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giovedì 1 luglio 2010

Umbria capitale di nera

L’UMBRIA DIVENTA METROPOLI: ALMENO SULLE PAGINE DI NERA – luglio 2007

Se un paio di mesi fa c’avessero raccontato che in così poco tempo la nostra regione avrebbe “guadagnato” le prime pagine di tg e quotidiani nazionali per ben tre volte e per tre vicende completamente diverse e distinte tra loro, avremmo pensato all’ennesima puntata di una delle tante fiction che ormai da anni si girano da queste parti. Un omicidio, uno scandalo in una pubblica amministrazione, un’azione anti-terroristica. Sembrerà strano ma parliamo dell’Umbria.
Ma se il primo fatto, quello di Marsciano, rientra nell’ambito di quella casistica di delitti privati “fisiologici” che purtroppo in Umbria conta i suoi numeri (pensiamo solo ai casi del mostro di Foligno, l’omicidio della piccola Geusa a C.Castello senza dimenticare l’ìrrisolto omicidio Fondacci a Gubbio), le altre due vicende toccano l’interesse di tutti, al di là del trasporto emotivo.
Che la pubblica amministrazione, ad esempio, non sempre offra esempi di grande efficienza, è fenomeno piuttosto diffuso (tanto che si dice che gli italiani non soffrano tanto di dover pagare le tasse, quanto di non avere in contropartita servizi adeguati). Ora non si tratta più delle cosiddette leggende da corridoio. Il caso di Perugia è di quelli clamorosi e potrebbe far aprire altri filoni in altri settori della Pubblica amministrazione, dove dare un’occhiata un po’ più approfondita ora, che la guardia è tornata alta, non servirebbe. Tra qualche mese sì.
La curiosità più particolare, in queste indagini, è leggere i commenti del giorno dopo. Se la politica, le istituzioni preposte a finanziare la sanità pubblica (che assorbe l’80% delle risorse della nostra Regione) si “stracciano le vesti”, gridano allo scandalo, chiedono severità e indagini risolute, tutti dovremmo essere concordi. Ma chi avrebbe dovuto, se non quelle stesse istituzioni, se non quei dirigenti pubblici, quei sindacalisti che occupano importanti segmenti della macchina amministrativa, esercitare il controllo opportuno e conseguentemente disporre o favorire i provvedimenti disciplinari?
Tutti cascano dalle nuvole, tutti puntano il dito (una volta individuato il “capro espiatorio” della situazione) ma nessuno fa mea culpa. Il timore è che svanito il polverone non se ne parli più. E i controlli, pochi in passato, diventino ancora più blandi in futuro. Perché magari, alla fine, non conviene neppure ai controllori.
Capitolo anti-terrorismo: la vicenda di Ponte Felcino è scioccante. Più perché avvenuta a 30 km di distanza, che non per i particolari, pure inquietanti, emersi col passare dei giorni. Se in una piccola comunità, in un luogo innocuo, avveniva tutto quello che sembra sia davvero avvenuto, non si può più essere sicuri neppure della nostra piccola Umbria, neppure del quartiere in cui si respira da una vita.
A parte Perugia – che se non ha le dimensioni ha comunque già parecchi vizi delle metropoli – la periferia sembrava ancora immune da virus più tipici delle grandi città. Così non è. E la storia di Ponte Felcino dovrebbe insegnarci due atteggiamenti, diversi ma che non si escludono. Il primo è “non cadere nella trappola del generalizzare”. Il secondo è “non cadere nella trappola del buonismo”. Sono i due estremi di un equilibrio e una prudenza che mai come ora sono gli antidoti necessari ad ricreare un clima di convivenza e collaborazione.
Questo sì, in fondo conviene davvero a tutti.

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