La lezione che ti lascia una sconfitta... è il primo passo per tornare a vincere.
Può sembrare una frase banale. Ma non lo è. Perchè è molto più facile dirlo, che applicarlo. Più semplice predicarlo che eseguirlo. Più immediato pensarlo che metterlo in atto.
Ci pensavo ieri sera, dopo la sconfitta della Juventus con il Bayern Monaco. Finalmente qualcuno che perde e non grida allo scandalo, ai complotti, alla dietrologia professionale.
Si ammette che, sì, l'avversario era più forte, più bravo, più completo in ogni reparto. E ha meritato.
Capire dove si sbaglia, o capire dove si deve migliorare, ammettere che qualcun altro ha meritato di prevalere, o che la ragione sta dalla sua parte, è un gesto apparentemente naturale, ma in realtà sempre più raro nella nostra quotidianità. Eppure è da lì che si riparte per fare meglio, per correggere gli errori, per crescere di qualità, per alzare il ritmo e - qualunque sia l'ambito del proprio operare - accrescere il risultato.
Prendiamo la politica, prendiamo l'attuale scenario pseudo-parlamentare (pseudo, dal momento che le Camere sono off line per assenza di segnale governativo e in attesa di riunirsi per nominare il nuovo Capo dello Stato): dopo le elezioni nessuno che abbia fatto un minimo di autocritica sul proprio operato. Se è vero che dalle urne sono uscite di fatto "tre minoranze", ci sarebbero dovuti stare almeno due leader (se escludiamo Grillo il cui exploit e la cui prosopopea rende improbabile una valutazione simile) che avrebbero dovuto ammettere: "Signori, qualcosa non era andato come doveva, ebbens ì, abbiamo "toppato"!". Giusto allora, e inevitabile, fare un passo indietro. Non per perorare chissà quale altra causa, ma per rispetto degli elettori (tutti) e dei problemi del Paese. Niente di tutto questo.
Bersani è ancora lì a traccheggiare sperando che qualcosa si muova nella sua direzione (magari un nuovo Presidente della Repubblica meno esperto e meno lungimirante di Napolitano... chissà...), Berlusconi è ancora lì, ancor più conscio della propria insostituibilità per tenere in vita il PDL (il che, per gli elettori dello stesso, non è una buona notizia).
Morale, non hanno vinto ma non hanno la minima intenzione di farsi da parte.
Chi prova a dire qualcosa di alternativo (e sensato) viene bollato quasi come un "eretico" (con una certa stampa di partito a far da censore): nel centrodestra si sono volatilizzati ancor prima delle urne (Cattaneo da Pavia), nel centrosinistra pur sostenuto da sondaggi incipienti, c'è Renzi che ormai rischia la "sindrome da accerchiamento condominiale".
Purtroppo non appartiene alla nostra cultura capire quando è il momento di "fare un passo indietro". Sono gli altri che devono dirtelo, e il più delle volte è necessario che qualcuno (o qualcosa) ti sbatta in faccia quella che è la realtà. Una sorta di schiaffo salutare che, sì, a quel punto, rende l'idea e sintetizza il concetto. E talvolta non basta neppure questo...
In un contesto simile, le avventure (o disavventure) sportive rappresentano non solo una facile metafora, ma un vero e proprio fronte esemplificativo, da cui anche in altre aree del vivere sociale sarebbe opportuno trarre ispirazione.
Altri due esempi: Federica Pellegrini è uscita malconcia da un'Olimpiade che l'avrebbe dovuta vedere tra le protagoniste assolute del ranking mondiale. Delusione totale. "Ho sbagliato tutto!" ha ammesso a Londra senza nascondersi dietro qualche pretesto.
Oggi si è ritrovata, rinnovandosi nello stile (dorso) e riconquistando quel livello di performance che appartengono ai suoi momenti migliori.
Sulla stessa strada sembra avviato anche Valentino Rossi. Il suo matrimonio all'italiana con la Ducati non ha mai funzionato: troppo sofisticato lui, troppo altezzosa lei, più che un lui e un lei, due primedonne che difficilmente avrebbe potuto "dialogare". E l'idillio è durato lo spazio di una conferenza stampa. Dopo 9 titoli mondiali, qualcuno mollerebbe pensando che in fondo non c'è più nulla da dimostrare. Rossi no, Rossi ha capito di aver sbagliato, ha fatto un passo indietro (e due avanti) tornando nella culla dove aveva maturato i suoi successi più esaltanti (che poi si chiami Yamaha può dispiacere da campanilisti, ma è così...). Non sappiamo se ritroverà anche le vittorie ma gli è bastato un GP per ritrovare se stesso.
Non è poco. Non sarebbe male se qualcun'altro, in altre stanze, comprendesse la lezione...
giovedì 11 aprile 2013
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