Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 19 luglio 2011

Prendi il fogliettone del "Messaggero": da un personal trainer a Giuliani, da Battisti a Cornacchia... E qualche interrogativo in più...

C'è una rubrica del "Messaggero" del lunedì che si intitola: "E' lunedì, coraggio".
Da solo, il titolo del fogliettone basterebbe per acquistare il giornale. Uno degli ultimi numeri, poi, letto al volo durante il periodo di ferie, era a dir poco esilarante.
Parlava di assenza, ormai cronica, degli antichi e solidi riferimenti per i più giovani: un padre (famiglia), un professore (scuola) e un sacerdote (chiesa). Senza scomodare il dopoguerra, ancora un paio di decenni fa queste figure avevano un peso - gradualmente sempre più labile, dopo il Sessantotto - nella crescita e nella maturazione di un giovane. Che poi questa maturazione finissero anche per rovinarla, in alcuni casi - è altra cosa. Ma comunque, nel bene o nel male, contavano.
Oggi i padri, se ci sono, giocano con i figli alla playstation; i professori, nella migliore delle ipotesi, si fanno chiamare prof e danno l'amicizia su facebook; i sacerdoti sono ormai ascoltati solo se combattono la mafia o aiutano i carabinieri come nelle fiction eugubine. Gli altri (quelli che riescono a comunicare nel pieno possesso delle proprie facoltà e del proprio ruolo) sono mosche bianche o il più delle volte sembrano parlare da un pulpito una lingua sconosciuta.

I nuovi riferimenti "educativi"? La rubrica illuminante e ironica del "Messaggero" li individua altrove: si chiamano personal trainer, in molti casi i tatoo stylist quando non addirittura i giurati di un talent show: sembra che per molti teen agers, la frase perentoria di una Mara Maionchi possa avere molto più peso specifico del consiglio di un genitore.
Il pezzo è gradevole, ironico e sorseggiabile, almeno quanto una Lemonsoda di primo pomeriggio in spiaggia. E purtroppo, un po' come Pulcinella, ridendo e scherzando finisce per dire la verità.
Se c'è una caratteristica piuttosto diffusa, se non comune, tra i giovani di oggi - già questa definizione fatalmente e anagraficamente "mi pesa", ma è così - oltre alla scarsa dimistichezza con l'uso dell'h e della consecutio temporum" (ma non è solo colpa loro...), è la leggerezza sostanziale, con cui guardano il mondo che li circonda.
Invidiabile. Fin quando non sconfina nel parossismo.
Il problema è che il mondo, troppo spesso, finisce per non essere quello reale: ma quello racchiuso in un uno schermo a 30 pollici, quello che va da un break pubblicitario all'altro, che si consuma nelle frenetiche trattative per un prestito con diritto di riscatto o una comproprietà.
Come fai a spiegare ad un ventenne - che oggi candidamente chiede di fare uno stage per conquistare un credito formativo - che tu hai cominciato con un semplice passaparola e hai imparato un mestiere prima di chiedere quanto quel mestiere potesse "fruttarti"?

La risposta non ce l'ho, ma un paio di indizi mi dicono che le responsabilità - come al solito - non stanno da una parte sola. Ce l'abbiamo anche noi (eccome) e anche i cosiddetti "maestri", quei punti di riferimento che o non capiscono più il proprio ruolo o ne hanno sempre ignorato confini e contenuti.

Mi sembra di essere un ufo, quando leggo di gente che, in nome del rifiuto di un'infrastruttura, prende a sassate la polizia, forte del fatto che ci sarà sempre qualche esponente politico o mediatico che arriverà ad applaudire gli "scontristi", anzi "antagonisti". O chi preferisce restare in silenzio, perchè condannare la legittima protesta potrebbe costargli qualche voto.
Un'autostrada, come una ferrovia ad alta velocità, come un impianto di coincenerimento rifiuti, da qualche parte dovrà sempre sorgere: finchè qualcuno non inventerà un sistema di trasporto, mobilità o eliminazione rifiuti alternativo (che so, volare come Pindaro o spedire l'immondizia nello spazio a costi convenienti...).

Mi sembra di venire da Marte, quando leggo che un collega eminente giornalista (volto noto, arcinoto della tv) - appena liquidato con appena 2,5 milioni di euro dalla Rai - si lamenta che un'altra emittente non gli consenta di mettere in piedi una trasmissione, a condizione di poterlo fare senza doversi in alcun modo rapportare con i signori che, non solo lo pagano, ma che rispondono, penalmente e civilmente, di quello che andrà a dire.

Mi sembra di uscire da 10 anni di 41 bis, quando leggo o vedo celebrazioni e ricorrenze legate ad esempio ai fatti di Genova, G8, 2001 (domani ricorre il decennale): si parla ancora di Carlo Giuliani, dipinto da alcune parti come un eroe, ma più probabilmente vittima di quell'atmosfera di guerriglia urbana - in genere scatenata da chi poi si defila e non rischia l'osso del collo. Come in fondo pure vittima fu il carabiniere Mario Placanica - uno che aveva 21 anni come Giuliani e che - al di là della divisa e del caso anti-sommossa che portava addosso - reagì istintivamente come un qualsiasi ragazzo di 20 anni all'ipotesi che gli arrivasse addosso una bombola rossa e tanto altro ancora.
Quello che poi successe alla Diaz è un'altra storia. E non va messa nel minestrone delle ricostruzioni storiche ad uso di parte...

Mi chiedo se su certe vicende (l'ultima che mi viene in mente è la libertà di Cesare Battisti) abbia ancora senso dividersi. Ci penso e concludo che forse è inevitabile.
Come è inevitabile che sia sempre più offuscato il confine tra ciò che è dovere e ciò che è libertà; la differenza tra anarchia e senso civico. Tra bianco e nero. Pur facendomi ribrezzo chi divide il mondo in due categorie (buoni e cattivi). Ma quel che è bianco e quel che è nero, almeno, cerchiamo di definirlo. Poi ci saranno pure milioni di sfumature in mezzo.

Mi torna in mente una frase del generale Antonio Cornacchia - il carabiniere che catturò Vallanzasca, che aprì il bagagliaio della Renault 4 rossa con il corpo di Moro, che fece la guerra alla banda della Magliana. Recentemente ha presentato il libro "Airone 1" (il suo nome in codice): e ho avuto la fortuna di intervistarlo, ancor prima della pubblicazione del libro, per "Link" la scorsa primavera.
Cornacchia mi confidò fuori dal microfono: "Non era il rischio della vita o magari uno stipendio misero, le cose che ci rattristavano. Era vedere che spesso la gente ci considerava aguzzini mentre dava degli eroi a persone che non rispettavano la legge, uccidevano e rapinavano. Spesso nei film o nelle ricostruzioni che vengono fatte ancora oggi in tv, si sente ancora questa assurda distinzione, che ribalta completamente i punti cardinali della verità: da una parte c'era la giustizia, il diritto, lo Stato, le regole; dall'altra la sovversione, la delinquenza, l'arbitrio".

Forse alla base di tutto c'è un problema ancora maggiore: l'assenza, ormai quasi totale, di quei riferimenti di cui dicevo all'inizio. Da lì, credo, nasca tutto.
Da lì, temo, finisca tutto (o quasi) per sgretolarsi...

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