Uscire presto, prestissimo di casa.
Da un po' di settimane a questa parte lo faccio per una corsetta pre-mattutina (praticamente in notturna) con i fratelli Barilari. Veder sorgere il sole mentre corri sulla pista ciclabile di Gubbio non è esattamente una cosa da routine. Diciamo che la fatica ti passa accanto e lo spettacolo visivo di cui sei spettatore isolato non ti lascia indifferente.
Il più delle volte, però, da un po' di anni, mi capita per la rassegna stampa. Un "turno" che detto così dovrebbe pesare ad ogni giornalista. Invece si rivela il momento più bello della giornata.
Intanto perchè è un po' come sfogliare le stagioni che si passano il testimone: esci di casa alle 6.45 ma ci sono mesi che è buio pesto (come questi), altri che vedi albeggiare, altri ancora che è pieno giorno. L'aria che ti accompagna è ogni volta diversa e l'atmosfera che ti segue, mentre cammini lungo il Corso e scendi in piazza 40 Martiri, riserva sempre qualche incontro inaspettato. O magari la solitudine totale. Che è anch'essa particolare. Percorrere quel chilometro e mezzo di strada in auto, anzichè a piedi, è un po' come macchiare col ragù la camicia buona della domenica, prima ancora di sedersi a tavola.
A piedi è tutto diverso. Percettibile, tangibile, complice. Come non potrebbe mai essere con l'atmosfera ovattata dei finestrini chiusi, o peggio ancora dello stereo acceso.
Ti ritrovi ad attraversare una città che sei solito vedere un po' più movimentata (non troppo, per carità): ma il paesaggio lunare che ti circonda ha qualcosa di piacevolmente inconsueto. E ormai, anche un po' di tuo. Perfino la cartaccia lasciata da una parte o la buccia di mandarino, retaggio di qualche bisboccia della sera precedente, sono elementi che ti fanno compagnia. Anzichè stonare.
Per non parlare poi dell'aria della redazione.
Sono le 6.45,
non c'è un'anima in giro. Sei solo con i tuoi 4-5 giornali da leggere (per poi
rileggerli e illustrarli in trasmissione, dalle 7.30).
E' rilassante. Primo perché ti senti un po' un privilegiato: sei quasi il primo a leggere le notizie (per chi ha il virus dell'informazione come noi, sapere prima degli altri le cose ha lo stesso effetto dello zucchero filato al luna park per un bambino).
Non hai rotture, interruzioni, telefonate, beghe da risolvere: tutta roba che arriverà puntuale dopo le 9. Ma intanto ti puoi concedere quel bel paio d'ore di beata solitudo (sola beatitudo, c'era scritto in un piatto con S.Francesco che aveva la mia nonna all'ingresso di casa).
Sfogli il quotidiano ancora compatto, fresco di stampa, con qualche pagina che neppure è tagliata precisa, la devi accompagnare con un polpastrello, separare fisicamente da quella prima o da quella dopo. Applichi i post it nelle pagine che ti serve ripescare in diretta senza perdere tempo, le sigli con iniziali di riferimento (R per regionali, PG per Perugia, CULT per cultura).
L’inchiostro sembra quasi luccicarti addosso. In pochi minuti cogli tutto quello che potresti sapere dei fatti di casa tua (intesi come questioni regionali più importanti). E capisci al volo anche come è andato il tuo lavoro il giorno prima: se hai “bucato” qualcosa o se magari hai piazzato qualche “buco” ai colleghi della carta stampata (come per le "stecche" in campo calcistico, talvolta si danno, talvolta si prendono), se hai dato il taglio opportuno ad una storia scottante, se gli altri l’hanno inteso in modo diverso.
E’ strano ma praticamente con i colleghi dei giornali si vive quasi un diverso fuso orario. Noi in tv chiudiamo alle 18.30-19, perché lo step del tg è definitivo. Quello che accade dopo lo potremo raccontare solo il giorno seguente. Loro praticamente a quell’ora entrano nell’imbuto del rush finale, ma chiuderanno le pagine solo a mezzanotte o in caso di necessità all’una (se accade qualcosa di cronaca nera, in genere si smonta tutto e si rifà la prima pagina, mandando a monte il lavoro di un giorno, se capita di notte lo si leggerà solo dopo 24 ore).
In fondo la notizia è così: fedele compagna se non succede niente all’ultimo istante, perfida nemica se ti arriva a pochi minuti dalla chiusura e non puoi fare finta di ignorarla.
Comanda sempre e comunque lei. La notizia.
Penso a questa, che per me ormai è routine, dopo aver gustato un'avventura speciale, una solitudine direi quasi elitaria, come quella raccontata attraverso l'ospite di "Link": un appassionato di vela, il tifernate Alessio Campriani, che di mestiere fa il bancario. Ma l'amore per la vela, per il mare e la navigazione lo porta a progettare missioni quasi impossibili, o praticamente impossibili per chi non solca le onde per professione.
L'ultima, l'anno scorso, con l'impresa in Antartide, uno di quei luoghi del mondo - il continente bianco - in cui la solitudine (3.500 persone in un'area che è grande 50 volte l'Italia) non è un concetto così filosofico e impercettibile. E nemmeno un optional. E' la condizione naturale. Come la luce h24, nel periodo dell'estate dell'emisfero australe.
Ascoltare la sua avventura, apprezzare alcuni momenti della traversata (800 miglia marine di sola andata), assaporare quell'atmosfera di continue scoperte, le cui emozioni riescono a colmare la fatica, lo stress, le rinunce, lo spirito di abnegazione e adattamento ad un ritmo quotidiano decisamente diverso... beh tutto questo ti fa venir voglia di fare qualcosa di diverso.
Magari, pure di provarci, una volta, ad arrivare laggiù: "La prossima volta puoi venire anche tu" mi ha detto sorridendo durante la trasmissione il tifernate navigante.
Per ora dell'Antartide ho solo un paio di sassolini che Alessio mi ha regalato.
E chissà che un giorno, o meglio un mese (tanto ci vuole per calendarizzare da inizio a fine la traversata) non succeda che li vada a prendere anche di persona...
Per ora le mie uniche ore di solitudo, restano quelle della rassegna stampa.
Sarà poco audace, ma per ora è andata così...
E' rilassante. Primo perché ti senti un po' un privilegiato: sei quasi il primo a leggere le notizie (per chi ha il virus dell'informazione come noi, sapere prima degli altri le cose ha lo stesso effetto dello zucchero filato al luna park per un bambino).
Non hai rotture, interruzioni, telefonate, beghe da risolvere: tutta roba che arriverà puntuale dopo le 9. Ma intanto ti puoi concedere quel bel paio d'ore di beata solitudo (sola beatitudo, c'era scritto in un piatto con S.Francesco che aveva la mia nonna all'ingresso di casa).
Sfogli il quotidiano ancora compatto, fresco di stampa, con qualche pagina che neppure è tagliata precisa, la devi accompagnare con un polpastrello, separare fisicamente da quella prima o da quella dopo. Applichi i post it nelle pagine che ti serve ripescare in diretta senza perdere tempo, le sigli con iniziali di riferimento (R per regionali, PG per Perugia, CULT per cultura).
L’inchiostro sembra quasi luccicarti addosso. In pochi minuti cogli tutto quello che potresti sapere dei fatti di casa tua (intesi come questioni regionali più importanti). E capisci al volo anche come è andato il tuo lavoro il giorno prima: se hai “bucato” qualcosa o se magari hai piazzato qualche “buco” ai colleghi della carta stampata (come per le "stecche" in campo calcistico, talvolta si danno, talvolta si prendono), se hai dato il taglio opportuno ad una storia scottante, se gli altri l’hanno inteso in modo diverso.
E’ strano ma praticamente con i colleghi dei giornali si vive quasi un diverso fuso orario. Noi in tv chiudiamo alle 18.30-19, perché lo step del tg è definitivo. Quello che accade dopo lo potremo raccontare solo il giorno seguente. Loro praticamente a quell’ora entrano nell’imbuto del rush finale, ma chiuderanno le pagine solo a mezzanotte o in caso di necessità all’una (se accade qualcosa di cronaca nera, in genere si smonta tutto e si rifà la prima pagina, mandando a monte il lavoro di un giorno, se capita di notte lo si leggerà solo dopo 24 ore).
In fondo la notizia è così: fedele compagna se non succede niente all’ultimo istante, perfida nemica se ti arriva a pochi minuti dalla chiusura e non puoi fare finta di ignorarla.
Comanda sempre e comunque lei. La notizia.
Alessio Campriani, a bordo della sua imbarcazione, ha raggiunto l'Antartide |
L'ultima, l'anno scorso, con l'impresa in Antartide, uno di quei luoghi del mondo - il continente bianco - in cui la solitudine (3.500 persone in un'area che è grande 50 volte l'Italia) non è un concetto così filosofico e impercettibile. E nemmeno un optional. E' la condizione naturale. Come la luce h24, nel periodo dell'estate dell'emisfero australe.
Ascoltare la sua avventura, apprezzare alcuni momenti della traversata (800 miglia marine di sola andata), assaporare quell'atmosfera di continue scoperte, le cui emozioni riescono a colmare la fatica, lo stress, le rinunce, lo spirito di abnegazione e adattamento ad un ritmo quotidiano decisamente diverso... beh tutto questo ti fa venir voglia di fare qualcosa di diverso.
Magari, pure di provarci, una volta, ad arrivare laggiù: "La prossima volta puoi venire anche tu" mi ha detto sorridendo durante la trasmissione il tifernate navigante.
Per ora dell'Antartide ho solo un paio di sassolini che Alessio mi ha regalato.
E chissà che un giorno, o meglio un mese (tanto ci vuole per calendarizzare da inizio a fine la traversata) non succeda che li vada a prendere anche di persona...
Per ora le mie uniche ore di solitudo, restano quelle della rassegna stampa.
Sarà poco audace, ma per ora è andata così...
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