La vigilia della Festa dei Ceri significa soprattutto “attesa”. L’attesa del giorno più lungo; l’attesa che di fatto, nella mente e nelle emozioni di un ceraiolo, diventa anche il giorno più corto, il più fugace, il più impercettibile.
Il 15 maggio si apre, alle luci dell’alba, con il rullare dei tamburi. Si chiude, quando la notte comincia ad avanzare, con le note di “O lume della fede” che accompagnano la Processione dei Santi.
In mezzo accade di tutto, in una sorta di turbinìo emozionale che sa coinvolgere in modo unico ma sempre nuovo e diverso. Cattura chi vive fin da piccolo il proprio essere ceraiolo. Sa contagiare, in modo fantastico, chi si avvicina a questa festa – così apparentemente incomprensibile – per la prima volta.
Il segreto del 15 maggio? Impossibile da raccontare, da descrivere, da focalizzare. Uno dei tratti salienti è però proprio nell’attesa. Quel “sabato del villaggio” che scorre via lento e faticoso nei mesi invernali, frenetico e irrefrenabile a partire dal mese di aprile. E si spende nelle ultime riunioni, nelle occasioni conviviali, nelle discussioni, animate o meno, sull’organizzazione della corsa, nei racconti e negli aneddoti dei ceraioli anziani. Le loro spalle sono segnate dal tempo e dai ricordi; lo spirito resta quello autentico di quanto ancora la stanga era fedele alleata di ogni 15 maggio.
L’attesa ha il profumo di muffe e di vino che esala dalle taverne ceraiole: è l’odore del tempo, che implacabile procede, ma che lì dentro sembra fermo ad una dimensione surreale. Quelle pietre, pur restaurate e ritoccate, hanno ascoltato silenti, anni e anni di accese riunioni, animate discussioni, decisioni sofferte; ma hanno anche fatto da cornice a centinaia di convivi, di allegri canti e scanzonate baldorie, di cerimonie importanti.
L’attesa ha il volto di un ceraiolo anziano che commosso osserva quella festa che non lo vede più in prima fila ma lo sente ancora palpitare; ha lo sguardo ansioso di un bambino che rimira le statuine dei santi sognando di diventare protagonista: due generazioni lontane, che hanno vissuto o sono chiamate a vivere epoche diverse, ere distanti e scollegate, che hanno conosciuto e conosceranno due Gubbio diverse. Altrove due generazioni che non dialogano.
Qui, tra loro, resta invece un filo conduttore irrinunciabile: è la passione per il cero, è la “spallata” vissuta come impegno e omaggio, come un testimone – che si passa di padre in figlio – e come un’offerta al Patrono.
L’attesa è sfogliare un album di ricordi: attraverso le immagini – fotografiche o filmate – rivedere la festa di un tempo (non solo in senso nostalgico), rivedere ceraioli che furono, amici che furono, fratelli che furono. E’ ripercorrere la propria vita, segnando gli anni con le avventure o disavventure di un cero, con le mode e i costumi che attecchiscono timidamente anche nella festa (dai pantaloni a zampa di elefante anni 70 alle camicie di raso anni 80), con i personaggi che hanno lasciato un’impronta, con i flash di pochi secondi, stampati nella pelle e nell’animo.
L’attesa è vivere anche solo per un istante, le immagini del 15 maggio che verrà: immaginarselo, provare a guardarlo in anteprima, sapendo che ogni momento sarà diverso dall’altro, che ogni emozione sarà nuova e supererà quella dell’anno prima.
L’attesa è uscire gradualmente dalla dimensione quotidiana: mettere per un giorno tutto dentro un armadio, chiudere a chiave e nasconderla in un cassetto. Niente orologio, niente telefonino, niente agende o appuntamenti, niente routine. L’identità stessa di ogni eugubino si appanna, perfino il nome rischia di essere dimenticato – e prevale il soprannome, magari di origine familiare, certamente di uso ceraiolo.
Per un giorno, solo per quel giorno, il resto del mondo sarà da un’altra parte.
In attesa che quel 15 maggio se ne voli via, come sempre, d’un soffio.
giovedì 13 maggio 2010
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grazie giacomo, avevo proprio bisogno di queste parole, le lacrime rigano il mio volto, il mio cuore è gonfio di dolore per tutto ciò che sta accadendo........solo la preghiera mi rimane, solitaria e silenziosa, che soffoca il mio rancore e lenisce il mio dolore........te le rubo, le metto in linea su faccialibro.....servissero a farci diventare più buoni e umili...con affetto magda
RispondiEliminaTi ho letto. Ancora una volta. E ho voglia di scrivere, di commentare, di condividere l'amore verso quella nostra Gubbio di cui i Ceri sono parte inscindibile.
RispondiEliminaEbbene, non lo farò. Semplicemente perchè non so cosa dire. Rischierei di diventare scontata, banale, e di ripetere quello che tu hai saputo regalarmi attraverso queste righe. Mi hai cullato da un luogo all'altro, da un'emozione all'altra, permettendomi di rivivere le giornate appena trascorse e quelle rimaste, intense da togliere il respiro, sempre uguali e sempre diverse, piene di una ritualità nota ma mai ripetitiva.
Preferisco lasciarti un saluto. Ed un ringraziamento infinito...
Da facebook
RispondiEliminaFabrizio Cece -
Un po' malinconico, come il 15 sera, tardi, o il 16 mattina...