Sono bastati 4 giorni, non uno in più, per assaporare l'atmosfera di un'esperienza che, nonostante le 41 primavere, era del tutto nuova: una vacanza estiva in montagna.
"Prima o poi bisogna provarle tutte", si dice in gergo. Ma qui parliamo di un altro mondo. Non si tratta di assaggiare sushi o salire sulle montagne russe. O magari - tempo qualche giorno - arrampicarsi sul bungee jumping in piazza 40 Martiri, per la "Notte bianca dello sport" (cosa che, rassicuro i miei gufi, non ho intenzione di provare...).
Il tasto off è una scelta. Consapevole, difficile, ma straordinariamente liberatoria. Off significa chiudere. Nel mio caso, spegnere telefonino, pc, tv, e perfino quotidiani. Alla vigilia di un impatto del tutto nuovo - e spero non troppo devastante - come potrebbe rivelarsi l'I-Pad. Chiudere i ponti con quel mondo - la comunicazione - di cui ormai è difficile fare a meno. Ma da cui è salutare riuscire ad estranearsi per pochi (ma essenziali) giorni all'anno.
Al tempo stesso premere il tasto off significa aprire una porta ed entrare in una dimensione diversa.
Per quattro giorni, ma che in realtà sono parsi almeno qualche settimana. Rilassante, appagante, intensa.
Non è stato semplice - avendo comunque pressioni e dovendo respingere la tentazione di informarsi, telefonare, approfondire. Le beghe, si sa, non vanno mai in vacanza. E a loro poco importa che tu ti stia godendo uno scorcio della Valle Fiscalina piuttosto che una piazzetta di un borgo tipicamente tirolese come Lienz. Quelle arrivano, irrompono sulla scena, si prendono il palcoscenico e ti rovinano anche la giornata.
Stavolta no. Non ci sono riuscite. No perchè a darmi una mano è stato anche il panorama che mi circondava. Non mi ero creato aspettative da questa piccola incursione in Val Pusteria: curiosità sì, quella tanta. Ma non avevo posto obiettivi, nè limiti, nel termometro emozionale di questo weekend lungo. Potevo esaltarmi come sbadigliare. O tutte e due.
Ed è stato ancor più piacevole scoprire, giorno dopo giorno, angoli e pertugi naturali impensabili, in una porzione di Trentino al confine con il Veneto forse meno turistica e commerciale di altre, ma probabilmente anche per questo, più autentica e ammaliante.
Ci sono suoni, istantanee e profumi che mi porto dentro e che ho cercato di cristallizzare fermandomi per qualche istante a decifrarli. Lo scorrere delle acque del fiume Drava, che affianca per tutto il suo percorso i 45 km della pista ciclabile da San Candido a Lienz, in terra d'Austria, è un gradevole sottofondo che invita a rilassarsi. Lui finirà nel Danubio (e col fratello maggiore, nel Mar Nero). Tu sei in bici, farai meno strada ma ti troverai ad attraversare placido e ammirato una valle fiabesca, con colline verdi costellate di casette in legno, ognuna con il suo balcone, il suo carosello floreale, qualcuna arrampicata su dei cigli che ti chiedi come possa raggiungersi con un automezzo che non sia un carroccio. Ti fermi, e ascolti: quell'acqua, la cui temperatura non supera i 5 gradi, sembra parlarti. Anzi, sussurrarti. Un po' come le sirene con Ulisse, ma è inutile mettersi tappi alle orecchie, finisci comunque per esserne stregato. Tanto che i 45 km volano via che è un piacere. E ti chiedi se tutto quello che ti circonda, quelle cime, quel cielo di un azzurro compatto e ruvido, quell'aria fresca e al tempo stesso avvolgente, quel verde mescolato a pagliuzze di rosa, fucsia e giallo che dipingono i balconi, sia il risultato di una scenografia sapientemente costruita (da un professionista senza pari...). O sia tutto semplicemente naturale. Perchè non vedi un fronzolo, non un difetto, non una smagliatura. Ma neanche un artifizio. Vedi la natura, e la capacità di esaltarne i pregi. Accarezzi la staccionata che guida la pista ed è levigata, come se un artigiano si fosse divertito a forgiarla per l'intero percorso. Apprezzi la pulizia dei luoghi, la compostezza e la sobrietà delle persone. L'indistinta cura di ciò che è pubblico da ciò che è privato. Semplicemente perchè non fa differenza avere conto dell'uno o dell'altro.
L'unico segnale di un mondo che non è rimasto ancorato al clichè Dolomitico è l'impianto produttivo - con annesso museo - della Loacker, che a metà strada accoglie i viandanti col più dolce degli inviti e con una tentazione irresistibile che finisce per contagiare tutti: una sosta per gustarsi un wafer, ma conoscere da vicino anche la storia di un'azienda che ha fatto della tradizione (e dell'intuizione del suo mentore) un brand inconfondibile. Per piccini e non solo.
L'emozione è anche ammirare l'originario forno per cialde utilizzato da Loacker, con tanto di marchio primordiale, risalente ai primi del '900 e una frase che campeggia all'ingresso del piccolo museo: "Non pensiate che sia stato tutto facile. Anche per noi l'ascesa è costata sacrifici e difficoltà, ma come alla ricerca di una vetta, il cammino e la costanza ci hanno portato lontano". Un pensiero eccezionalmente attuale.
Il forno originario di Rainer Loacker |
I sapori, ad esempio: forti e aggressivi come può esserlo l'aroma di un speck, delicati e abbondanti come un piatto di canederli (alle rape rosse, su un letto di fonduta al formaggio... da gourmet).
La laboriosità e anche l'inventiva che da queste parti non fa difetto: perchè non basta un bel panorama per fare turismo. Non basta un po' di neve d'inverno e un bel prato d'estate per far lavorare tutti.
E allora rimani colpito non solo dall'organizzazione (svizzera più che austriaca) della logistica legata alle piste ciclabili (non solo San Candido-Lienz, con rientro in treno, ma anche Dobbiaco-Cortina D'Ampezzo).
Contro sole, ma in totale relax, lungo le rocce del torrente in Val Fiscalina... |
Esperienze divertenti, ma anche un corollario intelligente di offerta turistica: che non richiede sforzi sovrumani (qualche risorsa economica, sì) ma idee e capacità propositiva.
Perchè il tasto off è una grande conquista. Purchè si sappia riattivare anche il tasto on, quando la vacanza è finita...