Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 25 giugno 2010

Flop azzurro: il giorno dopo la riflessione è ancora più dura... Ma anche le batoste possono essere salutari...

Il day after forse è anche peggio della delusione a caldo. L'Italia è fuori. Punto.
E dopo lo scatenarsi di reazioni più o meno scomposte, tra delusione e rabbia, tra sarcasmo e ironie, è il momento di guardare già avanti. Non senza però voltarsi indietro, per capire come la massima espressione di un fenomeno "globale" come il calcio - nella nostra società - possa portare spesso a considerazioni e riflessioni che vanno anche al di là dei confini possibili.
Premessa: se c'è una persona delusa, quella sono io. Se non altro perché quando gioca la Nazionale - sarà per quello specie di "spirito patriottico" che ormai si rispolvera solo dopo il fischio di un arbitro - per me non c'è altro. Ieri non è stato così. Tant'è che sul 2-0 per gli audaci slovacchi, me ne sono andato di casa. Problemi ben più importanti richiedevano la mia attenzione e in quella squadra ormai non credevo più. Mi sono perso la quasi rimonta, il gol annullato, la doccia fredda del 3-1, l'invenzione di Quagliarella (l'unico a salvarsi dal naufragio totale), e la buca di Pepe (neo juventino... mamma mia...). Meglio. Mi sono perso tutto questo e ci ho guadagnato sicuramente in salute e in mancata erosione del fegato.
Il giorno dopo però si leggono analisi e critiche che forse eccedono anche la dimensione stessa del calcio.
Sarà che vincere un Mondiale dà alla testa, ma focalizzare la sconfitta di ieri come "lo specchio del declino dell'Italia" mi sembra proprio esagerato.
E' vero che una vittoria dei Mondiali vale 1 punto di PIL (semmai c'è da chiedersi quanto costa in termini di PIL una figuraccia come ieri) ma non saremmo stati un Paese migliore se, ad esempio, Pepe avesse spedito dentro il cross del 95' (come doveva e poteva) e avessimo passato il turno.
Che l'Italia sia in declino, che ci sia una crisi di rinnovamento generazionale e culturale, che non ci sia meritocrazia ma semplice "ricerca del mezzo giusto per arrivare a qualcosa", che i talenti (o cervelli) finiscano per andarsene quasi tutti, è palese. Non dipende certo dalla Nazionale di Lippi.
L'Italia è questa. Intesa come Paese, con tutte le bellezze, la qualità della vita, il fascino e la suggestione che ci possa regalare (e che non cambieremmo con null'altro al mondo).
Ma smettiamola di rendere il calcio ancora più "condizionante" di quanto già non sia. Identificare la debacle dell'undici di Lippi con il termometro - ad esempio - della nostra economia, della nostra classe politica, della nostra civiltà mi sembra un esercizio gratuito e anche un po' ozioso.
Sarebbe come dire che gli Slovacchi vivono meglio di noi, solo perché ieri 11 ragazzotti in maglia bianca hanno corso di più, hanno voluto maggiormente quella vittoria, e hanno avuto anche la buona sorte di conquistarla.

L'Italia deve rifarsi. Parlo del Paese, così come della Nazionale. E se per i problemi del Paese c'è chi è deputato a pensarci - il problema è che in quel caso siamo noi a designare il CT e la squadra, salvo poi lamentarci quotidianamente di ciò che non va - per la squadra azzurra confidiamo in Prandelli. Persona mite, degnissima e profondo conoscitore di calcio.
Anche caratterialmente forse il personaggio giusto per lasciarsi alle spalle un Lippi che di sicuro non eccelleva per simpatia e bon ton - ma aveva dalla sua, almeno fino a ieri, i risultati.
Interessante l'analisi di oggi di Cannavaro: "L'Italia non ha ricambi, se non si cambia cultura, rivinciamo un Mondiale tra altri 26 anni". Non ha tutti i torti.
Per cultura calcistica s'intende quella che si infonde ai bambini dalle scuole calcio (salvo poi assistere sugli spalti a scene irripetibili di madri e padri che inveiscono come ossessi), quella che si respira negli stadi, quella che si diffonde anche attraverso articoli o servizi tv.
Se il calcio, ad esempio, tornasse ad essere semplicemente uno sport (bella frase, anche se so che è impresa titanica) perdendo un po' di quell'alone di spettacolo che ormai lo circonda da tempo, forse si recupererebbero dei valori importanti: che magari non ti fanno vincere (anche perché la palla resta rotonda) ma ti fanno crescere il movimento.
Se una sconfitta come quella di ieri fosse vista semplicemente come una disavventura sportiva e non come un dramma nazionale, sarebbe già un passo avanti. L'Italia non ha molti motivi di sorridere del presente e del futuro. Ma il calcio, ripeto, con questo c'entra poco. E sarebbe anche peggio che eventuali successi calcistici annebbiassero quelli che sono i reali problemi del nostro Paese (già citati).

Ieri abbiamo perso. Punto. Gli altri sono stati migliori. Anche se si chiamano Slovacchia. Le sconfitte talvolta possono essere salutari. Dopo la Corea del '66 qualcosa cambiò: e arrivò l'Europeo del '68 (unico vinto dagli azzurri) e il secondo posto a Mexico '70 dietro l'inarrivabile Brasile di Pelè.
Dopo l'altro cataclisma del 1974 - con una squadra "sazia" e spocchiosa, uscita anche in quel caso al primo turno - ci fu un nuovo ricambio generazionale e arrivò l'era Bearzot, con i successi in Argentina '78 (terzo posto) e l'indimenticabile vittoria in Spagna.
Dopo la figuraccia nel 1986 - da campioni del Mondo - arrivò la truppa di Azeglio Vicini che belle soddisfazioni ci ha regalato.
Ecco pensando a quel gruppo, mi vengono in mente i rigori: quei maledetti rigori che ci hanno negato 3 mondiali, non uno. Con Argentina (a Italia 90), Brasile (a Usa 94) e Francia (a Francia 98).
Quelle sono sconfitte che amareggiano davvero: perché patite con squadre che non ci erano state superiori, che poi hanno vinto il Mondiale (Brasile e Francia), tutto per quei maledetti 11 metri (lo stesso vale per la Nazionale di Donadoni 2 anni fa, battuta dalla Spagna che ridicolizzò tutti, ma con i nostri non tirò mai in porta).
Ieri no. Ieri la sconfitta era giusta. Cominciamo ad accettare le sconfitte giuste, quando sono tali. E facciamone tesoro. E' il primo passo, per tornare a vincere.
Vale per il calcio. Ma non solo per quello...

1 commento:

  1. Sorvolo su quasi tutto il post (risparmiando al popolo di internet un mio commento calcistico), per dare la mia completa approvazione alla conclusione che trai.
    Accettare le sconfitte (e i momenti difficili, aggiungerei), cercando di guardare avanti. Comprendere gli errori da un'autocritica, che spesso non è facile, ma è sempre necessaria. Superare le difficoltà, trovando la serenità per farlo proprio nella giustizia di un'azione (così come di una sconfitta). Fare un ultimo sospiro a pieni polmoni per poi ripartire. Credo sia questo il segreto per tornare a sorridere.
    Non è retorica... è la vita...
    A presto!

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