Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

mercoledì 15 settembre 2010

Oriana Fallaci: una grande donna, prima che una grande giornalista e scrittrice...

Giustizia e libertà. Sembra scritto nella sua scelta adolescenziale il destino e il credo di Oriana Fallaci. La prima – e più grande – giornalista italiana. Che oggi, mi piace ricordare, a 4 anni esatti dalla scomparsa.

Era appena 14enne, nella sua Firenze, quando – seguendo la scelta del padre, antifascista – collaborò come staffetta con i partigiani di “Giustizia e Libertà”. Quelli, per intenderci, che non troviamo nei libri di storia, dove la Resistenza è solo o quasi Gap; quelli che non hanno mai voluto mescolarsi con la resistenza rossa – alla quale probabilmente non bastava liberare l’Italia (sognando di seguire le orme dell’Europa dell’est), come ha raccontato nei suoi libri Giampaolo Pansa.
La Fallaci non poteva che stare dalla parte di coloro che combattono per una giusta causa, ma non lo fanno per secondi fini.
Sarà che qualche giorno fa mi affacciavo dal balcone naturale della collina di Montmartre, a Parigi, dove “Giustizia e Libertà” ebbe i suoi natali. Che ho ripensato anche ad Oriana Fallaci.
Un personaggio scomodo. Come è sempre scomodo chi va controcorrente, chi ragiona con la propria testa, chi non accetta di dire di sì solo perché si tratta della vulgata generale. Chi sa porsi coerentemente con le proprie idee anche quando queste suscitano impopolarità.
Oriana Fallaci ha “inventato” il mestiere di giornalista, in chiave femminile: attraverso l’occhio sensibile ed acuto con cui solo una donna (e che donna, nel suo caso) potrebbe aiutarci a conoscere, capire, approfondire.
Il suo essere reporter e al tempo stesso testimone dei grandi eventi della nostra contemporaneità non aveva la banalità del dispaccio. Né l’ipocrita demagogia di molti slogan che hanno attraversato i suoi anni.
Basterebbero poche frasi o pochi simbolici gesti – ovviamente suoi – per capire chi era (e chi è ancora oggi) Oriana Fallaci: come nel libro “Niente e così sia” – scritto all’indomani dei suoi reportage dal Vietnam, dove andò per 12 volte raccontando le atrocità di una guerra inutile, commesse tanto dai vietcong come dagli statunitensi – ci lascia un passaggio come questo: rientrata negli States, e di fronte alle manifestazioni di protesta di quegli anni, scrive: «sono ridicoli i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e poi vivono in case con l'aria condizionata, che a scuola ci vanno col fuoristrada di papà e che al night club vanno con la camicia di seta».
O nei primi anni ’80 a Teheran quando incontra per un’intervista l’ayatollah Khomeini – venerato anche in Occidente, dalla cultura radical chic tanto detestata dalla giornalista fiorentina – e non ha timore ad apostrofarlo come “tiranno”, arrivando a togliersi il chador che era stata costretta ad indossare per essere ammessa alla sua presenza.
Ha vissuto e descritto guerre, eventi, scontri tra religioni. E quasi che il destino si divertisse a metterla alla prova, ha conosciuto il male (l’Alieno, come lo chiamava) che poi l’ha consumata, proprio nei giorni in cui scriveva “La rabbia e l’orgoglio”, il libro sul conflitto tra Occidente e fondamentalismo islamico, partorito all’indomani dell’11 settembre. Un articolo che nel puntare il dito contro la politica, di destra e sinistra, la Chiesa, le istituzioni, è l’amara constatazione della decadenza dell’Occidente: decadenza di valori, perdita di identità, smarrimento di ideali. Un manifesto su uno dei volti più tristi dell’attualità: il materialismo fine a se stesso. Vissuto e descritto con quel sentimento che lei stessa definisce il peggiore: la delusione.
"Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione".
La sua non poteva restare una presa di posizione indolore. Su di lei si è scatenato un putiferio di reazioni, quasi sempre perbeniste, quasi sempre figlie di quello spirito snob che in fondo era anche alla base del “ridicolo vandalismo” dei seguaci di Che Guevara negli anni Settanta.
Cambiavano gli slogan. Non la sostanza.
Da “La rabbia e l’orgoglio” è nata una trilogia: che resta quasi come un testamento a firma di Oriana Fallaci.
Condivisibile o meno, resta un capolavoro. Di un’atea-cristiana – come si definiva – incapace di tacere di fronte alle ingiustizie e alla negazione delle libertà. Giustizia e libertà. Chissà quanti, tra coloro che l'hanno definita "razzista o xenofoba" nei confronti del mondo islamico, ricordavano che a 14 anni faceva la staffetta partigiana a Firenze.
Sulla sua tomba, proprio a Firenze, Franco Zeffirelli ha voluto far tumulare anche il suo “Fiorino d’oro”: il prestigioso riconoscimento che il Comune non le ha mai voluto assegnare.
Non se ne è mai fatta un problema: non sentiva il bisogno di una coccarda da esibire. In fondo valevano molto di più le 75 mila firme raccolte tra i lettori di “Libero” che chiedevano fosse nominata “senatore a vita”. Neppure quello.
Alla fine l’Alieno ha avuto la meglio. Ma il ricordo resta. Impresso e indimenticabile. Come i suoi scritti.

http://www.youtube.com/watch?v=3FVb7aDLdVo&feature=fvst

1 commento:

  1. Reazioni immediate da facebook:

    Virna Venerucci -
    grazie Giacomo per avercela ricordata .... davvero una grande donna con un carisma ed una forza unica

    Lucia Casagrande Raffi -
    Io ho letto molti dei suoi libri, non è facile trovare donne di tale forza e spessore intellettuale!Grande personaggio!

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