera Umbra. Oltre 700 scout da tutta l'Umbria a ritrovarsi insieme per un'esperienza di comunità - anzi, di vita - che ha poche comparazioni. Soprattutto oggi, che non possiamo fare a meno di un telefono cellulare, di una casella e-mail, di un pc. O magari, di un blog o di una pagina su facebook.
Loro no. Per due settimane staranno lì. Da soli (si fa per dire). Con se stessi. Immersi in un bosco da favola, su un altipiano che se ci dicessero che sta in America, fotograferemmo in ogni centimetro quadrato (ma siccome è a Nocera, non fa tendenza...).

Quei profumi, di erba aromatica, che ti sfiorano e ti penetrano; il rumore di una bandiera che sventola in cima ad un traliccio; il gracchiare di un altoparlante pronto a convocarti per l'alzabandiera; lo stuolo di tende e bivacchi che si snoda attraverso le macchie. E quelle camicie celesti, ammassate, in seduta conserta. Ad ascoltare. Un esercizio così semplice e così impensabile nel nostro quotidiano: l'ascolto.
La vita scout ti insegna proprio questo. Ad ascoltare. E insieme a questo, a conoscerti.
Tutte sensazioni che mi hanno riproiettato a quegli anni Ottanta. A quelle uscite, a quei campi. A quelle storie che si possono riavvolgere nel nastro della mia mente. Sapendo che non torneranno. Ma sospirando, dentro di me, perché ci sono state.
Ne avessi la possibilità, abolirei la leva - anche quella professionale - e metterei l'obbligo di almeno un campo scout per ogni 13enne (specie quelli "smidollati", un po' come me, allora, ai quali un'esperienza del genere, serve come il cornetto alle 7 di mattina: ti nutre e ti piace pure, anche se non c'è la crema dentro).

Andandomene, ho dato uno sguardo a questa vallata: centinaia di scout insieme, pronti ad affrontare le difficoltà di ogni giorno (stava arrivando anche un temporale, stasera ci sarà da "ridere" sotto le tende), ed ad assaporare questa pagina che oggi sa di divertimento. Un giorno, diventerà saggezza.
Buona caccia, si dice in gergo scout. Sapendo che BP (Baden Powell, fondatore del movimento oltre 100 anni fa) lasciò una raccomandazione semplice, quasi banale, ma in realtà straordinaria (se solo potessimo esaudirla): "Proviamo a lasciare il mondo meglio di come l'abbiamo trovato".

5 commenti:

  1. Per scrivere qualcosa di pertinente e coerente con le tue intenzioni, dovrei riflettere un po' con calma. Non conosco il mondo degli scout, nè mi sono mai avvicinata ad esso. Anzi, a dirla tutta, e senza offesa, mi è sempre scappato un sorriso vedendo quei gruppi inquadrati e vestiti in divisa. Mi ricordano un po' le "Giovani Marmotte" dineyane, certamente per mia ignoranza (lo ammetto). Ma non prenderla male (chè poi ci resto male io...).
    Leggendoti, però, qualcosa mi ha colpito lo stesso. Anche se magari c'entra poco.
    Innanzi tutto concordo sulle considerazioni riguardo al servizio militare, e non credo di averti stupito.
    Poi, ancora sto ridendo per il soprannome. Provo a immaginarti a 15 anni, con la tua bella divisa (scusa, ma mi è scappato...), uscito dalle "colonne de Barbi" e scaraventato tra i boschi. Te ne stai lì, un po' contrariato, e molto affamato, a sgranocchiare noci. Lamentandoti delle avversità, sì, ma pronto ad impegnarti (quanto meno per non essere "di peso" al resto del gruppo). Con i tuoi occhiali, le tue noci, i tuoi modi "per bene" (che indubbiamente ti appartengono), ti sforzi contro voglia (e contro la tua natura più "teorica"), borbottando come una pentola sul fuoco. E, cercando di camuffare un pizzico di "imbranataggine", cercando di adattarti alla situazione (per la serie "siamo in ballo, balliamo"), alla fine ti scappa una risata, inizi ad avere qualche soddisfazione, e costruisci, istante dopo istante, quei ricordi che conservi gelosamente tutt'ora.
    Ma c'è un altro pensiero che, sin dalle prime parole, si fa largo. Come sempre, d'altronde. E riguarda il tuo modo di scrivere. Che mi incanta, mi coinvolge ed ogni volta mi trascina a leggere dalla prima all'ultima riga. D'un fiato. Anche se l'argomento che tratti non mi interessa più di tanto (leggo anche i post di calcio... pensa te!). Spesso ho poco tempo, ma so che se inizio a soffermarmi su qualche frase, poi DEVO arrivare alla fine. Sapendo già che quello che leggerò non mi lascerà indifferente.

    A presto

    P.S. Ho fatto i complimenti per lo stile a... un giornalista! Sarò presuntuosa?!

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  2. P.P.S. Rileggendomi, mi sorge un dubbio: ma si scrive tutt'ora o tuttora? Va beh, tu e gli altri su Internet non fateci caso...

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  3. hai ragione Martina, anche a me piace il modo di scrivere di Giacomo, diretto, reale, ma più che altro sincero, non retorico, su qls argomento...il calcio poi è il mio preferito!!!!<3 Magda

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  4. In effetti lo stereotipo dello scout paga una serie di pregiudizi che vanno dall'etichetta dei "bambini vestiti da cretini guidati da cretini vestiti da bambini" (ma in fondo, lo potremmo coniare per molte categorie, non ultimi proprio i calciatori) al luogo comune per cui lo scout sarebbe il "bravo ragazzo" che aiuta la vecchietta ad attraversare la strada.
    Fermo restando che non c'è nulla di male nell'accompagnare una signora in là con gli anni sulle strisce pedonali, nessuno - neanche gli scout stessi probabilmente - ha sentito mai la necessità di rivendicare un'identità per il proprio ruolo e il proprio sentire.
    Forse perché non ce n'è bisogno (lo scout non deve sbandierare ai quattro venti il segreto delle proprie esperienze), forse perché non bisognava fare marketing promozionale per i fazzolettoni o il nodo scorsoio.
    Una sorta di dignitoso silenzio. Rispetto al chiasso (spesso vuoto) altrui.
    La mia è solo una testimonianza. Dal campo (anche se invecchiato di quasi un quarto di secolo). O forse meglio dire, dalla tenda.
    Chi non l'ha provata, non sa neanche cosa si è perso. Chi l'ha bollata a priori, si è limitato a "sparare una sentenza" senza appello e senza neanche lo straccio di un indizio ad avvalorare una tesi piuttosto strampalata.
    L'idea più efficace e profonda che emerge dalle interviste realizzate a Nocera - che vanno in onda domani sera alle 21.15 su TRG - è che lo scoutismo è la risposta più attuale e granitica alla maleducazione e al dispregio di ogni regola (educativa e non solo) che il vivere quotidiano ci propone e ci propina. E che purtroppo in molti casi neppure la famiglia riesce più ad arginare.
    E' vero che il clan (si chiama proprio così il raggruppamento degli scout più grandi) può presentare delle "crepe" come tutte le comunità. Ma il messaggio scout resta la migliore garanzia per la maturità di un ragazzo: difficilmente se ne resta indifferenti. O ti contagia o lo respingi. Ma almeno sai chi sei.
    E alla fine l'insegnamento più semplice (oltre a quello del lasciare il mondo migliore di come si è trovato) è in uno dei detti più classici di uno scout: estote parati (siate pronti). La sfida, quotidiana, in ogni piccola impresa del nostro esistere, è sempre dietro l'angolo...

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    1. Leggo questo scambio di post solo ora, per caso, alla ricerca di info su Castelluccio di Norcia. Mi è venuta in mente solo una cosa: scout una volta, scout per sempre (semel scout, semper scout).
      Claudia, scout di 44 anni

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