Il mio puzzle, i miei pezzi.Di ieri e l'altro ieri.

venerdì 24 agosto 2012

Questione di Giustizia. Sportiva e non... purchè non sia ad orologeria...

Stasera parliamo di giustizia. Oddio, la frase si addice all'incipit di un sermone alla Martin Luther King.
E non ne ho proprio le basi... nè l'autorevolezza.
Più che un'orazione, qualche pensiero al volo. Senza grosse pretese. Ma con parecchi punti interrogativi (chissà se qualcuno dei miei 25 lettori saprà dirimerne qualcuno...).
Strano mondo, quello della Giustizia. Stranissimo quello della Giustizia sportiva.

Cominciamo dalla prima. Leggo poc'anzi, da un'agenzia una dichiarazione di Ada Spadoni Urbani - parlamentare spoletino di cui per altro si era sentito poco parlare negli ultimi anni (anzi, ricordo solo il face to face con la Modena andato in scena proprio a Gubbio): il Tribunale di Spoleto è "salvo", proclama la bionda senatrice di Scheggino. Nel senso che il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto taglia-tribunali - quello che per capirci ha decespugliato tutte le sedi distaccate del nostro Paese (e in Umbria significa anche Gubbio, Assisi, Todi, Città di Castello) - ma con qualche immancabile eccezione.

Una di queste è proprio la sede della Città del Festival dei Due Mondi, che evidentemente grazie ai buoni uffici dei propri rappresentanti a Montecitorio, ha propiziato il lancio della ciambella (di salvataggio) per il proprio Tribunale. Con Perugia e Terni, dunque, ci sarà anche Spoleto, mentre il resto dell'Umbria dovrà "viaggiare" e consumare chilometri per arrivare davanti ad un giudice. Senza contare i mesi e gli anni che poi dovranno passare prima di avere uno straccio di sentenza. Figli e figliastri? A Spoleto non la penseranno di sicuro così. E in fondo neanche noi, Umbri del Nord, Umbri dalle origini, ci sentiamo di biasimare questo risultato. Ma magari c'è spazio per farsi qualche domanda sul peso specifico dei rappresentanti, a Roma come a Perugia, che le altre lande umbre possono vantare ma non altrettanto applaudire, e non solo in questo caso.

Capitolo Giustizia sportiva. Mi sono bastati 5' ieri sera ad un torneo di pallavolo cittadino - il mitico "Flushing Meadows" S.Agostino - per capire che aria tirava dopo la conferenza stampa pirotecnica di Antonio Conte.

L'ho sentita solo in tarda serata, poi, su Sportitalia, dopo essermi imbattuto nell'unica intervista fatta a Salvatore Mastronunzio - ex Siena, Spezia ma anche ex mai rimpianto del Gubbio - che il buon Michele Criscitiello ha sollecitato per capire quanto ci fosse di concreto alla base della condanna inflitta all'allenatore della Juventus (Mastronunzio sarebbe stato, secondo l'accusa, accantonato dal tecnico, proprio per le vicende delle presunte e mai dimostrate combine in maglia Siena).
Oltre a smentire qualsiasi possibile collegamento tra le esclusioni di Mastronunzio decise da Conte e i risultati poi maturati sul campo, l'ex mai rimpianto attaccante rossoblù (cui toccherà scontare 4 anni per un'accusa da cui non si è neppure potuto difendere) ha pronunciato una frase semplice quanto immortale: "Per condannare una persona ci vogliono le prove". E questo, in teoria, dovrebbe valere in ogni campo.
Alla Giustizia Sportiva evidentemente basta molto meno.

Mastronunzio in Gubbio-Samp del gennaio scorso
Sia per mettere in galera una persona (ad es: Stefano Mauri, finito in gattabuia a giugno, e ieri sera regolarmente in campo in Europa League con la maglia della Lazio) sia per macchiarla indelebilmente nell'immagine e nella carriera.
Antonio Conte - i cui epiteti e la cui rabbia è esplosa con toni senza precedenti nella conferenza stampa di ieri - non ha fatto granchè per accattivarsi le simpatie dei suoi critici. Anche se, con l'orazione accorata e ben poco british che lo ha visto protagonista, ha praticamente sottoscritto un vitalizio con il tifo bianconero (caso mai non l'avesse già fatto).
A mio modesto avviso, rischia di somigliare maledettamente ad un novello Paolo Rossi, condannato per due anni quando eravamo agli albori degli Ottanta, per essere poi "scagionato" nel 1985, quando aveva già scontato la pena, si era redento sia fuori che soprattutto dentro il campo (avendo regalato 3 anni prima dello scagionamento, il Mondiale agli Azzurri, più 2 scudetti alla Juve, una Coppa delle Coppe e una Coppa Campioni). Quei due anni di stop però - sebbene cancellati dagli allori successivi - non gliel'ha restituiti nessuno.

Il problema è che sono passati 30 anni dal caso Pablito senza che nessuno abbia avuto la malsana intuizione di pensare ad una riforma della Giustizia sportiva.
Che viaggia a velocità schizofreniche, passando da sentenza a scoppio immediato (la Juventus in serie B nel giro di due settimane, salvo poi scoprire tabulati telefonici a reato prescritto che avrebbero inguaiato altre squadra in maglia nerazzurra), ad altre a passo di lumaca. Dove forse anche la lumaca riesce a tagliare il traguardo per prima. "Non bisogna essere tifosi" sentenzia il presidente della Figc Abete. Noi invece continuiamo ad esserlo: perchè non c'è nulla di male ad essere di parte, quando si tratta di sport, o di principi a cui si crede. E soprattutto continuiamo a tifare per una Giustizia che faccia semplicemente il suo dovere. E nei tempi opportuni.

A proposito di lungaggini: oggi si viene a sapere che il ciclista americano Lance Armstrong rischia di vedersi polverizzati tutti i trionfi per doping. Sette Tour de France, qualche altro record, datati fine anni '90 fino al 2005. Non intende difendersi da un'accusa che latente o no, lo perseguita da allora senza che però nessun organismo preposto sia mai intervenuto.
A distanza di quasi 10 anni arriva questa disposizione tardiva e poco comprensibile: l'Uvada, organismo controllo antidoping a stelle e strisce, gli azzera i trionfi e lo squalifica a vita.

Ecco, l'ultimo interrogativo di questa oziosa riflessione, è forse il più banale: ma dov'era l'Uvada fino a sette anni fa quando ancora Armstrong saliva sul gradino più alto del podio ai Campi Elisi? Dov'era l'Uci, unione ciclistica internazionale, quando si trattava di controllare che le massime competizioni mondiali sulle due ruote fossero regolari? Ricordo che un Marco Pantani fu prelevato nel cuore delle Alpi per essere portato in caserma (e la sua storia meriterebbe capitoli a parte per come fu maltrattato da chi lo idolatrava fino a qualche minuto prima...).
Per me Armstrong resta un'icona sportiva. Se non altro per come ha vinto la sua vera battaglia (contro il cancro) dimostrando di poter tornare a vivere - che è molto più di saper tornare a vincere. E mettendo in campo una forza di volontà che nessuna sostanza chimica, nessuno sciamano della ricerca scientifica ti può iniettare.
Se poi l'americano dei record ha barato, esistono sanzioni, ammende e squalifiche - anche se l'ombra più pesante resta questo gap temporale. Nessuno però potrà mai risarcire i suoi avversari - sconfitti ingiustamente (ma sarà davvero così?) e soprattutto i tifosi, credo ormai pochi, che ancora credono, si appassionano e spasimano per questo straordinario sport senza età...

Ecco. Quello che continua a spaventarmi, nello sport come nella vita di tutti i giorni, è questo tipo di Giustizia: quella ad orologeria.
Che non si sa quando arriva. Ma quando lo fa, probabilmente, non arriva mai a caso...

2 commenti:

  1. Mah é assurdo quello che stanno facendo ad Armstrong. Sono d,accordo con l,articolo perche adesso????
    Suggerisco di togliere il campionato del mondo del 1986 all' Argentina, in quanto in semifinale Maradona aveva segnato con una mano!!!

    Mate Sirinic
    http://www.promovendo.it/

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  2. Certo Mate, potremmo revocare il Mondiale all'Argentina (per il fallo di mano di Maradona ai quarti contro l'Inghilterra - anche se gli errori tecnici degli arbitri non sono mai stati oggetto di revoca a posteriori) ma soprattutto sulla stessa falsa riga del caso Armstrong, sarebbero da revocare il Mondiale della Germania ovest del 1954 (vinto in finale con l'Ungheria più forte di sempre) con la squadra tedesca quasi interamente dopata (smisero tutti di giocare nel giro di 2-3 anni), per non parlare delle medaglie d'oro olimpiche della DDR, della Cina (fino a pochi anni fa) e di qualche Paese del blocco orientale che faceva del doping un'attività di Stato.
    Agire a distanza di anni non ha senso: se non nell'additare gli organismi di controllo come colpevoli di omesso controllo, ovvero di incapacità di intendere, volere ... e fare il proprio dovere!

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