“Da la Callata dei Ferranti parte Madonna del
Ponte. Poi Ontano fa la curva de la Salara, quindi Branca e Padule che gira a
San Francesco”.
E’
solo un frammento, breve e sintetico, della liturgia che si rinnova ogni anno,
nella ricognizione delle mute alla prima riunione di Sant’Antonio. Il mercato e
la Salara. Con la “muta di Ontano”.
Ovvero,
la muta di Nello. Più che un’istituzione, per il cero di Sant’Antonio, una
colonna storica, una figura onnipresente, tanto da dare il nome ad un’intera
manicchia, da divenire una sorta di entità geografica, e per i ceraioli di
quella manicchia, un’identità autentica.
Nello
se ne è andato. Dopo 5 mesi di sofferenza. La sorte è stata beffarda con
lui: enorme e robusto ottantenne, capace
di superare ogni ostacolo, di trovare straordinarie energie per numerose
iniziative, ancora lo scorso inverno pronto a inerpicarsi in cima al monte per
dare il suo immancabile contributo agli alberaioli, ha trovato inaspettatamente
in un incidente domestico la mano del destino.
Come
se d’un tratto quelle stesse energie che lo avevano stimolato per decenni, nel
mondo associativo così come nel cero di Sant’Antonio, non fossero più con lui.
Ci
mancherà Nello. Ci mancherà questo possente personaggio che ritrovavo sempre,
puntuale, all’ingresso della taverna o degli arconi, pronto a dare il suo aiuto
alle iniziative della Famiglia. Anche semplicemente strappando un biglietto. Quella
Famiglia che lo aveva visto tra gli originari promotori, e anche presidente
alla fine degli anni Ottanta.
Ci
mancherà questo ceraiolo tutto d’un pezzo, che preferiva fare piuttosto che
parlare. “Io n so tanto bono pe le chiacchiere” diceva sorridendo ogni volta
che mi avvicinavo col microfono. E in fondo aveva un suo linguaggio. Che andava
capito, ma che più che altro si dimostrava profondo e sincero, in quello che
Nello faceva, in ciò che lo vedeva in prima fila, e non per la smania di
comparire. Ma per la necessità e il desiderio di adoperarsi. Per il cero, per
la sua manicchia, così come per l’Avis o per il comitato degli alberaioli –
altra creatura che lo ha visto dall’origine protagonista insieme al “Pacio”, al
maestro Farneti: il braccio e la mente di innumerevoli iniziative ceraiole e
non (come ad esempio il pennone sulla Rocca, che ho scoperto essere un’altra loro
intuizione in un filmato dei primi anni Ottanta ritrovato proprio qualche
settimana fa e proposto ne “L’Attesa”).
I
ricordi da piccolo sono per questo nome, inconfondibile: le prime volte che
bambino mi avvicinavo alla taverna c’erano quei 4-5 nomi che cominciavano a
diventare familiari. Non sapevi esattamente chi fossero ma capivi che il cero
aveva in quelle figure i suoi perni. E il nome Ontano, anche se lui non lo
vedevi, spuntava fuori sempre.
Poi
nelle prime riunioni del cero grande non potevi non notarlo. Non amava sedersi
dietro al tavolo, ma stava tra i ceraioli. Però quando c’era da intervenire,
non si faceva pregare. Poche parole, al momento giusto… e l’argomento era
chiuso.
Non
aveva figli Nello, ma sotto il cero ne ha “allevati” di ceraioli. In tanti gli
devono tanto. In troppi forse non hanno fatto in tempo a dirglielo.
E
la sua manicchia è un po’ come la sua seconda famiglia. L’ho capito conoscendo
bene alcuni ceraioli de la “zona de Ontano”, con cui ho avuto l’onore e la
fortuna di condividere una spallata, da capodieci, nel 2006 in via XX
Settembre. Alessio, per tutti, mi raccontava spesso di lui. Lui per Nello era
come un figlio, come anche Mauro Rossi o tanti altri. Si scherzava su qualche sua
espressione dialettale un po’ folcloristica, ma entrambi sapevamo che la scorza
e la sostanza erano di quelle genuine. Che non hanno bisogno di consecutio
temporum per farsi capire. E per dare il meglio di sè.
Tra
i ricordi più recenti c’è una confidenza che Nello mi fece l’anno scorso quando
venne a ritirare, come faceva ogni anno, la sua VHS dei Ceri. Già, lui era
l’unico credo non solo a Gubbio, rimasto fedele al vecchio caro
videoregistratore anni Novanta. E nell’era digitale, per lui c’era comunque una
VHS dei Ceri pronta dopo ogni 15 maggio a Trg.
L’ultima
volta che c’è stato, fine maggio 2012, mi ha portato fuori dall’ufficio, quasi
che volesse confidarmi qualcosa. E in fondo l’ha fatto, abbracciandomi, con un
gesto che non m’aspettavo e una promessa.
Quella
resterà tra noi, ma è la sincerità e la spontaneità di quel momento, inatteso
ma vero, che mi porterò dentro di questo “omone” enorme e tale da incutere
soggezione a tutti.
Ma
in fondo “gigante buono”, che non si piegava facilmente ai compromessi e al
tempo stesso sapeva salutarti col sorriso.
Quel
sorriso mi piace ricordare. Quella schiettezza. Fatta di cose semplici e vere.
Come quell’abbraccio. Come quel nome inconfondibile, Ontano, sentito ripetere
mnemonicamente alla riunione del cero, come fosse una località, un paese, un
indirizzo.
Da
oggi è un ideale monumento, un altro dei monumenti della storia Santantoniara.
E della genuina autenticità di questa comunità.
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