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lunedì 20 agosto 2012

"Accanto alla tigre": una fertile conversazione con Pavolini e Raniero Regni... e una riflessione sul passato che ancora c'è...

"La tigre da cavalcare è la storia. Quella storia che nel primo Novecento è stata scritta da una generazione di rivoluzionari, intellettuali, uomini d'azione. Che hanno deciso di sacrificare la propria vita e quella di tanti altri per la Storia. Oggi tutto questo può non avere senso, ma allora fu così. E uno storico come De Felice ha definito - nel dissenso quasi generale - il fascismo come una "rivoluzione"".
E' uno dei passaggi salienti, firmati Raniero Regni, della chiacchierata storico-intellettuale piacevolissima andata in scena ieri sera per "Gubbio no Borders", ospite Lorenzo Pavolini, giornalista e scrittore, nipote diretto di quell'Alessandro Pavolini che fu braccio destro del Duce, ministro della Cultura Popolare, fedelissimo di Mussolini fino all'ultim'ora, tanto da finire fucilato a Dongo e il cui cadavere andò penzolante insieme agli altri in piazzale Loreto. "Acccanto alla tigre" è il titolo del suo libro, dedicato solo indirettamente alla figura di questo nonno "ingombrante", un personaggio di cui l'autore è in realtà venuto a conoscenza solo in età adolescenziale. "Fino ai 12-13 anni, a casa, mi dicevano che il nonno era morto in guerra, cosa abbastanza comune a tanti altri ragazzi della mia generazione. Solo leggendo i libri di storia ho capito davvero chi fosse Alessandro Pavolini, e ho sentito la necessità, caldeggiata per altro da altre persone di mia conoscenza, di approfondire studi e informazioni sulla sua figura e sul suo operato".

E' un Lorenzo Pavolini sereno e sorridente quello che si concede ai microfoni di TRG - l'intervista va in onda stasera su "Trg Plus" - per parlare del suo libro. Che in realtà rappresenta un percorso conoscitivo interiore. Non privo di conflitti, per un giornalista - abituato a occuparsi di radio, comunicazione, cultura, e di estrazione culturale non propriamente di destra - che non può non fare i conti con quel cognome così "pesante" nell'economia del Ventennio. E della storia d'Italia.
Perchè Pavolini non è stato un semplice gerarca fascista: "E' ancora oggi attuale la domanda di come un intellettuale come lui - si è chiesto il prof. Raniero Regni, acuto e brillante animatore della conversazione pubblica con Pavolini - che già a 25 anni si fregiava di due lauree, che fondò il Maggio Musicale Fiorentino, che progettò la stazione di Firenze, tra le creazioni architettoniche più audaci del nostro Paese, finisse per diventare una delle figure più sanguinarie del regime. E scelse di seguire fino all'ultimo, fino all'estremo, Mussolini. Per la verità - ha aggiunto Regni - non è una novità che un regime totalitario abbia figure di intellettuali a tesserne la trama. E bisogna immergersi in quel clima, in quel contesto, non con esercizi puramente storiografici, ma anche emotivamente, per comprenderne le motivazioni essenziali".

"Tanti mi hanno sollecitato un libro su mio nonno. E all'inizio mi chiedevo perchè. Tra i più insistenti - racconta Pavolini - un mio maestro, Enzo Siciliano, studioso distante anni luce dalle idee della destra, che però ripeteva di continuo che avrei dovuto scrivere un libro su mio nonno. Riconoscendogli indirettamente una cifra culturale straordinaria. Non chiedetemi però di mettere su una bilancia il suo operato. Mi è impossibile farlo, sia da storico, che non sono, sia da giornalista ma soprattutto da nipote. Accanto a straordinarie intuizioni e creazioni culturali, Pavolini è legato anche ad altre azioni di cui nessuno può andar fiero, come la fondazione delle Brigate nere. Ed è esercizio inutile andare a conteggiarne il peso per capire se esiste una sorta di parallelismo, se il bilancio è positivo o negativo. Non so e non voglio ridurre questo studio ad un'operazione aritmetica" ha confidato Pavolini.

Indiscutibilmente quella di suo nonno resta una figura controversa del fascismo. Ma proprio perchè a differenza di altre - che hanno lasciato essenzialmente segni negativi - il suo fervore intellettuale ha costituito un riferimento indiscusso per anni, anche all'occhio di chi non la pensava come lui.
Pavolini resta un provocatorio punto interrogativo della nostra storia. Che sembra continuare ad imperversare per sollecitare una lettura (che non è una "rilettura") di un periodo storico troppo sbrigativamente censurato con giudizi lapidari. Ci sono voluti 60 anni e un giornalista-scrittore di sinistra (Giampaolo Pansa) per aprire il capitolo dei "Vinti". Ma forse questo libro di Pavolini va oltre.
Perchè non è carico di rimorsi, non ha rivendicazioni, non trasmette voglia di rivincita.
Fa della reticenza - che nel caso della famiglia Pavolini non è vergogna o pudore, ma desiderio di riservatezza - un "valore aggiunto": quella motivazione, personale e interiore, di scavare, informarsi, documentarsi, che non è propria solo di un nipote - interessato alle gesta o alle nefandezze (a seconda dei punti di vista) ascrivibili a suo nonno. Apre idealmente un armadio di conoscenze che le nuove generazioni è giusto riescano a coltivare. Sapendo sempre discernere ciò che la storia insegna, ma pur nel distinguo opportuno, sapendo anche focalizzare quei personaggi che hanno rappresentato una presenza carica di energia, valori, espressione che è figlia di quel tempo.
Proprio perchè quasi 70 anni se ne sono andati, l'Italia di oggi è anche figlia, nel bene o nel male (o in tutti e due), di quanto seminato nel secondo dopoguerra. E di ciò su cui si è preferito tacere, ma che oggi è comunque pur sempre utile sapere...

Il conflitto di Lorenzo Pavolini, è lo stesso che milioni di italiani continuano a coltivare per quell'epoca. Che non si riduce ai giudizi sedimentati nei libri di storia, che la recente narrativa ha dimostrato comunque incompleti e approssimativi. E per decenni, motivo di oblìo per centinaia di migliaia di famiglie e di persone.
E' lo stesso conflitto che gli italiani continuano silenziosamente ad avere con il proprio passato. Con cui si fatica a fare i conti. Perchè accanto ai tanti indiscutibili "segni meno", nessuno - o pochi - hanno il coraggio di inserire qualche "segno diverso". Qualche punto di sospensione. Che non sia semplice rimorso o sete di vendetta.
Con quella distanza, giusta, nè manichea, nè convenzionale, nè opportunista, che Lorenzo Pavolini ha cercato di mantenere e soppesare nel suo racconto. E nel suo rapporto, a distanza fisica e temporale, con quel nonno (e quel cognome) così importante.
Quel senso della misura che il nostro Paese dovrebbe riuscire ad indossare, finalmente, per guardare in modo più asettico al proprio vissuto. Senza doverlo celebrare, senza necessariamente doverlo infangare. Un esercizio essenziale per il nostro passato, ma decisivo anche per il presente.
Cercando di "cavalcare la tigre", in questo caso la storia. Che come recita l'antico adagio (e il titolo di questo libro), tutto sommato è pure semplice.
Il difficile è poi riuscire a scendere da quella tigre, senza averla prima domata...

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