Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 30 luglio 2010

Furti al cimitero di Gubbio: spariscono perfino le brocche. Un gesto semplicemente indegno.

Furti al cimitero. Se ne parla spesso, con un riflesso ancora più amaro, considerando che spesso le razzìe e profanazioni vanno a toccare soprattutto il ricordo e la memoria. Che non hanno riscontro economico ma un significato ben più profondo e valoriale.

Quello che sta accadendo negli ultimi tempi al cimitero di Gubbio è ancora più deprimente e avvilente, se si pensa che ad essere presi di mira sono i ricordi legati all’appartenenza ceraiola dei defunti. E’ accaduto infatti che presso alcune cappelle o tombe di ceraioli defunti siano state sottratte e trafugate alcune brocche e cimeli legati al passato ceraiolo degli stessi personaggi.
Una triste scoperta, denunciata dal presidente della Famiglia dei Santantoniari, Alfredo Minelli, che proprio in questi giorni – in un’occasione purtroppo luttuosa per i santantoniari - ha riscontrato insieme ad altri un nuovo furto (nella tomba del mai dimenticato Peppe Albini) che si aggiunge ad alcuni altri episodi avvenuti in passato (anche nella tomba dell'amico fraterno, Lucio Pauselli).
Difficile trovare aggettivi per descrivere gesti che vanno a colpire il ricordo più profondo di una persona legata, come lo sono i ceraioli, alle proprie tradizioni. Neanche di vandalismo si può parlare, perché diventerebbe quasi riduttivo. La parola "ignobile" rischia di essere perfino un complimento.
E al di là del valore economico degli oggetti – l’aspetto meno importante in questi casi – è l’assenza di qualsiasi briciolo di dignità di chi non sa guardare in faccia a nessun sentimento, tanto da arrivare a rubare ai defunti, e a colpire i ricordi ceraioli, che lascia letteralmente senza parole.

martedì 27 luglio 2010

Il ritorno in un campo scout: e in un istante, il ritorno a 24 anni fa...

Ci sono immagini, profumi, essenze. Ci sono suoni, brusii e silenzi. Ci sono attimi. Quieti e immortali. Istanti che ti riportano indietro di oltre 20 anni. Come una macchina del tempo. Per l'esattezza 24. Tanti quanti ne dista l'ultima volta - 1986 -che ho indossato la divisa scout. Già, la divisa. Ricordo mia madre che stirava la camicia celeste, un po' consumata ai polsini, con bottoni a rilievo bianchi, costellata di stemmi: il Gubbio 1 (non esiste più), il logo Agesci, e le specializzazioni. Adesso non le ricordo tutte: mi torna in mente quella di fuochista (era la più facile da prendere, anche perché se non sapevi neppure accendere un fuoco restavi senza cena), o quella di interprete. Ma ne avevo una decina. Squadriglia Aquile: vice caposquadriglia nell'ultimo campo a Castelluccio di Norcia (capo squadriglia, Massimo Pannacci).
Con l'urlo di squadriglia facilmente riconducibile ad una ben nota epoca storica ("Un solo grido, vincere. E vinceremo!", l'aveva coniata l'amico Ubaldo Gini, non a caso denominato Aquila Pazza). Mi chiamavo "scoiattolo brontolone": anche perché a 15 anni è già intuibile quali saranno alcuni prodromi della tua indole. Ed evidentemente, oltre a rosicchiare noci, mi lamentavo un po' di tutto.
Ma non cambierei quell'esperienza con nient'altro.

Il giorno della promessa scout - 1984
Seconda cappelluccia monte Ingino
A 13 anni - dopo essere stato coccolato, viziato e cresciuto con ogni comodità, senza lussi eccessivi ma anche senza che ti manchi nulla - ti catapultano in una tenda, con ogni condizione atmosferica, un paio di bermuda di velluto e un pullover di cotone, se necessario. Una branda con sacco a pelo dove dormire, quattro fusti di legno con cui costruirti un tavolo, e il resto del legname da accendere (senza "diavolina") giusto per scaldarsi qualcosa. Il resto - se il fuoco non veniva - era in scatola: tonno, Simmenthal, ed altre amenità a lunga scadenza. Tutto questo per un paio di settimane, in mezzo a due dozzine di coetanei, tra l'incudine del "nonnismo" strisciante (accade in tutte le "migliori famiglie", anche le più insospettabili) e il martello della continua sfida verso se stessi. Mettersi in discussione: dalle 6.30 di mattina, alla sveglia (che esce dagli amplificatori sotto forma di "Al chiaror del mattin", canzone scout indimenticabile) alle 10 di sera, in cerchio, attorno ad un fuoco, a parlare del senso della nostra esistenza. A 13 anni. Infreddoliti ma carichi di adrenalina per una giornata vissuta in ogni istante, in mezzo a natura vera, a farsi "il mazzo" anche solo per il gusto di mettere qualcosa sotto i denti, o per l'orgoglio di raggiungere una meta, segnata su una mappa, seguendo le sole indicazioni di qualche bussola o un riferimento naturale. Scalare il monte Vettore in gruppo e toccare la neve a luglio, a due passi dal lago di Pilato; o raggiungere Cascia da Norcia, passando per i boschi, con la tua squadriglia, riuscendo a coprire il percorso prima degli altri: piccole imprese per le quali, lì per lì, pagheresti oro. E a distanza di anni, ci metteresti pure l'argenteria di famiglia.

Nostalgia. Ma anche gioia interiore. Profonda. Perché anche se tutto questo dista un quarto di secolo, è qualcosa che ho comunque vissuto. Toccato.
Tutto questo mi è tornato in mente (ma sarebbe meglio dire, mi è tornato sulla pelle) oggi pomeriggio: per un servizio a TRG (andrà in onda domani, e uno speciale venerdì sera) sono andato a dare un'occhiata all'inaugurazione del campo scout regionale a Monte Alago, a due passi da Nocera Umbra. Oltre 700 scout da tutta l'Umbria a ritrovarsi insieme per un'esperienza di comunità - anzi, di vita - che ha poche comparazioni. Soprattutto oggi, che non possiamo fare a meno di un telefono cellulare, di una casella e-mail, di un pc. O magari, di un blog o di una pagina su facebook.
Loro no. Per due settimane staranno lì. Da soli (si fa per dire). Con se stessi. Immersi in un bosco da favola, su un altipiano che se ci dicessero che sta in America, fotograferemmo in ogni centimetro quadrato (ma siccome è a Nocera, non fa tendenza...).

Quei profumi, di erba aromatica, che ti sfiorano e ti penetrano; il rumore di una bandiera che sventola in cima ad un traliccio; il gracchiare di un altoparlante pronto a convocarti per l'alzabandiera; lo stuolo di tende e bivacchi che si snoda attraverso le macchie. E quelle camicie celesti, ammassate, in seduta conserta. Ad ascoltare. Un esercizio così semplice e così impensabile nel nostro quotidiano: l'ascolto.
La vita scout ti insegna proprio questo. Ad ascoltare. E insieme a questo, a conoscerti.
Tutte sensazioni che mi hanno riproiettato a quegli anni Ottanta. A quelle uscite, a quei campi. A quelle storie che si possono riavvolgere nel nastro della mia mente. Sapendo che non torneranno. Ma sospirando, dentro di me, perché ci sono state.
Ne avessi la possibilità, abolirei la leva - anche quella professionale - e metterei l'obbligo di almeno un campo scout per ogni 13enne (specie quelli "smidollati", un po' come me, allora, ai quali un'esperienza del genere, serve come il cornetto alle 7 di mattina: ti nutre e ti piace pure, anche se non c'è la crema dentro).

Andandomene, ho dato uno sguardo a questa vallata: centinaia di scout insieme, pronti ad affrontare le difficoltà di ogni giorno (stava arrivando anche un temporale, stasera ci sarà da "ridere" sotto le tende), ed ad assaporare questa pagina che oggi sa di divertimento. Un giorno, diventerà saggezza.
Buona caccia, si dice in gergo scout. Sapendo che BP (Baden Powell, fondatore del movimento oltre 100 anni fa) lasciò una raccomandazione semplice, quasi banale, ma in realtà straordinaria (se solo potessimo esaudirla): "Proviamo a lasciare il mondo meglio di come l'abbiamo trovato".

lunedì 26 luglio 2010

La guerra ai videopoker partita da Bastia Umbra...

Qualcuno l'ha ribattezzata "guerra santa contro i videopoker". In realtà assomiglia molto più ad un'azione di buon senso contro uno strumento, per carità legittimo, ma che attenta alla tranquillità e stabilità finanziaria di diverse famiglie. Se dovessimo stilare una classifica dei rischi-dipendenza, accanto ad alcool e droghe sicuramente dovremmo aggiungere una nuova casella: gioco, o meglio, videogioco.
La storia arriva da Bastia Umbra, popoloso e ricco centro dell'hinterland perugino, avamposto di una periferia industrializzata e molto vivace sul piano commerciale. Qui il sindaco eletto appena 6 mesi fa - Stefano Ansideri, centrodestra - ha iniziato una politica "dissuasiva" nei confronti della presenza sempre più soffocante di videopoker all'interno delle strutture gestite dal Comune, in particolare centri sociali. Una decisione che ha sollevato polemiche e reazioni, oltre che dall'opposizione (forse sarebbe accaduto anche a parti politiche inverse) anche dai gestori dei centri stessi.
Che il videogioco - in particolare i fantomatici videopoker - sia una fonte di guadagno per gestori e commercianti di queste macchinette elettroniche è indubitabile. Praticamente in ogni bar o tabaccheria potreste trovare, ad ogni ora del giorno (e se fossero aperte, della notte) qualcuno seduto imperturbabilmente davanti a questi screen: sguardo fisso e un po' inebetito a osservare quelle carte che si girano, mano sinistra appoggiata sul tasto premuto ciclicamente ogni tot secondi, mano destra a giocherellare con le monete o le fisches da inserire ogniqualvolta (quasi sempre) la giocata non produce successo.
Un iter ripetuto e ripetitivo che stanca perfino chi si dovesse mettere a guardare per qualche secondo quella triste litania.
Capiamoci subito: ognuno ha diritto di spendere e dilapidare i propri soldi come crede. E queste righe non hanno la presunzione di dettare chissà quali norme o regole comportamentali. I casinò sono esistiti da sempre - anche se basta leggersi "Il Giocatore" di Dostojewsky per farsi un'idea dell'identikit di chi in genere li frequenta.
Però l'iniziativa del sindaco di Bastia - ovvero vietare la presenza di videopoker almeno nei centri sociali gestiti direttamente dal Comune - è quanto meno coraggiosa e contiene un messaggio importante che, anche sotto il profilo istituzionale, non andrebbe sottovalutato: attenzione a queste forme subdole e nascoste di dipendenza. Non c'è bisogno di indagini o inchieste approfondite (ma quelle che sono state fatte hannpo rivelato realtà molto preoccupanti) per capire che seduti davanti a queste macchinette finiscono persone che possono perdere facilmente la capacità di "autogestire" la comprensibile voglia di gioco e distinguere il confine che esiste con il rischio della dipendenza.
Ansideri se ne sarebbe potuto infischiare - come molti suoi colleghi - alzando le spalle e dicendo: "Se la gente vuole rovinarsi con le proprie mani, faccia pure". Un po' come fa lo Stato quando scrive sui pacchetti di sigarette che "nuocciono gravemente alla salute", salvo poi intascare risorse importanti dai monopoli e dalle imposte sui tabacchi.
Invece no, invece ha lanciato un allarme importante. Che andrebbe condiviso (a prescindere dall'appartenenza politica) da chi poi fa i conti anche con i costi sociali delle dipendenze (vogliamo parlare di numeri presso i Sert?) e in generale da chi, istituzionalmente investito, molto più semplicemente dovrebbe "dare il buon esempio".
Quello del sindaco di Bastia Umbra mi sembra un buon punto: diciamo un bel poker. Di fronte al quale... non c'è colore che tenga...

mercoledì 21 luglio 2010

Multe, improperi e... senso di ingiustizia

Ho scoperto, mio malgrado, che ci sono due cose che mi fanno incazzare di brutto: le multe e le ingiustizie. Le prime bisogna pagarle - specie dopo che te l'hanno comminate (e non esiste modo peggiore di buttar via soldi). Le seconde invece andrebbero digerite. Ma non c'è bicarbonato sufficiente, specie se conseguenza delle prime, specie se "te la fanno sotto il naso".
Gubbio, ore 18 di mercoledì 21 luglio: mi arriva una telefonata trafelata, devo correre al volo a spostare l'auto, parcheggiata con regolare permesso, perché il carro attrezzi me la sta portando via. Il tutto, grazie ad una solerte segnalazione di una (o un) amabile residente di via Savelli della Porta, che denunciava il fatto che la parte anteriore della mia vettura rientrava per 10 cm nell'area di passo carrabile (evito commenti, non tanto per non rischiare querele ma perché mi sono già verbalmente sfogato abbastanza...). Non le mando a dire ai Vigili Urbani intervenuti, che mi fanno capire che loro devono raccogliere la segnalazione, devono constatare il "fattaccio" (questi 10 cm oltraggiosi, neanche dovesse uscire dal garage con un autoarticolato), impreco un po' e me ne torno a casa. Penso che non è giusto che un cristiano costretto a girare un'intera serata per trovare uno straccio di parcheggio vicino casa (mentre il suo ingresso è "chiuso" ad esempio dai tavolini di un bar con apertura estiva o da altre vetture parcheggiate in mezzo alla strada lungo vie circostanti) finisca per rischiare addirittura di andarsi a riprendere l'auto dal carro attrezzi.
Non ho finito di consumare improperi e aggettivi di vario colore che mi ritrovo punto e accapo: non trovo dove parcheggiare perché la sottostante via Fabiani è piena di auto parcheggiate senza permesso.
Torno dai Vigili Urbani (ancora in zona) e segnalo vibratamente la cosa: "Io la multa la pago, a malincuore, ma la pago. Però ora voi venite in via Fabiani e riservate lo stesso "servizio" alle auto clandestine". I due abbozzano, fanno capolino, probabilmente avvertono i proprietari delle auto, che lestamente le spostano.
Morale: cornuto e mazziato. Non tanto per i 38 euro che mi tocca pagare (non posso neanche augurare che servano a qualcuno per le medicine, ché con questa cifra oggi non ci scappa neanche un pacchetto di Zigulì), quanto per la spiacevole sensazione di "sentirsi fesso" davanti alle regole.

Telefono al Comando dei Vigili e una vigilessa mi dice che sono pure fortunato che il carro attrezzi non mi ha portato via la vettura. Mi altero visibilmente ma la rassicuro: da oggi in poi mi avrete come incubo costante, vi chiamerò ogni qual volta (e avviene spesso) un'auto senza permesso sarà parcheggiata nei dintorni di casa e mi impedirà di trovare un metro e mezzo scarso di spazio per infilare la mia. Credo che dovrete fare come quei fidanzatini che si lasciano e quando si richiamano con il cellulare premono il taso "muto" per non rispondere. Sarò il vostro tormento telefonico quotidiano.
Prevedo comunque che non avrò molti riscontri (del resto se chiami dopo le 20 i Vigili Urbani non risponde nessuno), ma alla fine in qualche modo uscirà fuori un sistema "persuasivo" per chi pensa di prendere in giro un residente "soffiandogli" il posto auto senza avere alcuna autorizzazione (che so, una gomma bucata, un chiusino che sparisce, una riga allo sportello)....
Scrivo queste cose ovviamente con molta autoironia: mi conosco abbastanza per sapere che non sarei capace di fare questo. Anche se l'immagine di Micheal Douglas nel film "Un giorno di ordinaria follia" - il tipo che al culmine di una serie di inusitate ingiustizie, abbranca una mazza da baseball e comincia a farsi giustizia da solo - mi stuzzica in frangenti come questo.
Credo che dentro ognuno di noi si nasconda in fondo un "ego" variamente scatenabile a seconda delle situazioni: il mio s'infuoca non tanto per le multe (recentemente mi hanno tolto 5 punti in piazza 40 Martiri per non aver messo la cintura di sicurezza, in un tratto di strada che si percorre alla folle velocità di 30 km/h) quanto per le "prese in giro". Con la faccia tosta di chi vorrebbe darti pure la lezione morale.
Di fronte a questo, si rischia di perdere la bussola. Di comportarsi in modo quasi irriconoscibile. Magari senza mazza da baseball ma con toni e movenze ancora più "sonanti".
Ecco, è quello che mi è successo oggi.
Istintivamente mi viene da pensare che chi ha provocato tutto questo (la telefonata ai Vigili), è certo, dovrà stare molto all'erta. Perché, sempre nel solco dei comportamenti leciti (ci mancherebbe), troverà chi "lo marca stretto". E prima o poi un errore finirà pure per commetterlo...
Poi ci ripenso e mi viene da sorridere. Sono fatalista. E penso che il destino, se ha un senso di giustizia più ispirato del nostro, farà il suo lavoro...

venerdì 16 luglio 2010

Domenica prossima anteprima di presentazione al Teatro Romano di Gubbio: "Eravamo in 3000 a San Marino"

Sarà solo un'anteprima. La presentazione ufficiale del libro-dvd "Eravamo in 3000 a San Marino" (edito da TRG) avverrà solo ad agosto, a ridosso del via alla nuova stagione calcistica che vede ai nastri di partenza il Gubbio, per la prima volta, in C1 (al secolo, I Divisione Lega Pro). In quell'occasione, magari, si potrà anche dire qualcosa di più "personale" su questo libro e dvd nel quale è raccontato un diario della stagione trionfale dei rossoblù: con le copertine di "Fuorigioco", ma soprattutto le emozioni che, domenica dopo domenica - non senza, alti e bassi - la squadra di Torrente ha regalato ai tifosi rossoblù. E dunque, ci ha regalato. Mi ha fatto piacere che ad arricchire questa pubblicazione ci sia un'intervista a Gigi Simoni - che ho imparato a conoscere in questi due anni, avendo la conferma del fatto che sia un signore, prima di tutto, oltre che un intenditore di calcio; oltre a questo, anche la prefazione di Mauro Sandreani, capo osservatori Juventus, ex allenatore di serie A e commentatore calcio Rai, ma nell'occasione anche padre del capitano rossoblù Alessandro (e si sa che le vittorie vissute da padre sono forse ancora più belle di quelle personali...). Un grazie fin d'ora a quanti hanno reso possibile questa iniziativa (il cui elenco sarà fatto a tempo debito e, come si suol dire, nelle sedi opportune).
Per ora appuntamento a tutti a domenica al Teatro Romano. Giusto per un assaggio (e un'occhiata ad un brano dal dvd). Poi per la presentazione vera e propria... ci aggiorniamo.
http://www.trgmedia.it/n.aspx?id=38665

martedì 13 luglio 2010

Il bacio di Iker: l'icona latina di un evento mondiale, l'immagine della felicità

Bravo Iker! Intanto per la bella Sara, poi per le due parate in finale (che valgono altrettanti gol, in una squadra che ne ha segnati "quanto basta" - record negativo della storia dei Mondiali, 8 reti in 7 gare), ma soprattutto per questo gesto. Un bacio, fuori programma. Ma splendido. Alla De Sica.
Così fuori dal protocollo, così spontaneo, in un momento di felicità suprema. Al diavolo le distanze, il "lei" doveroso - davanti ad un microfono - il conformismo di facciata: stucchevole e ipocrita (quando tutta la Spagna sa che siete fidanzati). In quel momento basterebbe uno sguardo per trasmettere un'emozione, è vero. Basterebbe sorridersi, sapere qual è il sentimento che si condivide, e rispondere professionalmente alla domanda della brava giornalista.
E invece no. Iker non ci sta. Non fa finire neppure la domanda e si getta al collo della sua amata. Al diavolo le parvenze. La felicità è anche buttare all'aria tutto - e nel tutto, ci sta anche il "copione" - e correre all'impazzata gridando a squarciagola. Oggi i giocatori tendono a togliersi la maglia di dosso (un vezzo apparentemente inspiegabile, se non con il desiderio fisico di spogliarsi probabilmente di quella tensione e di quelle pressioni che stanno epidermicamente addosso, con la divisa da gioco). Casillas si è "spogliato" dell'etichetta di bravo ragazzo, ligio al dovere (è un grande professionista) e alle scalette del palcoscenico mediatico.
Quel bacio, così latino, così sincero, fuori dalla volgarità, proprio perché imprevedibile, è l'emblema della felicità. E' il bello di questo Mondiale...
http://www.youtube.com/watch?v=IejFgxW49fw&feature=related

lunedì 12 luglio 2010

L'odore di Pamplona... (e dall'archivio GMA, il pezzo 2005 dal "Sole 24 ore" su Estafeta)

C'è una cosa che ti resta addosso e non ti lascia. Parlo di Pamplona. Parlo del suo "odore". Arrivi e ti travolge, ti stupisce. Il primo giorno ti chiedi come farai a stare lì per altri 6 giorni. Poi pian piano ne prendi coscienza, ti avvicini. Passa poco ed è l'assuefazione. Alla fine entri in simbiosi con quell'incrocio di umori e secrezioni (che solo a nominarne le origini, rischieresti di passare direttamente al Wc), che quasi finisci per non poterne fare a meno.
Pamplona è la quint'essenza del surreale: di ciò che non è quotidiano, che non può esserlo, non potrà mai diventarlo, se non in un enorme girone dantesco, dove ogni regola è capovolta. E la trasgressione diventa normalità.
L'immagine che ti cattura la vista il primo giorno (un uomo che dorme in una panchina, completamente privo di sensi piuttosto che un giovane che si lancia da un monumento su un gruppo di coetanei, barcollanti, che cercano di riprenderlo al volo) si trasforma gradualmente in qualcosa di "ordinario". Di già visto.
Vivere e capire Pamplona - dall'ottica di chi certe "sregolatezze" (in proporzione molto ridotta) già le conosce - ha un sapore ancora più speciale. Chi ignora tutto questo, e arriva in questa città da 100 mila anime (che si riempe di 1 milione e mezzo di esseri urlanti in una settimana), si sente in una sorta di "Paese dei Balocchi" dove la legittimazione dell'eccesso è perfino vissuta con banalità. Bere, stare insieme, sorridere senza motivo ad un'esistenza goliardica e lussuriosa, diventa il leit motiv di un'intera giornata.
Non devi chiederti, dove vado: non c'è orario, non c'è sosta nella Fiesta.
Per chi in una certa atmosfera ha già "respirato" - intendo una festa che esce dall'ordinario, che ti proietta in una dimensione diversa, che ti fa sentire diverso - Pamplona è un'esperienza ancor più appassionante. Perché accarezzi un rito che ha silenziosamente analogie con quanto conosci. Perché ti imbatti in emozioni che assapori come qualcosa di straordinariamente familiare. Perché non devi chiederti neppure il perché di quelle sensazioni: la loro origine, la loro ratio (se esiste una ratio di qualcosa assolutamente irrazionale) già di appartiene.
Ho provato a raccontare Pamplona in un video: "Estafeta" (andrà in onda mercoledì 14 luglio, su TRG). Girato nel 2004 e prodotto l'anno dopo, con l'aiuto dell'amico, fotografo professionista, Paolo Tosti. Non ho volutamente descritto nessuna differenza nè analogia con quanto conosco di più appassionante (Festa dei Ceri), lasciando al telespettatore il compito di apprezzare (o meno) tutto questo. Lasciando spazio alle parole della gente. Ai pamplonesi, così come ai tantissimi turisti e forestieri, che magari di quella "fiesta" poco sanno e molto consumano.
Un consiglio a chi volesse andare a Pamplona: vivere ogni istante con la curiosità di chi scopre qualcosa di nuovo, senza perdere la bussola nella lucida follia del divertimento costante, senza rischiare di farsi trascinare in un monotono ripetersi di momenti. Tutto va assaggiato con parsimonia e con intensità.
E anche quell'odore - apparentemente nauseabondo - avrà il suo fascino... Indimenticabile...

sabato 10 luglio 2010

Il vero vincitore del Mondiale? Si chiama Paul...

Non c’è bisogno di aspettare domenica sera per conoscere chi è il vero vincitore di questa edizione dei Mondiali di calcio in Sudafrica. Si chiama Paul e ha le sembianze di un polipo. Ormai non si parla d’altro, da settimane.

E il bravo polipo, quatto quatto, si è guadagnato le copertine di quotidiani e notiziari tv, con le sue performance da Mago Otelma dell’emisfero australe.
L’immagine dei suoi tentacoli che si avvinghiano intorno ad una scatoletta di plastica con una bandiera stampata resterà nella memoria di questo evento sportivo che, evidentemente, non ha saputo offrire personaggi o profili di carisma tali da spodestare l’infallibile Paul.
Perfino Zapatero – al quale finora ha “regalato” ampie soddisfazioni, predicendo il successo degli spagnoli sui tedeschi – si è detto preoccupato del possibile destino che sarebbe riservato al Nostro (fritto misto o in umido) visto che in Germania non l’hanno presa proprio bene.
Di sicuro – comunque vada a finire (chissà che non apra uno studio, come ha pronosticato in diretta Maurizio Costanzo) – lo scettro di indiscussa vedette del Mondiale non glielo toglie più nessuno.
Piuttosto vien da chiedersi che fine abbiano fatto le preannunciate “primedonne” di una competizione che avrebbe dovuto incoronare fior di professionisti, costantemente impressi sulle prime pagine dei quotidiani: dov’era Messi, Cristiano Ronaldo, Kakà, Rooney? E i nostri Cannavaro, Gilardino e De Rossi? Autentici decaparesidos del tappeto verde, i cui “fallimenti sportivi” hanno spalancato le porte alla squadra meglio organizzata sul piano tattico (Spagna, italianizzata dalla capacità di non subire gol) e a quella più concreta sul piano realizzativo (Olanda, a sua volta italianizzata dalla capacità di reagire anche a svantaggi “pesanti” come quello con il Brasile).

giovedì 8 luglio 2010

A proposito di Mondiali e "sviste" arbitrali: non ci manca qualcosa?

Vorrei essere un po' provocatorio (a rischio di beccarmi qualche insulto): ma viste le "sviste" arbitrali che hanno comunque avvantaggiato Germania (gol di Lampard entrato di oltre un metro!), Argentina (fuorigioco chilometrico di Tevez) e anche le due neo finaliste Olanda (gol di Snejder all'Uruguay) e Spagna (gol di Villa al Portogallo), non pensate che con una "svista" simile (gol di Quagliarella agli slovacchi, annullato per un offside di, sì e no, 15 cm) avremmo passato il turno e forse avremmo visto un altro Mondiale?
Oggi assistiamo ad analisi edotte su quello che la nostra Nazionale e in generale il calcio azzurro dovrebbe imparare dagli altri: perfino il bravo Loew (il modello di Armani, per capirci) ci ha puntato il dito alla vigilia della magra figura dei tedeschi con la Spagna, indicando nella vittoria azzurra del 2006 "un esempio da non imitare".
Peccato che in questi Mondiali le uniche squadre che hanno fatto davvero strada siano quelle che hanno giocato "all'italiana" - in senso moderno - con un gioco corale ma stando attenti a "non prenderle" (e non c'è niente di male). Vedi ad esempio i quattro 1-0 di fila della Spagna che ha portato le "furie rosse" alla loro prima finale della storia. Per non parlare dell'Olanda meno orange (nel senso tattico) della storia.
Dico questo perché purtroppo i risultati, e il loro peso, finiscono spesso per offuscare le reali forze in campo. Dimenticando che spesso - almeno con questa formula dei Mondiali a eliminazione diretta - il "peso" degli episodi è enormemente superiore a quello della reale qualità e spessore di una squadra.
Si potrà dire, giustamente, che gli stessi episodi ci hanno sorriso ad esempio 4 anni fa.
Nessuno dimentica che la Coppa del Mondo 2006 è arrivata anche grazie ad un rigore "generoso" al 95' contro l'Australia (ma nessuno si scandalizzò)...

martedì 6 luglio 2010

E se Gubbio finisse nel nuovo "Monopoli"? Basta un clic...

“Corriere della Sera” di domenica 4 luglio, pagina 23. Titolo in taglio basso: “Monopoli, “Parco della Vittoria” diventa Chieti”. Occhiello, “Le città al posto delle vie, votazione on line per selezionare le 22 nuove località. A sorpresa, Milano resta fuori”.

Ebbene sì. Come potete leggere dal link riportato in basso (tratto dal sito del “Corriere”), per i 75 anni di età del più famoso gioco da tavolo, la società produttrice ha studiato una versione dedicata al nostro Belpaese che prevede la collocazione di città lungo il percorso al posto della tradizionale toponomastica del gioco.
Quali città scegliere? Semplice, la Hsbro (società leader dei giochi da tavolo e proprietaria del brevetto del Monopoli) ha lasciato la parola ai giocatori, o meglio agli utenti del sito www.monopolyitalia.it.
Basta un clic, dunque, per scegliere di inserire una città (magari, perché no, la propria) nel gioco più famoso del mondo (che ha registrato qualcosa come 750 milioni di giocatori e 275 milioni di scatole vendute).
E allora la mia domanda è: perché gli utenti eugubini di facebook non si coalizzano per votare in maniera compatta la propria città? Non sarebbe bello poter vedere il nome di Gubbio nella piattaforma cartacea del gioco da tavolo per antonomasia?
Qualcuno dirà, impossibile. Ci saranno Roma, Milano, Venezia, Napoli, Sorrento, Pompei, chi più ne ha più ne metta.
E invece no. Perché internet è capace di sovvertire anche i pronostici più scontati.
E così si scopre che al momento le città più gettonate sono Reggio Calabria e (tenetevi forte) Chieti, le ultime due Terni (legatevi proprio) e Cosenza. Sono fuori al momento Genova, Roma, Firenze, Napoli e Milano.
Ho scritto volutamente “al momento” perché il voto è aperto fino al prossimo 28 luglio. Sarà dura, ma possiamo provarci.
Lanciamo la sfida, diffondete il passaparola, e vediamo se l’operazione funzionerà. Se poi non dovesse andare a buon fine… pazienza.

lunedì 5 luglio 2010

Semifinali Mondiale, in quattro ad un passo dalla storia: ma quale storia?

Lo confesso. Non sono tra i 10 milioni di fans di Lady Gaga, il personaggio vivente più gettonato di facebook. Ne conosco (e apprezzo) qualche canzone. E non sono un grande sostenitore nemmeno dei dibattiti d’attualità in spiaggia in queste giornate: sfumata l’onda emotiva per la tragica scomparsa di Taricone – personaggio del quale si sono tessute lodi quasi insospettabili solo post-mortem (forse la sua dignità stava proprio nel rifiutare in vita vetrine e copertine che avrebbe potuto procacciarsi con lo schiocco delle dita) restano poche le questioni che meritano l’oziosa attenzione della calura balneare.

Raschia raschia, alla fine, è ancora il Mondiale sudafricano a mantenere la prima piazza nella hit parade degli interessi, nonostante le “mazzate” azzurre, solo parzialmente addolcite dai guai altrui (Francia in primis, a ruota Inghilterra, Brasile – che goduria – e Argentina). Del resto la politica nostrana – men che meno quella estera – non fa granché per guadagnarsi la leadership (soliti litigi, solite litanie), la cronaca ci racconta di un omicidio passionale al giorno (con tanto di “lettura” medico-metereologica secondo la quale il caldo predisporrebbe all’omicidio), quanto alla cultura, sono curioso di leggermi il libro che ha vinto lo “Strega” – Canale Mussolini – con un titolo che lì per lì sembrava richiamare un nuovo palinsesto di History channel, esclusivamente dedicato ai nostalgici (ci riderete, ma secondo me avrebbe la sua bella nicchia di telespettatori…). Non dovrebbe essere male neppure “Acciaio” della giovane e promettente (e di sicuro, molto più mediatica) Sabrina Avallone.
Capitolo Mondiali, siamo alle semifinali. Con protagoniste inedite (due non l’hanno mai vinto, un’altra quasi, dato che non lo vince da 60 anni). Chi l’avrebbe mai detto? Non solo un mese fa, ma appena una settimana fa, i “soloni” di tv e giornali avevano ribattezzato la competizione come il trionfo anticipato delle sudamericane.
Il dio Eupalla – quel genio illeggibile chiamato destinato, che condiziona partite e campionati, così saggiamente ribattezzato da Gianni Brera – si è divertito a burlare tutti. Tre sudamericane su quattro si sono “suicidate” ai quarti (l’unica a salvare l’onore, il Paraguay, battuto solo a una manciata di minuti dalla fine, col rimorso di un rigore fallito per prima). Le europee già “cresimate” come vecchie e bisunte rischiano invece di segnare un record di cui nessuno parla: la prima volta che una squadra europea vittoriosa potrebbe alzare la coppa fuori dal Vecchio Continente.

giovedì 1 luglio 2010

Umbria capitale di nera

L’UMBRIA DIVENTA METROPOLI: ALMENO SULLE PAGINE DI NERA – luglio 2007

Se un paio di mesi fa c’avessero raccontato che in così poco tempo la nostra regione avrebbe “guadagnato” le prime pagine di tg e quotidiani nazionali per ben tre volte e per tre vicende completamente diverse e distinte tra loro, avremmo pensato all’ennesima puntata di una delle tante fiction che ormai da anni si girano da queste parti. Un omicidio, uno scandalo in una pubblica amministrazione, un’azione anti-terroristica. Sembrerà strano ma parliamo dell’Umbria.
Ma se il primo fatto, quello di Marsciano, rientra nell’ambito di quella casistica di delitti privati “fisiologici” che purtroppo in Umbria conta i suoi numeri (pensiamo solo ai casi del mostro di Foligno, l’omicidio della piccola Geusa a C.Castello senza dimenticare l’ìrrisolto omicidio Fondacci a Gubbio), le altre due vicende toccano l’interesse di tutti, al di là del trasporto emotivo.
Che la pubblica amministrazione, ad esempio, non sempre offra esempi di grande efficienza, è fenomeno piuttosto diffuso (tanto che si dice che gli italiani non soffrano tanto di dover pagare le tasse, quanto di non avere in contropartita servizi adeguati). Ora non si tratta più delle cosiddette leggende da corridoio. Il caso di Perugia è di quelli clamorosi e potrebbe far aprire altri filoni in altri settori della Pubblica amministrazione, dove dare un’occhiata un po’ più approfondita ora, che la guardia è tornata alta, non servirebbe. Tra qualche mese sì.
La curiosità più particolare, in queste indagini, è leggere i commenti del giorno dopo. Se la politica, le istituzioni preposte a finanziare la sanità pubblica (che assorbe l’80% delle risorse della nostra Regione) si “stracciano le vesti”, gridano allo scandalo, chiedono severità e indagini risolute, tutti dovremmo essere concordi. Ma chi avrebbe dovuto, se non quelle stesse istituzioni, se non quei dirigenti pubblici, quei sindacalisti che occupano importanti segmenti della macchina amministrativa, esercitare il controllo opportuno e conseguentemente disporre o favorire i provvedimenti disciplinari?
Tutti cascano dalle nuvole, tutti puntano il dito (una volta individuato il “capro espiatorio” della situazione) ma nessuno fa mea culpa. Il timore è che svanito il polverone non se ne parli più. E i controlli, pochi in passato, diventino ancora più blandi in futuro. Perché magari, alla fine, non conviene neppure ai controllori.
Capitolo anti-terrorismo: la vicenda di Ponte Felcino è scioccante. Più perché avvenuta a 30 km di distanza, che non per i particolari, pure inquietanti, emersi col passare dei giorni. Se in una piccola comunità, in un luogo innocuo, avveniva tutto quello che sembra sia davvero avvenuto, non si può più essere sicuri neppure della nostra piccola Umbria, neppure del quartiere in cui si respira da una vita.
A parte Perugia – che se non ha le dimensioni ha comunque già parecchi vizi delle metropoli – la periferia sembrava ancora immune da virus più tipici delle grandi città. Così non è. E la storia di Ponte Felcino dovrebbe insegnarci due atteggiamenti, diversi ma che non si escludono. Il primo è “non cadere nella trappola del generalizzare”. Il secondo è “non cadere nella trappola del buonismo”. Sono i due estremi di un equilibrio e una prudenza che mai come ora sono gli antidoti necessari ad ricreare un clima di convivenza e collaborazione.
Questo sì, in fondo conviene davvero a tutti.

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