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venerdì 17 agosto 2012

Il ritorno sul Rio Freddo: un Ferragosto senza fila, una passeggiata di ricordi... Il senso del tanto che chi circorda...

Dici Ferragosto e pensi ad una fila. Quella di un casello autostradale, di un autogrill, di un ristorante o di una cabina in spiaggia, di un bagno, di un parcheggio, di un museo (più raro) o semplicemente di una bancarella di vu cumprà.
E solo l'idea, coltivata cinicamente per qualche istante, che la sorte di una qualsiasi di queste code tocchi agli altri, rende ancora più stuzzicante l'emozione di un paesaggio e di uno scorcio sperduto come quello di Rio Freddo.

Parco del monte Cucco, sentiero che conduce all'eremo di San Girolamo - noto anche come eremo di monte Cucco. Ho avuto la fortuna di tornarci dopo un'inezia: 25 anni esatti.

Una passeggiata salutare, e non solo per il fisico, vissuta con un gruppo di amici e persone speciali. Un sei-sette ore di cammino (a ritmo tranquillo, non da Dolomiti performer) partendo da Pascelupo - pittoresco borgo a cavallo tra l'Umbria e le Marche che solo a guardarlo ispira un senso di freschezza.
Partenza di buon mattino, direzione Valle delle Prigioni - itinerario Cai - su per la "Scarpa del Diavolo", un pertugio roccioso che ricorda un piccolo canyon, così appagante da perforare in salita che finisci per non accorgerti delle quasi due ore di tragitto. Si sbuca sul percorso di mountain bike che conduce ai prati ventosi di Pian delle Macinare, stranamente deserto il giorno dopo Ferragosto, per poi ridiscendere lungo l'itinerario 4 del Cai fino all'eremo di monte Cucco, un'oasi architettonica che sembra calata da chissà quale pianeta nel cuore del nerbo roccioso appenninico.

In una quiete ombreggiata e intima che suggerisce le note degli Enigma e l'atmosfera di un film come "Il nome della rosa" - quanto al libro, bellissimo, resta forse un macigno ancora più arduo da scalare che non il Cucco stesso...

Quasi al termine di questo anello pedonale di poco meno di 20 km, ecco affacciarsi la gola di Rio Freddo: tornarci è stato semplicemente emozionante.
Perchè anche se per una decina di minuti in tutto, è stato un appassionante flash back di 25 anni: passo dopo passo la temperatura sembra scendere man mano che ci si avvicina alle piccole cascate, il silenzio che ti accompagna in questo angolo di paradiso è scandito solo dal fruscìo costante delle acque, che con il loro ritornello piacevole e familiare suggeriscono una danza di suoni e di ricordi. Il gorgo si avvicina e si alzano gradualmente i decibel di quella musica, che vale una carezza rinfrescante nella calura dei 30 gradi di questa estate da microonde.
Uno scorcio di Rio Freddo
Eravamo stati lì, nell'estate '87, da bravi giovinastri, approdati a bordo di motorini "truccati", il cui rumore era direttamente proporzionale al numero di infrazioni che riuscivamo ad infilare ogni volta che mettevamo in moto. Armati di costume e asciugamano, pronti a sfidare la temperatura polare di quelle vasche naturali: credo che l'acqua, in questo piccolo invaso scolpito dal tempo e dai venti, non superi i 5 gradi durante l'anno e forse tocchi queste "cime" proprio nei giorni di Ferragosto. Allora ci eravamo buttati dentro, un po' incoscienti, un po' desiderosi di un'avventura diversa che desse un senso a quell'estate da poco più che adolescenti. Magari 16 anni non ti bastano per apprezzare uno scorcio di paradiso naturale, cerchi più la bravata, o il pomeriggio alternativo da raccontare a qualche amica durante altre vasche, quelle di protocollo da consumare sul Corso. Meno fresche ma forse, a quell'età, più accattivanti.
Il senso di quel luogo, 25 anni dopo, è completamente ribaltato. Qui puoi abbandonare in un attimo le "scorie" radioattive della quotidianità, i gradi di afa lasciati lungo l'asfalto appenninico o dietro una scrivania, le beghe burocratiche di un mestiere cui piace regalare complicazioni anche nei giorni feriali: e riconquistare quel clima giocoso, innocente e inconsapevole della prima giovinezza. Quando non c'erano connessioni wi-fi, quando per chiamare qualcuno serviva il gettone, quando era la versione di latino o la lezione di storia il problema "insormontabile". E il verbo futuro era tutt'al più coniugato con la settimana successiva...

Con Dada ed Ettore, a temperatura... gelida
Il "tuffo" stavolta è stato più semplice. Perchè con qualche anno in più quei pochi gradi sopra lo zero termometrico si sentono, eccome. Piedi a "mollo", per qualche secondo, giusto il tempo di abbassare drasticamente la temperatura corporea e sorridere a quella sensazione di strappo muscolare ai polpacci. Subito seguita da una scossa di rilassante morbidezza a tutto il circuito nervoso.
E una conferma: spesso andiamo alla ricerca di angoli fiabeschi dall'altra parte del pianeta - ed è giusto che sia così, perchè niente val la pena consumare quanto il "viaggiare".
Ma tutto questo, talvolta, finisce per socchiudere lo sguardo sui tesori che ci circondano, tesori di storia, arte, architettura, ma anche tesori di natura. Come l'arcipelago montuoso del Cucco, che spesso si sottovaluta solo perchè a raggiungerlo basta poco più di un quarto d'ora.

E invece ogni volta che pensiamo a questo labirinto di profumi e di colori, a due passi da casa, dovremmo farlo con lo stesso stupore, la stessa meraviglia, lo stesso desiderio di conoscenza e di vissuto che può ispirarti un lido lontanissimo, che spesso istiga la nostra voglia di andarcene, anche solo con una foto: come quella di Maurizio Biancarelli, regalatami qualche tempo fa, uno scatto suggestivo e immediato di uno scorcio di inverno polare. Peccato che non si tratti di Finlandia. Nè di uno sconosciuto bosco scandinavo. Quello che appare attraverso la pellicola sensibile del fotografo eugubino, è semplicemente un angolo inedito di monte Cucco...
Bello, intrigante, unico. Come un sorriso sconosciuto...

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