Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

lunedì 13 agosto 2012

Quel che resta di Londra: a parte il ricordo...

Qual è l'uomo simbolo dell'Olimpiade? E la donna simbolo? E la medaglia più bella?
Sono i giorni dei bilanci del dopo-Londra: giornali e tv fanno a gara a chi s'inventa il sondaggio più banale dopo la XXX edizione dei Giochi.
Ed è inevitabile che anche il mio blog finisca per accodarsi alla litania. Non tanto andando a cercare "la foto o l'evento più memorabile" ma spulciando tra curiosità, emozioni ed aneddoti che mi rimarranno impressi... forse perchè sfuggiti ai più.

Non ero a Londra, ma se ci fossi capitato sarei andato in cerca - un po' come Diogene, ma senza torcia - di una storia sconosciuta, strana, controcorrente. Troppo facile oggi andare a spulciare la vita di Usain Bolt o ripercorrere la messe di medaglie collezionate da Phelps. O celebrare le 8 medaglie d'oro italiane, accorgendosi che esistono perfino discipline sportive in cui si spara con una carabina o si colpisce un corpetto elettrificato con tecnica coreana. Rischiando di far figure meschine da "pesci fuor d'acqua" (un po' come Caressa che commenta il nuoto...).
Più curioso sarebbe ricostruire la genesi delle 28 medaglie d'oro della Gran Bretagna per scoprire quante ce ne sono di autentiche (la metà?). Accade sempre alla nazione ospitante di ricevere qualche spintarella. Magari con più stile e meno imbarazzo di quanto avvenuto ieri sul ring, dove il "delitto perfetto" ha toccato il povero Cammarelle.

Cammerelle sul podio, nonostante tutto
Cominciamo proprio dalla fine, da lui. Andrea il gigante, l'uomo del pugilato azzurro che aveva già indossato l'oro di Pechino e che ha dovuto ingurgitare l'amarezza della beffa. Che non è la sconfitta, non è riconoscere un avversario più forte, più tecnico, più brillante. Molto peggio della sconfitta c'è il furto pacchiano, la clamorosa sottrazione di un verdetto che è parso solare anche ai non addetti ai lavori. E che è stato mascherato in modo subdolo e meschino con un pareggio beffardo e un'assurda conta dei colpi inferti. Se il team GB voleva perdere la faccia, c'è riuscito benissimo, rovinandosi sul più bello...
Lui, Cammarelle, la sua medaglia d'oro l'ha rivinta dopo il gong: nascondendo per quanto possibile la rabbia e l'incredulità, senza finti sorrisi o ipocriti atteggiamenti di circostanza. Ma si è presentato regolarmente alla premiazione, ha indossato l'argento illegittimo, ha ascoltato silenziosamente il "God save the Queen" (and bless the judge), ha salutato, guadagnandosi l'uscita (a testa altissima) dal ring e dal Palazzetto delle beffe. Come sa fare solo un campione straordinario, come può riuscire solo ad una medaglia d'oro. Dentro.

L'unico vero Dream team di questa Olimpiade
Ma se Cammarelle, detto "Game over" (per la capacità e la frequenza di chiudere i match prima del gong) è diventato il bersaglio delle "macchinazioni" britanniche, sono stati altri i bersagli che hanno regalato il sorriso ai colori azzurri. In un'Olimpiade che più che in passato ha saputo esaltare discipline "aggressive" (armi in pugno) che vanno dai tradizionali serbatoi di vittorie (la scherma, con un quarto delle medaglie totali, e il solito tiro a volo) fino a discipline meno conosciute e meno avvezze a far scattare l'inno (oro nella carabina, nel tiro con l'arco e nel taekwondo). Qualcuno le definirebbe "cenerentole". La cui gloria, purtroppo, va poco oltre la mezzanotte (leggasi, durata dei Giochi Olimpici) per poi rientrare nella silenziosa routine di una ventesima pagina della Gazzetta. Ma la magia dei cinque cerchi resta comunque quella di offrire loro una vetrina irripetibile: e trasformare milioni di italiani in esperti di "skeet", "stoccata", "shoot off" un po' come lo furono delle strambate del "Moro di Venezia" una ventina di anni fa...
In questo esercito di vittoriosi alfieri, un capitolo a parte meritano le schermitrici (per lo più jesine), capaci di rivelarsi l'unico vero dream team di questa Olimpiade. In nessuna altra disciplina (nemmeno il ping pong o il balneare badminton per i cinesi) uno stesso Paese ha piazzato i propri portacolori nei primi tre posti individuali e sul gradino più alto della competizione a squadre: solo il fioretto femminile italiano. Che dopo Londra non ha più bisogno di chiedere autografi a Kobe Bryant...

Gli schemi di Marta Menegatti...
Un azzurro, che un po' anche rosa. Perchè continuano ad essere soprattutto le atlete a darci soddisfazioni. A restituirci il gusto di gridare "Forza Italia" - dopo l'embargo politico quasi ventennale imposto dalla scesa in campo del Cavaliere, e gli scarsi motivi per riesumarlo di questi ultimi anni.
In pedana, come nella sabbia. Dove oltre alle gesta tecniche e atletiche, milioni di telespettatori hanno potuto apprezzare anche quelle estetiche delle giocatrici di beach volley: una delle discipline più seguite - soprattutto al momento delle indicazioni tattiche - dal vivo come sugli schermi. Il motivo è semplice e non c'è da fare il disegnino. Diciamo che nonostante l'eliminazione ai quarti, le nostre portacolori (in particolare Marta Menegatti) non hanno avuto nulla da invidiare alle competitors americane, nordeuropee o brasiliane. Anche questo, vi piaccia o no, è made in Italy...

La pagajata di Josefa: un'icona sempreverde...
E che dire di Josefa Idem, la quasi 50enne canoista germanica, naturalizzata tricolore dopo un matrimonio provvidenziale anche per il nostro medagliere (alla sua sesta Olimpiade, quarta da azzurra)? Semplicemente un esempio, di donna, di atleta, di madre, e di tutto quello che preferite aggiungere, senza necessariamente sconfinare nella retorica. Ma una signora, che alla soglia dei 10 lustri trova ancora la forza e il carattere per allenarsi 6 ore al giorno, magari dopo aver rifatto il letto e preparato la colazione ai figli (senza necessariamente lo spot di una merendina al latte), può valere anche un pizzico di vis oratoria. Se non altro per destarci dal torpore quotidiano del modello veline. Per lei un quinto posto vale come un oro, altro esempio di cui far tesoro.
Senza dimenticare però le lacrime, già salutate con dovizia di commento, di Cagnotto e Ferrari. Che ci raccontano come, non un quinto, ma un quarto posto possa essere una lama che ti trafigge, snervando i sacrifici di un quadriennio. Per loro c'è di conforto l'anagrafe: che silenziosamente dà appuntamento ai prossimi palcoscenici Mondiali e perchè no, a Rio 2016. Se c'è un destino, saprà ricordarsene...


Questo bronzo è anche per te...
L'ultima immagine di questa rassegna è per una maglia: una maglia azzurra apparsa sul podio di pallavolo. Quel volley che continua a negarci un oro "sacrosanto" - più che oggi, ai tempi di Velasco - ma che ci regala una pagina commovente e straordinaria, di sport e di amicizia. La maglia di Vigor Bovolenta apparsa sul gradino numero 3 del podio di Londra, con le medaglie di bronzo dei suoi ex compagni di squadra, è qualcosa più che una semplice vittoria sportiva. E' il gesto per eccellenza di chi, gustando il successo, non dimentica chi ha contribuito in passato a viverne il sapore, le emozioni, la sofferenza. Anche quella medaglia, in realtà è dorata. Perchè fatta di un sentimento che vale più di un'Olimpiade stessa...
Ora la rassegna a cinque cerchi va in letargo. Fortunatamente l'alternanza con quelli invernali, farà sì che il digiuno non dovrà durare 4 anni. In realtà la nostalgia per l'Olimpiade è già forte: con i suoi successi, le amarezze, con le vittorie sudate e quelle negate, con gli sport sconosciuti e quelli di tradizione, la saga per antonomasia ci mancherà di sicuro.
Che distanza siderale ci toccherà avvertire, non appena torneremo ad ascoltare - chi avrà ancora lo stomaco per farlo - le stucchevoli ripicche su penalty e offside: nel nostro piccolo cercheremo di mantenere se non lo stile, se non l'atmosfera, almeno lo spirito olimpico. E tutto quel che resta di Londra... a parte il ricordo.

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