Riflettori puntati sul Quirinale, sul Colle che mai come stavolta oscilla e pende, un po' come il suo piazzale d'ingresso. Tra l'incertezza del futuro inquilino e la certezza di quel che si lascerà alle spalle.
Giorgio Napolitano sarà ricordato come il Presidente che ha interpretato in modo più autorevole e responsabile un ruolo che in altre epoche è andato appena oltre la soglia dell'attività notarile. Saranno i libri di storia, tra un po', a rappresentarci in modo più fedele quanto accaduto nell'ultimo settennato (e in particolare, nell'ultimo biennio). Ma è certo che l'impronta di Napolitano resterà impressa un po' come i piedi e le mani delle star nella Hollywood boulevar.
Ora è iniziata la corsa al successore (Marini in pole position e PD spaccato, tanto per cambiare) e mai come in questa occasione regna l'inconsapevolezza. Già, perchè più che incerta, la situazione appare quasi incosciente.
Un Paese alle prese col suo futuro, infradiciato da settimane passate in mezzo al guado di elezioni senza un vincitore, intimorito da un'atmosfera che alterna gli slogan disfattisti alle ricette miracolose, intontito da strategie definite via facebook, ora sa che da questa votazione ci si gioca molto.
Perchè il quid di affidabilità che l'Italia ha finito per ritrovarsi in Europa dopo mesi di fango, un quid che somiglia ad un filo di lana, è tutto accatastato nelle stanze del Quirinale. E rischia di andarsene insieme al Capo dello Stato uscente.
Perchè il successore di Napolitano dovrà, come il saggio ex comunista di Napoli, saper interpretare la Costituzione contestualizzandola al drammatico momento attuale ma dovrà anche sapersi ritagliare un'identità propria. Politica e di personalità.
Eppure, credo che gli elettori del prossimo Presidente della Repubblica - grandi o piccoli che si definiscano - dovrebbero preliminarmente occuparsi di dare un'occhiata ad un video.
Ci pensavo in questi giorni, immaginando quanto salutare possa essere mostrarlo alle scolaresche (ai cittadini di domani, come banalmente si definiscono gli studenti) ma anche ai nostri più o meno autorevoli rappresentanti in Parlamento.
Mariana Diaz Vasquez |
Parla dell'Italia. Un'Italia vissuta e sentita, come senso di appartenenza, a migliaia di chilometri di distanza. Parla di come alcuni italiani, italiani d'origine, pensano e amano il proprio Paese.
E' un'emozione che ho avvertito, forte e intensa, sabato quando ho presentato (e assistito) alla premiazione del concorso "Memorie Migranti", indetto per il nono anno dal Museo dell'Emigrazione di Gualdo Tadino (felicissima intuizione del compianto sindaco Pinacoli poi sponsorizzata politicamente dalla Regione).
Il video è di Babel tv, firmato dalla giornalista cilena Mariana Francisca Diaz Vasquez, che racconta di una comunità di oriundi italiani stabilitasi ormai da tre generazioni a Capitan Pastene, nel sud del Cile. In quella "fine del mondo" richiamata anche dal nuovo Pontefice e che così da vicino, politicamente, l'Italia sembra osservare come una minaccia in queste ore.
Una comunità nella quale si produce prosciutto artigianale, pasta fatta in casa, di continua a parlare italiano, si esibisce la bandiera tricolore accanto a quella cilena, ci si dichiara orgogliosi di "essere italiani". Anche se a 11.000 chilometri da qui.
Un video da gustare e apprezzare nelle sensazioni che quei pensieri e quelle considerazioni, emerse nel corso di piacevoli chiacchierate con la giornalista, i protagonisti regalano al pubblico.
Per sentire che l'"italianità" non è qualcosa di cui vergognarsi, ho dovuto ascoltare le parole di alcune persone che vivono dall'altra parte del pianeta...
Un po' come il post dell'amico Giuseppe Rosati che da NY mi dice che nella Grande Mela "fa molto figo usare parole in italiano". L'esatto opposto di quanto avviene nella comunicazione di casa nostra...
Forse abbiamo tutti bisogno di ascoltare un emigrante. Di sentirci, a nostro modo emigranti.
Per amare e rispettare di più il nostro Paese. Un dovere di tutti. A partire da coloro che lo rappresentano...
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