Non importa chi sei. Cosa fai, o in quale ambito tu ti esprima. Una vittoria è sempre il frutto di un lavoro, una preparazione, uno sforzo, un sacrificio. E anche una sfida. Per questo, vincere è sempre - e deve restarlo - motivo di grande soddisfazione. Comunque e ovunque.
E' il senso che ho letto nella campagna di comunicazione del Basket Gubbio, curata dall'amico fotografo professionista, Paolo Tosti: un 6x3 gigantesco che recitava: "Anche noi siamo primi!". Lì per lì c'ho un po' sorriso, perché la scelta - credo - sia volutamente ironico-riflessiva.
Nell'anno che sta per celebrare il "miracolo calcistico" rossoblù, ad un passo dallo storico traguardo della serie B calcistica, suona quasi provocatorio che un'altra formazione eugubina - nelle ultime stagioni "decaduta" nel torneo di serie C regionale - possa vantarsi di vincere.
Vincere cosa? - verrebbe da chiedersi. E chi sarebbero le avversarie di questo Basket Gubbio? I Leoni dell'AltoTevere o l'Ellera? (qualche volta ci scherzo volutamente e provocatoriamente con l'amico e collaboratore Rico "Rimpiccetto" Migliarini, sfegatato sostenitore delle sorti cestistiche eugubine, stuzzicandolo proprio su questo).
Eppure, a pensarci bene, la verità sta proprio dietro quello slogan. Che poi slogan non è.
Il primo a darci "lezione" in questo senso fu Luigi Simoni: era il 13 giugno 2010, la Gubbio calcistica festeggiava all'"Olimpico" di San Marino la promozione in serie C1. E lui - 8 campionati vinti in ogni categoria, il quasi-scudetto con l'Inter del 1998 e la Coppa Uefa lo stesso anno - pacifico e serafico ci fa al microfono: "Ma guardate che questa vittoria non è meno emozionante di quella di Parigi. Per me ogni successo regala emozioni splendide. Non importa dove lo conquisti o contro chi. E' sempre il frutto del lavoro che fai, dell'impegno che ci metti, della voglia di superarti e superare gli altri. Per me vincere con il Gubbio o con l'Inter è la stessa cosa". Chapeau.
Soprattutto a tanti suoi colleghi "soloni" per i quali - certamente - uscire da ambienti come Milano, Roma o Torino vuol dire "scendere di categoria".
Ma un insegnamento anche per tanti tifosi, sportivi, sostenitori. Che spesso parlano di vittorie di serie A o serie B. O peggio ancora, non sanno apprezzare fino in fondo il gusto inconfondibile del successo. Che in quanto effimero, va goduto e quasi spalmato addosso finchè è possibile.
Dico sempre a me stesso che il "successo" è il participio passato del verbo succedere. E come tale va vissuto. Nel suo carpe diem, nell'immediato. Perché oggi è lì, tangibile, vero, autentico. E domani potrebbe non essere più tale. Nello sport come nella vita.
A maggior ragione, il successo non deve essere una bussola irrinunciabile. Ma se la buona sorte unisce le tue strade con la sua, non va mai "classificato". Va interpretato. E "sorseggiato".
Nei giorni scorsi ho potuto apprezzare l'abilità e la maestria di alcuni giovani danzatori - della scuola di ballo "San Carlo" di Napoli - ospiti del Festival di danza "Fiumicelli" (che ho presentato per alcune serate al Teatro Comunale di Gubbio). Giovani talentuosi professionisti, la cui carriera - salvo imprevisti - sembra già scritta per le qualità che sanno esibire sul palcoscenico.
Eppure, pur essendo di fronte ad un pubblico non certo avvezzo come quello del San Carlo alle coreografie di grandi etoile, hanno dato il massimo nelle loro performance: notavo, stando dietro le quinte, la concentrazione, la puntualità, la meticolosità con cui preparavano lo spettacolo. E dalle smorfie del volto o dai sospiri di soddisfazione, mentre uscivano dal palco per rientrare dietro le quinte, capivi subito - pur non essendo esperto - se erano soddisfatti o meno della loro prova. E li vedere esultare o incazzarsi come se di fronte avessero la platea più blasonata.
Potevano anche "fregarsene". Ma non era così: quel palcoscenico - pur non essendo nè il San Carlo nè la "Scala" - era in quel momento il loro momento. A prescindere da chi avevano di fronte. E in quale contesto erano chiamati ad esprimersi.
E così la loro insegnante, la "mitica" Anna Razzi: che li seguiva passo a passo dal palchetto, per poi correre una volta partiti gli applausi finali, a sorreggere con le sue mani il sipario per invitarli a rientrare. E a raccogliere l'ovazione del pubblico.
Una che ha ballato con Nurejev, che ha danzato nei più prestigiosi teatri di ogni Continente: era lì, ad accompagnare e incoraggiare i suoi ragazzi...
Mi è tornato in mente Simoni. E le parole del suo "figlio sportivo", Stefano Giammarioli, sempre a San Marino: "Uno che ha allenato Ronaldo e Baggio, ha accettato questa sfida: si è rimesso in discussione rischiando. E ha vinto. Abbiamo vinto. Con lo stesso entusiasmo di quando lo faceva in serie A".
E ho ripensato, scrivendo queste righe, a quel manifesto. E a come anche i tifosi di calcio - del Gubbio dei miracoli - dovrebbero prendere esempio da quelle parole: dopo qualche pareggio casalingo ho sentito qualcuno lagnarsi, qualche naso storcersi.
Come se il Gubbio non stesse coronando il sogno inimmaginabile della serie B. Come se l'anno scorso, di questi tempi, tutto questo fosse ipotizzabile solo nei sogni. Come se 15 anni fa la stragrande maggioranza di chi oggi è al "Barbetti" non sapeva forse neanche dove giocassero i rossoblù - costretti a vagare nei campetti della periferia perugina, ad arabattarsi in Eccellenza regionale.
La saggezza spesso può dartela anche uno spot. Uno slogan, o un 6x3. Tutto sta, a farne tesoro. Perchè c'è una cosa più bella che vincere - come mi è venuto da dire ieri sera a "Fuorigioco" - Sapersi godere la vittoria. Fino in fondo...
martedì 12 aprile 2011
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