Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

martedì 25 marzo 2014

Un Gubbio-Frosinone che ci ha ricordato una cosa semplice... il fair play non s'inventa

Storie di finali burrascosi, storie di partite finite male. Non tanto nel risultato – si vince, si perde e comunque sia, si accetta – quanto nelle modalità, nella correttezza ed esemplare compostezza degli attori in campo.
Il Gubbio-Frosinone di domenica ce lo ricorderemo a lungo. Per l'epilogo assurdo, come è assurdo che non esista una norma che consenta ad un direttore di gara di ripristinare – anche dove non è richiesto il suo intervento – quel principio di buon senso e onestà chiamato con il solito immancabile anglesismo, fair play.

Ci si imbastiscono striscioni, campagne di sensibilizzazione, ci si ingaggiano testimonial che dai vertici mondiali fino al più recondito dei sobborghi ripetono quasi a memoria le parole “Rispetto”. Per un Blatter che fa la corsa ad affiancare il proprio faccione alla chioma bionda di un Simone Farina, non abbiamo una corrispondente norma regolamentare che ad esempio preveda sanzioni per squadre o giocatori che in campo manda a farsi benedire anche la più elementare delle regole di correttezza.

E dire che nel calcio italiano non mancava il precedente cui ispirarsi, 24 gennaio 1990, ovvero 24 anni fa, un'eternità. Il calcio viaggia ancora a 2 punti a vittoria, non esistono anticipi e postici, la pay tv naviga nei sogni di qualche Murdoch di provincia, la schedina Totocalcio continua ad essere il sogno di milioni di tifosi.



Ma qui siamo in Coppa Italia, a Bergamo. Succede che all'88' il Milan dei campioni, guidato da Arrigo Sacchi, sotto di un gol siglato da Bresciani nel primo tempo, debba pareggiare per andare in semifinale: Borgonovo si infortunia in area, lo svedese Stromberg mette palla a lato. Ma alla rimessa laterale la palla viene scodellata in mezzo all'area, Borgonovo che non ha assistito alla scena gioca come nulla fosse, viene strattonato e guadagna il rigore.
Dal dischetto Baresi pur sollecitato dai giocatori atalantini a calciare fuori, mette alle spalle del portiere. Finale burrascoso, anche senza bisogno di processi e miriade di telecamere e replay.
Dopo 24 anni Borgonovo non c'è più, la sua battaglia nobile e apprezzabile è diventata un'altra.
Ma ancora i giocatori non hanno capito che l'effimero guadagno di una vittoria, che nel frattempo è lievitata a 3 punti, o di una domenica di gloria, non vale la dignità sportiva per cui si scende in campo ogni domenica.

Di fatti così il calcio continua ad esserne pieno: ciò non toglie che il buon senso non dovrebbe aver bisogno di norme scritte.
Sia nei giocatori così come negli arbitri. A proposito: la bagarre di ieri ci ricorda un altro patatrac di fine partita, anno 2004, partita Gubbio-Viterbese: è il 93' e Chafer infila la porta dei laziali, ma il direttore di gara con la palla in corsa, ha appena iniziato ad emettere il triplice fischio finale. Quella partita finirà 1-1, tra mille polemiche e quell'arbitro, cui il buon senso certo non abbondava nelle corde, finirà per fare carriera. Calvarese di Teramo, domenica scorsa ancora protagonista a Marassi per un goffo assist sul gol del blucerchiato Renan.

La serie A, la vittoria, il successo da soli non bastano a giustificare i valori sportivi di un giocatore, di un arbitro e più in generale di un uomo.
Gubbio-Frosinone ci ha semplicemente ricordato tutto questo...


Da rubrica "Il Rosso e il Blu" - in onda a "Fuorigioco" - 24.3.14

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